Lungo il Reno da Bologna verso l’Adriatico navigando tra la storia e la biodiversità della pianura emiliana fino alle valli di Comacchio
di Francesco Nigro
(articolo pubblicato nel numero uscito nella primavera 2018)
Siamo sul Reno, via della Berleta da un lato e via Bertalia dall’altro, toponimi che derivano da una origine comune, volti ad indicare gli incolti paludosi e gli isolotti che caratterizzavano la zona. A monte, lungo la via Emilia, si staglia il Ponte Lungo, con le sue sirene, realizzato a poca distanza dallo storico ponte romano oggi distrutto. Proseguiamo verso valle oltre i passaggi a raso di cava e le pareti di sabbia dove nidificano i gruccioni, per arrivare in un tratto di fiume, fra Trebbo e Longara, un tempo collegati da un ponte di barche ed ancor prima da un traghetto, un cosiddetto “passo”, come lo era quello che dava il nome al quartiere Barca, o al passo di via Crocetta (ora, non a caso, via Traghetto) e come lo erano i tanti altri che si incontrano verso valle. Due barche ci sono ancora, una è al Trebbo, ben tenuta quella di Longara. I due scafi metallici recuperati dal fiume mostrano tutti i loro anni, residuati della prima guerra mondiale riadattati ed attivi fino al 1966, poi divelti da una storica piena.
Proseguiamo fino ad incontrare l’immissione delle acque della Ghisiliera che dopo aver servito campi, mulini e maceri, ritornavano e ritornano tuttora al fiume, a valle dell’ottocentesca proprietà di Villa Stagni e dell’ex Molino di Borgognino, immediatamente fuori dal Trebbo. Segue l’abitato di Malacappa fantasiosamente arroccato dentro la golena, con panni stesi lungo le strade bianche e con vecchie proprietà rinchiuse fra argini ricoperti da felci aquiline. Da qui in avanti potremmo essere ovunque, si contano i ponti, il fiume conserva la sua selvaggia monotonia per chilometri, interrotto solo dall’ingresso di canali di bonifica, dall’immissione delle acque del Samoggia, ultimo affluente in destra fluviale, per poi curvare verso Cento. A S’Agostino troviamo lo Scolmatore di Reno, il sistema che scarica nel Cavo Napoleonico durante le criticità di piena. Qui ci accolgono gli 81 ettari del Bosco della Panfilia, un’estesa area protetta, memoria di una pianura caratterizzata da ampie distese boschive. I termini “massa” diffusi in pianura (ad esempio: Massa Lombarda, Massa Fiscaglia) fanno proprio riferimento a macchia boscosa.
Chilometri di terre solcate da un fiume che acquista un andamento sempre più rettilineo ed innaturale, ci alziamo sempre di più rispetto al piano di campagna. Siamo nel cavo Benedettino, così chiamato in onore di Benedetto XIV, il papa bolognese Lambertini. Questo è un condotto artificiale settecentesco che coi suoi 30 km andava ad intercettare l’antico corso del Po di Primaro sotto Argenta, permettendo al Reno una sua uscita diretta a Mare e segnando la fine (drastica riduzione) del sistema vallivo della “Padusa” bolognese, degli screzi con Ferraresi e Veneziani per quell’acqua che in Po Grande non ci doveva andare (e nemmeno nelle campagne) ed inaugurando una nuova epoca per la bonifica. A Malalbergo superiamo il Passo del Gallo, poi arriviamo a Passo Segni, in prossimità dell’immissione del Navile con le sue chiuse vinciane. A valle un ponte di Bailey del 1950, il più lungo di Italia ancora in funzione, da poco ripristinato dopo più di mezzo secolo di servizio, metteva la parola fine ai giorni di lavoro per il barcaiolo e permette l’ingresso nel ferrarese. Interi abitati guardano verso sud l’argine del fiume, oltre a bastioni di terra ed accessi con scanalature per le paratoie di emergenza.
Ancora più valle vengono ad innestarsi il Savena Abbandonato, poi l’Idice col Sillaro ed il Santerno in località Palazzo Tamba. In questo contesto, si viene a creare un corridoio naturale estremamente interessante dove alla biodiversità autoctona viene a seguire un’imponete massa alloctona. Specie aliene quali la zucca spinosa, rampicante e tappezzante, l’acero americano, Acer negundo, la robinia vengono a rompere la continuità di salici pioppi e ontani. L’Amorpha fruticosa, meglio conosciuta come indaco bastardo, costituisce macchie cospicue. Le raganelle sono rare ma presenti, una miriade di insetti ed artropodi popola lo spazio golenale. Non mancano i gamberi americani, un prelibato cibo per i grossi siluri in agguato fra i tronchi.
Gli specchi d’acqua sotto le chiuse vinciane della Bonifica ospitano un brulicare di carpe. A valle dell’immissione del Senio, a Sant’Alberto, è un traghetto ad attirare l’attenzione, congiunge il paese con la strada arginale in sinistra idrografica. Dall’argine ci si può affacciare direttamente sulle Valli di Comacchio. Un sistema di paratoie regola l’accesso di acqua dolce dal fiume nelle Valli. Spatole, garzette, volpoche, totani, fenicotteri, i “cavalli delta”, ci riportano a suggestioni degne della Camargue. La foce, oggi tagliata a Casal Borsetti, in area militare, è posta immediatamente a valle della traversa fluviale di Volta Scirocco. Da qui diparte una fila di bilancioni colorati. Nelle vicinanze una trattoria dal nome curioso: “Trattoria di Primaro”, ci ricorda la storia tutt’altro che scontata di questo territorio.
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