Fatto realizzare (allora in legno) dalla casata dei Bentivoglio, nel 1547 su progetto di Jacopo Barozzi da Vignola fu eretto in muratura. Ad inizio Novecento ospitava anche una pionieristica centrale idro-termoelettrica
Di Francesco Nigro – Vitruvio
Tipico esempio di “sostegno”, architettura legata alla navigazione e alla gestione dei flussi idraulici in acque interne, il Battiferro si presenta come un’imponente chiusa, una struttura trasversale incassata nell’alveo del Canale Navile. Un sistema di paratoie, scolmatori e portoni costruito sull’antica via navigabile che da Bologna guadagnava le acquitrinose valli della bassa, verso le terre estensi, dove diverse rotte commerciali si dipanavano fra le acque della pianura e gli sbocchi a mare.
Questo sostegno fu eretto completamente in muratura solo nel 1547, su progetto di Jacopo Barozzi da Vignola, in piena epoca pontificia. L’opera fu edificata sulle spoglie di una struttura preesistente in legno, realizzata sotto la casata dei Bentivoglio, negli anni novanta del quattrocento, dall’architetto Pietro Brambilla di Milano, su incarico dell’allora Signore di Bologna, Giovanni II Bentivoglio.
Ruolo del sostegno era, appunto, sostenere una sufficiente colonna d’acqua a monte, compensando la forte pendenza del canale in questo tratto prossimo alla città. Si garantiva così, in prima battuta, la navigazione tramite l’annessa conca esagonale, dotata di portoni vinciani, quindi il corretto deflusso delle acque bolognesi e il funzionamento di tutti quegli opifici e realtà produttive che nel tempo avrebbero insistito su quelle stesse acque, compresa una pionieristica centrale idro-termoelettrica di inizio novecento.
La costruzione, tante volte rimaneggiata, si articola nelle stanze del guardiano, il sostegnarolo, e nei locali di manovra costruiti sul paraporto, in continuità con la conca di navigazione ed i suoi organi di manovra.
Sul fronte che guarda verso monte, una lapide scolpita nell’arenaria celebra l’impegno che Il Pontefice Paolo III profuse per la navigazione bolognese. Si tratta di un elemento inserito in un complesso che si presenta come un mosaico di epoche diverse, cucite assieme dalle più concrete esigenze idrauliche, dal rinascimento ad oggi e collocato in un distretto del contado bolognese cresciuto attorno al canale. Una vera e propria borgata acquatica, nella zona della Beverara, a poca distanza dalla Chiesa di San Bartolomeo e adiacente all’attuale Museo del Patrimonio Industriale, sorto sulla Fornace Gallotti del 1887. Un luogo il cui stesso antico toponimo, “Battiferro” rievoca ancora suggestioni protoindustriali, dove fuoco e acqua si incontravano fra le fucine incandescenti e il calcare risoluto dei magli idraulici sul metallo. “…un complesso di edifizii, parte d’abitazione per operai, parte di officina per colar metalli, e specialmente rame, di cui si foggiano in digrosso i vasi più grandi e più comuni ai bisogni della vita. Per la qualcosa l’edilizio della magóna, dove lavorano i magli ad acqua per battere e dare forma ai vasi di rame, dovrebbe dirsi più propriamente batti-rame: ma il nome antichissimo è rimasto all’officina in discorso, perché nei secoli andati vi si batteva il ferro a furor d’ acqua e di maglio, e riducevasi in ispranghe ed in grosse lastre, per servizio principalmente dell’arte del fabbro” (Le chiese parrocchiali della diocesi di Bologna…, Volume 1, Bologna 1844).
Sulla riva sinistra si scorgono fra i rampicanti le rovine di una cartiera appartenuta alla nobile famiglia Bardi di Firenze, in seguito convertita in pila da riso, dove si procedeva a far “brillare” il riso proveniente dalla bassa (liberarlo dalla cariosside). In un vano della struttura era stato ricavato nel corso del settecento un piccolo oratorio, custodito dai cappuccini a tutela di un’immagine policroma della Madonna con Bambino, la Beata Vergine delle Grazie, che ancora oggi, dopo secoli, trova la devozione popolare presso San Girolamo dell’Arcoveggio.
Immediatamente a valle della casa di manovra sorge un edificio, un tempo deposito per il legname, una vera e propria “casa cantoniera” per la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’asta del canale. Oggi è proprio questa la sede dell’Associazione Vitruvio. Sulla riva opposta, lungo la ciclopedonale si erge la mole di mattone in totale abbandono della Centrale del Battiferro. L’edificio segna il passaggio ad una nuova epoca. L’ex centrale idro-termoelettrica fu terminata nel 1900, acquisendo le proprietà del Marchese Mazzacorati, un mulino e delle pile da riso, proprietà che a loro volta erano appartenute ai frati cappuccini nel settecento. Dotata di quattro generatori collegati ad altrettante caldaie a vapore, sfruttava un salto d’acqua di poco più di tre metri per azionare una turbina idroelettrica, rimasta ancora oggi sepolta nell’edifico. La distribuzione era gestita dalla SACE (Società anonima cooperativa di elettricità) che faceva capo agli imprenditori della Galotti, mentre il complesso era stato progettato da un colosso austro-ungarico di Budapest: l’innovativa azienda Ganz. Una centrale all’avanguardia, degna di richiamare le attenzioni dello stesso Augusto Righi, che ne fu guida d’eccezione durante il Quinto Congresso Nazionale di Fisica del 1901.
A valle del Battiferro il canale si mostra diviso in due rami paralleli e complementari dello stesso “unicum idraulico”: il Navile. In destra idrografica troviamo quello che era l’effettivo canale navigabile, detto “Fossetta” o “Fossette”, in sinistra, il “Canalazzo”, con funzione di scolmatore delle acque in eccesso tramite apposto paraporto. A dividere i due corsi paralleli è uno stretto lembo di terra che dà continuità alla “restara”, la via arginale che seguiva il ramo navigabile, consentendo la movimentazione delle imbarcazioni da terra con i cavalli e la percorrenza di questa via nella pianura.
Oggi, questa, è la Ciclopedonale del Navile.