Io mangio DE.CO.

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Alla scoperta dei prodotti e dei saperi locali con un viaggio le eccellenze a Denominazione Comunale (De.Co), il marchio nato per promuovere il territorio difendendo le tradizioni

di Valentina Fioresi

Dal 2020 il comune di Bologna ha istituito la propria De.Co. (Denominazione Comunale) e relativa regolamentazione, un riconoscimento per valorizzare le eccellenze della città e del territorio metropolitano. L’elenco completo dei prodotti che vantano la denominazione De.Co. si trova sul sito https://www.decobologna.it/, suddivisa tra De.Co. del comune di Bologna e De.Co degli altri comuni.

Questo marchio non definisce la qualità di un prodotto (come le certificazioni DOP, STG e IGP), ma ha la funzione di attestare e tutelare la tipicità con il fine di valorizzare sia prodotti che attività specifiche. La denominazione De.Co. infatti non si riferisce necessariamente a prodotti agroalimentari, ma anche a eventi fortemente identitari per un luogo e a tradizioni relative a una particolare area comunale.

Un prodotto tipico, un’antica arte o addirittura una manifestazione storica possono entrare a far parte della denominazione De.Co. grazie a una segnalazione compilata e inviata tramite il sito web ufficiale https://www.decobologna.it/come-si-diventa-deco.

Questa grande varietà che caratterizza l’applicazione del marchio fa sì che tutto ciò che viene definito come De.Co. entri a far parte di un circuito di promo-commercializzazione territoriale, aiutando così le piccole realtà ad emergere nel mondo del turismo. Tutte le realtà e i prodotti certificati hanno anche la possibilità di utilizzare il logo ufficiale “De.Co. Bologna”, che sancisce e rende immediatamente riconoscibile la denominazione.

Ad oggi sono 17 i prodotti tipici iscritti al registro De.Co, mentre i saperi tradizionali sono 5.

Il registro indica anche quali sono le attività e i produttori che sono autorizzate a utilizzare il marchio: al momento sono 36.

I PRODOTTI DE.CO.

Crescenta all’uva di Vergato
Questo dolce è chiamato in dialetto “Carsent da l’ua” e dal 2015 vede la sua ricetta ufficializzata dalla “Confraternita d’la carsent da l’ua”. Viene preparata tipicamente a Vergato e zone limitrofe durante il periodo natalizio sicuramente fin dal 1644, anno a cui risalgono i primi cenni storici relativi a questo dolce: venne citato nel libro “L’economia del cittadino in villa” di Vincenzo Tanara. Successivamente la crescenta all’uva viene inserita dal giornalista Luigi Veronelli (figura importante per la valorizzazione del patrimonio enogastronomico italiano) nella sua rubrica di enogastronomia. A Vergato presso il Forno dei Fratelli Lanzarini è possibile trovare la “Carsent da l’ua”, che si presenta come un rotolo di pasta frolla ripieno di mostarda bolognese e uvetta, aromatizzata con una serie di spezie come chiodi di garofano e anice stellato.
Mela Rosa Romana
Si tratta di una qualità davvero unica per gusto, colore e forma: mele piccole e leggermente schiacciate, dal colore verde che va a sfumare in rosso, con un gusto dolce-acidulo ma non astringente come le mele selvatiche. Man mano che il frutto matura la colorazione si fa più gialla e il sapore acidulo si fa meno marcato. La mela Rosa Romana è molto resistente alla “ticchiolatura”, malattia che si manifesta con pallini neri sulla buccia, ed è ricca di polifenoli (antiossidanti, sostanze che contrastano l’ossidazione cellulare). I frutti vengono raccolti a fine settembre e si possono conservare tranquillamente fino ai primi di maggio senza l’ausilio di frigoriferi e celle.
La mela Rosa Romana è tipica dell’Appennino bolognese, anche se nel corso del tempo la sua coltivazione era stata sempre più abbandonata a favore di varietà più moderne.
Negli ultimi anni però sono molti i produttori (anche privati) che hanno deciso di ricominciare a coltivare questo frutto antico, molto più rustico e quindi anche più resistente a malattie e parassiti rispetto a specie più comuni e diffuse.
Per dare vita alle nuove coltivazioni il punto di partenza sono stati il censimento e la mappatura degli alberi secolari sopravvissuti fino ad oggi: nel progetto, che ha come fine il mantenimento del patrimonio genetico della mela, è coinvolta anche l’Università di Bologna. Il progetto della “Filiera Rosa Romana” (https://filierarosaromana.it/mela-rosa-romana/) prevede anche una precisa analisi territoriale e del terreno, oltre che quella dei dati sulla produttività e sulla qualità dei frutti.
Intanto grazie alla certificazione De.Co. e a molti eventi che la vedono protagonista la mela Rosa Romana è tornata a far parlare di sé, arrivando anche presso importanti fiere del settore turistico, come l’Agritravel Expo di Bergamo. Qui è stata protagonista di momenti di degustazione insieme ad altri prodotti De.Co. come gli Imbutini di Ozzano. Questo frutto è perfetto ovviamente se consumato fresco, ma sono altrettanto gustosi il succo e la confettura (che può essere utilizzata anche per la preparazione di dolci).
Africanetto 

L’Africanetto è un biscotto tipico esclusivamente dell’area del comune di San Giovanni in Persiceto, cittadina della Pianura Bolognese. 
Si trovano notizie dell’Africanetto fin dalla fine dell’800, precisamente dal 1872, anno in cui il pasticcere Francesco Bagnoli lo preparò per la prima volta. Il nome deriva dal fatto che questi prodotti venivano spediti in Africa Orientale, ma sono noti anche come “biscotti Margherita”, poichè la regina Margherita di Savoia era un’estimatrice di questi dolci (tanto che ottennero un riconoscimento ufficiale dalla famiglia reale).
Oggi, oltre al riconoscimento De.Co., questo dolce vanta un suo specifico marchio, concesso dal comune di San Giovanni in Persiceto gratuitamente a coloro che siano in possesso dei requisiti definiti da uno specifico disciplinare. Questo definisce sia gli ingredienti e le caratteristiche dell’Africanetto sia come i biscotti devono essere venduti (sfusi o in specifiche scatole di cartone) e come e dove gli esercizi commerciali che li producono o li vendono devono esporre il marchio. 
Gli Africanetti fanno parte dell’elenco P.A.T. dell’Emilia Romagna, che comprende i Prodotti Agroalimentari Tradizionali della regione. Questa lista viene aggiornata ogni anno, dato che annualmente è possibile fare richiesta per inserire nuovi prodotti.
L’Africanetto ha la forma di un lingotto e un colore giallo chiaro, è preparato con tuorlo d’uovo, burro e zucchero: all’esterno è friabile mentre l’interno deve essere morbido. É il dolce ufficiale delle principali manifestazioni persicetane, come il Carnevale (che ha festeggiato 150 anni nel 2024), della festa del patrono (24 giugno) e della fiera di settembre; viene servito anche in occasione della somministrazione dei sacramenti.  
Imbutini di Ozzano 

Sembra incredibile che ai giorni nostri si possa creare un nuovo formato di pasta, eppure una cittadina ozzanese (Flavia Valentini) è riuscita nell’impresa. Tra tutti i tipi di pasta fresca, insieme a tagliatelle, gramigna, trofie e altre specialità, ora vanno annoverati anche gli imbutini di Ozzano, letteralmente dei piccoli “imbuti”.
La signora Valentini racconta che ha creato gli imbutini in seguito all’acquisto, nel 2013, di un attrezzo per tagliare la pasta in piccoli dischi, che non pareva collegato a nessun formato da lei conosciuto: il passaggio dai dischetti ai piccoli coni è stato praticamente istintivo. Nel 2017 è arrivata invece la produzione su scala più ampia, dopo che una ditta di Argelato si è occupata di progettare una macchina appositamente brevettata allo scopo: oggi a Ozzano gli imbutini si trovano anche in vendita presso il supermercato Conad.
Gli imbutini seguono un rigido disciplinare che ne determina apporto calorico (306 kcal per 100g di prodotto), dimensioni (si realizzano a partire da un dischetto di pasta di 3,7 cm di diametro per 2 mm di spessore) e forma (un cono leggermente piegato con una piccola apertura sulla punta). La pasta stessa può essere aromatizzata in vari modi: i classici imbutini sono gialli, ma vengono prodotti anche verdi (la pasta viene colorata con gli spinaci), rosa (alla barbabietola) e addirittura al gusto cacao.
Gli imbutini, piccoli e versatili, sono perfetti per raccogliere e gustare qualsiasi tipo di condimento, possono incontrare sia la tradizione che l’innovazione.
Olio dei Colli Bolognesi
Pensando alla zona del bolognese Il primo prodotto tipico che viene alla mente non è di certo l’olio d’oliva. In realtà la coltivazione degli ulivi e relativa produzione di olio hanno radici molto antiche, tanto che le prime testimonianze risalgono al Medioevo (sono rimasti fino ad oggi anche alcuni toponimi legati all’ulivo, come “Via oleari” in centro città o “Uliveto”, borgo vicino a Monteveglio). Una lunga ondata di freddo nel ‘700 diede un forte stop a queste coltivazioni, riprese all’inizio del 2000 a partire da un progetto di mappatura delle piante secolari rimaste e relative “cultivar”, cioè le varietà agricole della specie (lo studio e la ricerca sono stati effettuati dal IBE CNR Bologna). In questo modo è stato possibile recuperare esattamente le tipologie utilizzate anticamente, le uniche ammesse per la produzione dell’Olio Extra Vergine di Oliva “Colli di Bologna”: Farneto, Montebudello, Montecapra, Montecalvo e Oliveto.
Oggi sono centinaia gli ettari coltivati a ulivi sulle colline intorno a Bologna, tanto che nel 2017 è nata la “Rete di Imprese Olio Extravergine Felsineo”, costituita dai produttori a sud della Via Emilia (10 aziende tra Imola e Zola Predosa) al fine di tutelare l’olio.
Le aziende che fanno parte della Rete sono: Tenuta Cà Scarani (Bologna), Azienda Agricola Torre (Zola Predosa), Azienda Agricola Bonazza (San Lazzaro di Savena), Società Agricola 1977 (Montecalvo, Corara), Azienda Agricola Nugareto (Sasso Marconi), Agrivar/Palazzo di Varignana (Castel San Pietro Terme), Azienda Agricola Assirelli “Cantina da Vittorio” (Dozza), Azienda Agricola Giovanni Bettini (Borgo Tossignano), Frantoio Valsanterno (Imola), Sorella Terra (Imola). La Rete al momento detiene il marchio collettivo Olio Extravergine di Oliva dei Colli di Bologna (regolato da un apposito disciplinare, dalla produzione al confezionamento) dal 2021. Successivamente, con l’obiettivo di ottenere la certificazione IGP, è stato modificato il nome dell’associazione in “Rete Olio Extravergine di Oliva Colli di Bologna”. Al momento, dopo l’approvazione della Regione Emilia Romagna e del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, il procedimento di richiesta per l’IGP è all’esame della Commissione Europea. Le zone di produzione legate a questo marchio comprendono le aree collinari a sud della via Emilia amministrate dalla città Metropolitana di Bologna: in particolare le coltivazioni oggi si trovano nei comuni di Bologna, Castel San Pietro Terme, Dozza, Imola, Borgo Tossignano, Ozzano dell’Emilia, San Lazzaro di Savena, Casalecchio di Reno, Sasso Marconi e Zola Predosa, Valsamoggia.
Visti gli importanti riconoscimenti dell’Olio dei Colli di Bologna è in via di sviluppo un progetto
che prevede di unire le aziende produttrici con una ciclovia con partenza da Imola e arrivo a
Valsamoggia passando da San Lazzaro di Savena, che recentemente ha aderito al circuito
“Città dell’Olio”.
Patata di Castel d’Aiano
Le patate sono considerate un prodotto piuttosto povero, un ingrediente quasi scontato in cucina, poco “nobile” nonostante la sua estrema versatilità. In montagna le patate però sono state per decenni una delle basi della dieta contadina, fatto che ha contribuito a farle entrare di diritto nella lista dei prodotti tipici insieme a castagne e derivati, formaggi e panificati come ad esempio le crescentine. Vista questa lunga tradizione di coltivazione e utilizzo alle patate raccolte nelle zone di Castel d’Aiano, Montese, Zocca e Gaggio Montano è stata assegnata la denominazione De.Co. Come gli altri prodotti che fanno parte di questa “categoria” anche le patate devono seguire un preciso disciplinare che regola il modo in cui devono essere piantate, curate, raccolte e infine confezionate e distribuite. Anche le cultivar (cioè l’insieme di piante coltivate e selezionate in base a uno o più specifici caratteri che si ripetono sempre uguali) sono definite nel disciplinare, per assicurare che le patate mantengano inalterate le caratteristiche che le contraddistinguono: polpa giallo chiara o bianca, buccia bruna o rossastra, aspetto esterno liscio e privo di aree verdi e avvallamenti. Le patate devono inoltre crescere in terreni ricchi di sabbia con elevate capacità drenanti, elemento che limita la probabilità che si manifestino malattie fungine.
La patata di Castel d’Aiano si può acquistare in tutte le zone di produzione e spesso anche durante le sagre autunnali organizzate nelle stesse o in aree limitrofe.

…continua nei prossimi numeri della rivista 

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