La Daucus carota (o Carota selvatica) è interamente commestibile anche se ha un sapore più intenso rispetto a quella coltivata. Attenzione a non confonderla con la Cicuta
di Claudia Filipello
L’estate è finita, ma non per il fiore della Carota selvatica o Daucus carota che si manifesta al mondo da aprile fino ad ottobre inoltrato. La pianta della Carota selvatica si esprime nel cosmo con un’infiorescenza, conosciuta anche con il nome di “fiore merletto”, per la bellezza e la raffinatezza dei suoi infinitamente piccoli capolini, uniti ad ombrello in modo vistoso e riconoscibile per la sua forma; ma è anche conosciuta per la sua capacità di attirare gli insetti utili oltre che ottima trappola per i parassiti delle colture.
Questa meravigliosa creatura è originaria delle regioni a clima temperato dell’Europa, dell’Asia occidentale e dell’Africa settentrionale; ad oggi è distribuita in molte zone del mondo. In italia è spontanea su tutto il territorio, comprese le isole, da zero a 1400 metri s.l.m.
Il fiore visto da lontano appare insignificante, ma osservato più da vicino rivela una magica complessità e perfezione, così da apparire come un pizzo accuratamente creato da mani esperte ed amorevoli. Il suo nome in inglese, infatti è Queen Anne’s Lace: il pizzo della regina Anna.
La pianta del fiore merletto è armoniosa, flessuosa, elegante e disinvolta, capace di distribuire equamente pregi salutari e virtù nutritive. La sua linea sinuosa e slanciata, il suo portamento fiero e quasi altezzoso, in certi momenti aristocratico, nascondono la semplicità e la reale disponibilità di questo inesauribile fiorellino di campo.
La pianta della Carota selvatica infatti, presiede al dinamico atto di compenetrazione tra magnetismo terrestre ed espansività solare, tra sensualità e capacità di percepire in modo chiaro l’obiettivo, tra istinto e intelligenza divina. In lei tutto è magnificamente bilanciato, presente e distribuito. Le aromatiche radici e gli oleaginosi semi leggermente speziati, sono i due poli complementari dove convergono eterei i principi solari, fissati dai fiori che del sole rappresentano l’immagine speculare, e le solide forze terrestri assimilate dalle forti radici; il tutto elaborato dall’apparato fogliare.
Lo stelo rappresenta la parte concreta del principio della comunicazione: è l’organo attraverso il quale tutto s’incontra e si fonde. Sono numerosi i segni microscopici che rivelano questo atto d’amore; la Carota selvatica infatti, si propone come colei che cura il dialogo fra tutti gli esseri sociali (insetti, api, calabroni, farfalle, ecc.) dell’ambiente. In particolare le sue forme mettono in risalto la passionale relazione fra il mondo vegetale e quello animale. Basta osservare il caotico brulichio che impazza in un prato fiorito, per rendersi conto del valore che la Carota selvatica porta in sé. Questo aspetto dona solidità di spirito, prontezza d’azione e agilità di percezione. Inoltre, quando raggiunge la maturazione dei semi, la corolla s’innerva avvolgendosi su se stessa ed insieme ai semi, riproduce così un piccolo nido di uccello, dove trovano rifugio diverse specie di insetti. I semi, come quelli del Coriandolo sativum L., emanano il medesimo odore della secrezione emessa dalle cimici.
Tutte queste caratteristiche, ben note alla medicina antica e popolare di un tempo, venivano sapientemente sfruttate per correggere rachitismo, debilitazioni fisiche e rigidità emotive dell’infanzia dovute a denutrizione, oltre che fortificare organismi per renderli più resistenti alle malattie infettive. Moderne ricerche confermano la ricchezza della presenza di complessi vitaminici e remineralizzanti contenuti nella radice, uniti a principi attivi, che conferiscono alla radice stessa proprietà terapeutiche per l’anemia, ricostituenti, energetiche, immunostimolanti, depurative e diuretiche, producendo effetti antiacidi, cicatrizzanti e protettivi delle mucose dell’apparato digerente e ancora effetti regolatori delle funzioni intestinali (antidiarroica e nel contempo lassativa). Per uso esterno le radici sono tradizionalmente usate sotto forma di cataplasmi per il trattamento delle piaghe, ulcere, ascessi, scottature, nelle dermatiti squamose e negli eczemi dove però non vi siano problemi di fotosensibilità. I frutti godono di proprietà aperitive, digestive, antifermentative e antispasmodiche gastro-intestinali, galattogoghe, emmenagoghe e vermifughe. Nella medicina popolare i frutti sono usati nella cura delle infiammazioni prostatiche e nelle calcolosi renali. Le radici ricavate da razze ortensi, pur essendo queste maggiormente esaltate nel volume e nei costituenti nutritivi, presentano tuttavia minor efficacia terapeutica rispetto alla piccola e selvatica carota plasmata dalle insuperabili forze della Natura e temprata dalle innumerevoli avversità ambientali.
La pianta è interamente commestibile: la radice può essere mangiata al pari della carota coltivata, anche se ha un sapore più intenso e presenta tipicamente un cuore legnoso, che diventa sempre più grande all’aumentare dell’età della pianta. I fiori nutrono prima il senso dell’olfatto, infatti sono delicatamente aromatici e possono essere mangiati crudi, anche se possono lasciare in bocca una leggera sensazione di “resinoso” o “lattiginoso”; oppure cotti, ad esempio, immersi in una pastella leggera e fritti. I semi possono essere usati in piccole quantità come spezia e le giovani foglie infine, possono essere consumate crude in insalata o cotte prima che diventino fibrose e coriacee.
Si può preparare un infuso o un decotto con i semi contusi. Il centro dell’infiorescenza, di colore rosa scuro/violaceo, viene usato dai miniaturisti per le loro opere.
La progenie della Carota selvatica è quella che ora si coltiva in tutto il territorio italiano e i fittoni hanno un buon profumo di carota. La frequenza di questo fiore rientra nell’applicazione della floriterapia del repertorio Californiano F.E.S. – Flower Essence Society e nel repertorio Francese Deva ed è in grado di riconnettere al tema della chiara visione; infatti, favorisce lo sviluppo della visione interiore ed esteriore, apportando maggiore chiarezza sia nella nostra interiorità sia in tutte le situazioni (ambientali, emozionali, relazionali) che sono intorno a noi. Assumere questo fiore quindi, può essere terapeutico per coadiuvare le difficoltà della visione oculare ma anche per migliorare le capacità introspettive. Consegna inoltre, equilibrio tra gli aspetti legati alla sessualità e alla spiritualità, specialmente laddove questi siano resi squilibrati da un’educazione morale o religiosa rigidi e dona una generale “levità di cuore”, alleviando le tensioni di origine psicologica e riconnettendo alla serenità: provate a immaginarvi presenti nella leggerezza e salutare pigrizia di un prato in un assolato pomeriggio d’estate. Concludendo è bene mettere a confronto la Carota selvatica con la Conium maculatum, o Cicuta, poiché facilmente confondibili. Ad un primo sguardo le differenze sono minime; ma ci sono aspetti da osservare attentamente fra cui: il fusto della Cicuta è cavo, privo di peli, punteggiato di macchie violacee e se spezzato emana un odore sgradevole; mentre la Carota selvatica sprigiona un gradevole aroma in ogni sua parte. La piante della Cicuta può determinare dermatiti e ustioni. Al fine di comprendere cosa abbiamo davanti, è bene usare dei guanti e non strofinare la pianta a mani nude, poiché possiamo incorrere in spiacevoli conseguenze