IL CANTO DI GINETTA – Murazze (Vado di Monzuno) – Autunno 1944

0

Il racconto tratto dall’episodio numero 51 di “100 racconti sulla Linea Gotica”

Testo orginale e adattamento di Andrea Marchi

Per un verso la vicenda di Ginetta Chirici si inscrive tutta nel macchinismo infernale di distruzione di vite che fu la seconda guerra mondiale in Europa e in Italia, messo in piedi dal delirio di potenza e di vendetta razzista del nazismo tedesco e assecondato dal velleitarismo criminale del fascismo italiano.

Nata a Pistoia il 24 novembre 1924 (nome completo Ginetta Argia Debora), da Gino Chirici e Bianca Mazzei, seguì la famiglia nella peregrinazione fra le città del Nord cui la costrinse la fede antifascista del padre (a Cremona sarebbe nato il fratello Renato nel 1929), fino a stabilirsi a Bologna, dove Gino e fratello misero su un’attività commerciale.

Nel capoluogo emiliano Ginetta compì gli studi magistrali, si diplomò, fece l’anno integrativo necessario e si iscrisse all’università, facoltà di Magistero. Era l’anno accademico 1942-43.
Un seguire vocazionale che sapeva di moderno e di rivoltoso. Una ragazza che vuole studiare, una giovane donna che si vuole sottrarre al destino prevalente di moglie e di madre che il regime assegnava alla componente femminile del Paese. Studiare per lavorare e poi chissà. Studiare per insegnare. Un mestiere (ma la retorica preferiva parlare di missione, in fondo era dei destini della Nazione che si trattava) allora ancora prevalentemente maschile, soprattutto nella fascia dei laureati. Studiare per insegnare ai più poveri, ai figli e, si sottolinei, alle figlie del popolo (si diceva così), che occasioni di studiare non avranno o avranno per vie che poco hanno a che fare con la libertà di scelta e l’autonomia di azione. Perché anche (se non soprattutto) in questo il fascismo aveva tradito. Aveva promesso emancipazione e imponeva sottomissione, aveva garantito ascensione sociale ed eguaglianza fra i generi e adottava tradizionalismo e sessismo diffusi.
Di tutto questo sapeva la scelta di Ginetta, dal passo svelto e dai capelli alle spalle, quando si faceva ritrarre con le amiche Carla e Anna, in bicicletta, nel 1941 e quando si iscrisse all’Università degli Sudi di Firenze, sede di Bologna, nell’anno accademico 1942-43. Sotto i bombardamenti.
Ed i bombardamenti sulle città, gli ingranaggi forse più caratteristici di quel conflitto, almeno per i civili, segneranno la vita e la morte di Ginetta.

Dopo le prime incursioni del 1942, la famiglia Chirici decise di trasferirsi in Appennino, zona ritenuta più sicura e trovò casa nelle vicinanze delle Murazze, non distante da Vado, nella valle del Setta. Il padre continuò l’attività di magazziniere e quotidianamente pendolava su Bologna. Tre volte la settimana anche la figlia lo accompagnava, per seguire le lezioni. Viaggi d’altri tempi, o proprio di quei tempi, su torpedoni stipati e passeggeri avvinghiati fin sul tetto del mezzo di trasporto. Era la povertà, era la guerra, era la scommessa oscillante di un futuro possibile.

Era il 25 luglio ’43 ed era l’8 settembre ’43. Era Mario Musolesi che tornava dal fronte e con pochi altri si mise in testa di non obbedire al nuovo ordine della Repubblica Sociale Italiana e dei suoi signori nazisti (o tedeschi, perché da vecchi alleati riottosi, sospettosi, ma pure con qualche rispetto, si disponeva di una vasta gamma di sentimenti e di espressioni nei confronti dei crucchi). Era la brigata partigiana “Stella Rossa”. Era il comandante “Lupo”.

Non sappiamo se fu una cosa naturale, se ci furono delle perplessità, come giuocavano remore ed entusiasmi. Quello che è certo è che presto su quella corriera affollata fin sopra il tetto si spostavano anche informazioni, biglietti, messaggi, tra i libri di Ginetta. Andavano e venivano tra Vado e Bologna, alla mattina e alla sera. La studentessa aveva conosciuto il “Lupo” e ora non le bastava spendersi sui libri o avviare una sorta di scuola itinerante fra i casolari contadini della zona per le ragazze semianalfabete o illetterate del tutto. Ora c’era da fare anche la Resistenza o, come di diceva allora, c’era da ribellarsi. “Libro e moschetto, fascista perfetto” “Libro e biglietto, ribelle perfetto”. Il pensiero libero, è la fede.

A compiere vent’anni mancava ancora poco, il 29 settembre 1944, meno di due mesi. La mattina Ginetta accompagnò la madre Bianca alla chiesa di Casaglia, più su, verso Monte Sole. Il fronte era vicino e i comandi tedeschi avevano deciso per lo sterminio. Ginetta lasciò la madre e tornò verso il rifugio di Casa Beguzzi, dove l’attendeva il padre. Fu vista e sparata. Un proiettile tedesco la colpì ad una spalla. Riuscì a rientrare nel rifugio. Venne soccorsa da un militare germanico, portata più a valle a Gardelletta, rattoppata alla meglio e rispedita tra i suoi.
Chi ti vuole morta, chi ti prolunga la vita.

La comunità ingrottata a Casa Beguzzi trascorse giorni di tormento e di speranza. Fuoco di mortai, passaggio di truppe, sequestro di uomini per trasporto munizioni, urla e batticuori. Ma anche un piccolo, cui insegnare qualche parola. Finché il 5 ottobre un drappello di SS si affacciò sull’entrata e mitragliò tutte e tutti. Solo donne e bambini, 17 persone, con i pochi uomini adibiti al lavoro di fatica, ormai inutili, fucilati nei sentieri vicini.
Chi ti vuole morta e basta.

Per avventura, abilità e fortuna il padre si salvò, per tornare e trovare i cadaveri della figlia e, più su, quello della moglie. Scampato anche il figlio , giovanissimo partigiano. Si ricongiungeranno solo mesi dopo a Firenze, ignari della reciproca salvazione.
Per un altro verso, tuttavia “chi dice che i morti sono morti?”

Il 19 aprile 1995 Ginetta Chirici è stata laureata “honoris causa” in Scienze dell’Educazione alla memoria dall’Università di Bologna, come studentessa, come ribelle, come resistente.

Come i professori universitari che non giurarono fedeltà al fascismo per confermare il loro incarico, come i Marc Bloch, i Dietrich Bonhoeffer, i Leone Ginzburg, le Edith Stein, i Walter Benjamin, gli Hans e le Sophie Scholl che non fecero dello schermo dorato dell’intellettualità l’occasione per sottrarsi a un dovere etico e civile che poteva significare e che per molti di loro significò la morte, così la giovane e bella maestra Ginetta Chirici, che nel sapere vedeva una libertà per tutti, un riscatto per gli asserviti, una giustizia per i violati. Un dolce e forte pensiero che si mostra più saldo dei colpi di mitraglia che posero fine alla sua vita.

Il suo nome lo si trova in Piazza del Nettuno, presso la chiesa di S. Stefano, a Villa Spada a Bologna e in una via di Pistoia e di Monzuno.

Condividi con

About Author

Comments are closed.