Fèr Sammichêl o festeggiare San Michele?

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Le tradizioni popolari della pianura bolognese tra fede, storia e dialetto

di Gian Paolo Borghi

(pubblicato nel numero uscito nell’estate del 2015)

Fèr Sammichêl, ossia Fare San Michele, nella pianura bolognese e in altri territori era sinonimo di traslocare. Il 29 settembre, giorno dedicato all’Arcangelo, coincideva infatti con la scadenza dei contratti agrari, che nel bolognese erano in massima parte a conduzione mezzadrile (a mezadrî): prevedevano cioè la divisione a metà tra proprietario (al padròń) e coltivatore delle spese e degli introiti derivanti dalla coltivazione del podere. Il termine “contadino”(cuntadéń), nelle nostre campagne identificava, peraltro, il mezzadro.

Questo plurisecolare contratto agrario imponeva inoltre che il mezzadro (che aveva il diritto-obbligo di abitare la casa poderale con la sua famiglia) coltivasse il podere (al sît) nella migliore condizione di produttività, anche attraverso l’esecuzione di lavori migliorativi a suo carico. Tra le altre clausole contrattuali, vigeva anche l’onere della consegna al proprietario di un certo numero di “onoranze” (polli, uova ecc.) alle principali feste del calendario. Dopo la seconda guerra mondiale, la mezzadria registrò qualche aspetto economico migliorativo per il conduttore del podere, fino ad arrivare, con i “patti agrari” del 1964, alla percentuale del 58% degli utili a suo favore. Nel frattempo erano state abolite anche le onoranze, ma il mondo rurale di tradizione stava ormai tramontando e si apriva una allora inarrestabile fuga dalle campagne verso la città.

Ho affrontato questo importante tema della ruralità, ma non ho ancora riferito una clausola tutt’altro che trascurabile del contratto: qualora il proprietario avesse ritenuto che le prestazioni del colono non fossero state all’altezza dei suoi doveri, a San Michele avrebbe avuto il diritto di sfrattarlo, ovvero di dargli il commiato (al cumiê) che, in genere, si sarebbe concretizzato il successivo 31 ottobre, a lavori di preparazione dei terreni ultimati (aratura e semina del grano). Il giorno di San Michele, quindi, avrebbe potuto anche “trasformarsi” in una pesante incognita sul futuro del coltivatore e della sua numerosa famiglia (più grande era e più braccia si rendevano utili al lavoro): dove avrebbero potuto trovare un nuovo podere da coltivare con la loro cattiva nomea acquisita?

Un tempo, per la verità, erano due le giornate dell’anno dedicate a San Michele, entrambe legate alle vicende costruttive dell’omonimo Santuario di Monte Sant’Angelo sul Gargano: oltre quella del 29 settembre (giorno della dedicazione del luogo di culto), San Michele veniva venerato anche l’8 maggio, in ricordo della prima apparizione del Santo al Vescovo di Siponto (8 maggio 490), al quale chiese l’edificazione del Santuario garganico. E anche la data dell’8 maggio coincideva con i traslochi e gli sfratti, legati però ai contratti di abitazione. Nei nostri territori, d’altra parte, maggio era identificato con il mese dei matrimoni e dei relativi… Sammichêl di coloro che cambiavano casa.

Il 29 settembre, comunque, era pure – ed è ancora – periodo di feste e di fiere nei paesi e nelle parrocchie aventi come patrono il Santo. Limitandomi alla pianura, ricordo le annuali festività a Bagno di Piano (Sala Bolognese), Quarto Inferiore (Granarolo Emilia), Mezzolara  (questa frazione di Budrio da oltre un trentennio ospita una fiera della cipolla) e Argelato. In quest’ultima località, tra Otto e Novecento, venne pure istituita un’apposita Fiera di bestiami. Si ha notizia della manifestazione fino agli anni ’10 del secolo scorso, con una presenza media di 400 capi da commercializzare.

Le feste di San Michele riservavano spesso una sorpresa gastronomica legata alla vendemmia: la preparazione dei “sughi”, caratteristici dolci dalla forma di budino, composti di succo d’uva, farina e zucchero.

Un tempo, quindi, c’era grande differenza tra Fèr Sammichêl e festeggiare San Michele…

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