Le tradizioni popolari della pianura bolognese tra fede, storia e dialetto
di Gian Paolo Borghi
(articolo pubblicato nel numero uscito nell’autunno 2018)
Tra i tanti artisti popolari che hanno percorso le nostre terre di pianura, Taiadèla (Tagliatella) ha lasciato un segno nell’immaginario collettivo, nonostante sia scomparso da quasi settant’anni. All’anagrafe si chiamava Dario Mantovani, proveniva dal Polesine e periodicamente si presentava anche nella “bassa” tra Bologna e Ferrara, ai mercati e, soprattutto, alle sagre. Singolare figura di cantastorie/fisarmonicista/macchiettista, era accompagnato nelle sue esibizioni da un clarinettista non vedente, il compaesano Nadir Bernini, e in seguito dai figli Delfino e Dino, fisarmonicisti e batteristi. Le non floride condizioni economiche dei paesi lambiti dal Po lo inducono, fin da giovane (era nato a Ceneselli nell’ormai remoto 1904), a imparare la fisarmonica. Prima le osterie e quindi le fiere e i mercati diventano lo spazio per le sue esibizioni. Dagli anni ’20 alla fine degli anni ’40, macina piasse su piasse della Valle Padana, prima in tandem, quindi in motocicletta e, infine, con una fuoriserie americana, status symbol del successo anche economico ottenuto. Gli esordi sono difficoltosi, ma nel complesso soddisfacenti, soprattutto grazie al virtuosismo di Nadir, che fa notevole presa sull’uditorio con le sue marcette e con l’esecuzione della notissima Mazurka di Migliavacca.
Taiadèla diventa così un beniamino del pubblico padano e consegue, negli anni ’30, un clamoroso successo impostando il suo spettacolo in chiave satirica e umoristica. Questa sua scelta artistico-popolare lo fa sbizzarrire in macchiette tra avanspettacolo “ruspante” e numeri clowneschi. La sua comicità istintiva è comprensibile a tutti e prende di mira (anche con storielle e battute a doppio senso) fatti e personaggi della quotidianità rurale, veri o inventati: il mediatore, il sempliciotto di paese, il contadino sospettoso, il garzone, il marito tradito, e così via. Tra le macchiette, la sua gente ricorda quella dell’ubriaco, abbinata da Taiadèla a un testo scritto da Nadir sulla melodia della nota canzonetta Quel motivetto che mi piace tanto: “Viva quel buon vinetto che mi piace tanto/e che fa glùglù-glùglù-glùglù-glùglù-glùglù-glù/bevo e barcollando vo’ di quando in quando/ma sempre glùglù-glùglù-glùglù-glùglù-glùglù-glù./Quando lo vedo nel bicchiere scintillante/lo prendo in man e quindi bevo all’istante./Tutti cantiamo ‘caro il vino spumeggiante’/facendo sempre glùglù-glùglù-glùglù-glùglù-glùglù-glù.”
In quegli anni d’oro, con il tipografo reggiano Adolfo Confetta e altri “colleghi”, è tra gli ideatori del “Calendario- Canzoniere” (un calendario che ad ogni pagina del mese abbina testi da cantastorie e canzonette in voga) e diffonde a dismisura opuscoli con storielle e barzellette. In questi suoi libretti, che vanno letteralmente a ruba, si leggono barzellette, un po’ grassocce, di questo tenore: “Una notte trovai mia moglie nelle braccia di un altro uomo. Io minacciai di ucciderlo, ma lei mi disse: ‘Lascialo stare, è il padre dei tuoi figli!’”. La vox populi gli attribuisce anche una barzelletta che – quando c’era “Lui” – circolava con una certa circospezione: “Mussolini inaugura una grande esposizione di prodotti alimentari. Visibilmente interessato, si ferma a uno stand di formaggi e chiede: ‘Si grattano?’. L’immediata risposta del venditore: ‘No no, glieli regaliamo’!”.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale i suoi itinerari si fanno difficoltosi, ma riesce a ancora a raggiungere le nostre piazze e i nostri mercati sbaragliando la “concorrenza”. Alcuni lo ricordano ancora come ironico contestatore del ventennio: canta e suona la canzone di guerra Vincere! andando goffamente a ritroso e finendo per essere redarguito dalle “autorità” dell’epoca.
Le sue strofette umoristiche e le sue promozioni di vendita cantate folleggiano, nonostante i non pochi assilli di quei tempi. Un esempio: “Ed ora in tutto il Veneto, Emilia, Lombardia/è sempre Taiadela che porta l’allegria,/ci son canzonettisti col tamburo e saxofon,/mi voglion dar la caccia ma sbaglian direzion.//… Per tutte le famiglie il vero necessario,/è quello di comperare il nostro calendario,/spendendo una liretta potrete voi portar/ il nostro buon augurio nei vostri casolar.//Se l’aria non sapete di qualche canzonetta,/a tutti ve la insegno con l’ultima strofetta,/di notte alla finestra nudi dovete andar/quell’aria è così facile che non vi può scappar.”
Nel 1948 decide di inserirsi nello spettacolo del Luna Park con due attrazioni, un serraglio con animali feroci e un padiglione delle meraviglie con la cosiddetta “Donna Giraffa”. La fortuna tuttavia gli gira improvvisamente le spalle e il 7 settembre 1950 perde tragicamente la vita in un incidente stradale. La spettacolo itinerante perde così uno dei suoi “giganti”, anticipatore di decenni degli attuali buskers e animatori di strada.