TUTTO IL MONDO DI GIACOMINO

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La sua Portonovo, le attese da Dall’Ara, i rapporti con Bernardini e Haller, il no al Milan, la sfrontatezza di Pecci e l’amicizia con Rinaldi: ritratti colorati di Giacomo Bulgarelli, che ci manca da tredici anni

di Marco Tarozzi

Sembra strano, accendere il ricordo di qualcuno dai titoli di coda. Il fatto è che proprio in questo autunno Giacomo Bulgarelli, bandiera del calcio bolognese, graviterebbe intorno alle ottantadue primavere. E invece se ne è andato troppo presto, a nemmeno settant’anni. Ma quell’addio, quell’ultimo viaggio di tredici anni fa è stato molto più di una celebrazione. Via Indipendenza, quel giorno di febbraio del 2009, era l’ultimo campo verde, e intorno c’era un’intera città. La Bologna del cuore e della passione, quella che lui ha amato al punto da non abbandonarla mai: i tifosi, ma anche le madri, i padri, i figli, i fratelli, gli amici. Giacomo ci è mancato troppo presto, e siccome ci manca ancora vogliamo ricordarlo così, con una tavolozza di immagini e momenti coloratissimi dove rivivono la sua storia, la sua ironia, il suo talento. 

GIACOMO E IL TALENT SCOUT. Si chiamava Istvan Mike Mayer, ma a Bologna tutti lo chiamavano “Pista”. Fuoriclasse ungherese, ai colori rossoblù avrebbe regalato più di cinquanta gol in cinque stagioni vissute da attaccante di razza. Abitava in via Toso Montanari, due passi dal Sant’Orsola, e dal cortile di casa vedeva quel ragazzino baciato dal talento che addomesticava il pallone. Lo segnalò all’amico Gyula Lelovics, che lo aveva chiamato dall’Ungheria quando era l’allenatore del Bologna, e ora, nel 1954, seguiva il settore giovanile. Così Giacomo, il ragazzino del cortile, si vestì di rossoblù. Per sempre.

GIACOMO E IL PRESIDENTE. Le lunghe attese dei giocatori davanti all’ufficio di Renato Dall’Ara, in tempo di rinnovo dei contratti, sono leggenda. Giacomino, ragazzo imberbe, la prima volta si presentò attrezzato: un sacchetto con due panini preparati dalla mamma, uno al prosciutto e uno alla pancetta. Ma aveva dimenticato di portarsi da bere, e pagò dazio: “Tre ore di attesa, con la pancetta che mi aveva bloccato la digestione. Entro e il presidente mi fa: “Te chi sei? Cosa ci fai qui?”. Sognavo un bicchier d’acqua gigante e firmai in bianco”.

BULGARELLI e Haller

GIACOMO E IL TEDESCO. Estate del 1962, Bulgarelli già troneggia a centrocampo, ma dalla Germania arriva Helmut Haller e Bernardini prende da parte Giacomo e gli fa un bel discorso: “Le chiedo di fare qualche passo indietro, Haller lo metto sulla trequarti ma so che non recupera palla, dovrà essere lei a fare interdizione e regìa. Glielo chiedo perché so che ha testa e gambe per farlo”. Da allora, Giacomo detta i tempi e con il tedescone si trova a meraviglia. E quando tra Haller e Nielsen sono scintille (spesso alimentate da Frau Waltraud, la moglie del primo), in squadra c’è chi si schiera apertamente, o chi come Pascutti tira avanti e se ne frega. Giacomo ammette che tecnicamente il tedesco dà 10 a 0 al danese, ma lui ha il carisma per mettersi tra gli opposti estremismi e trovare sempre il compromesso.

BULGARELLI Bernardini

GIACOMO E IL PARON. Era nell’aria, ma il “caso” scoppia mentre il Bologna di Fabbri è in tournèe in Romania. Chiama il presidente Venturi e parla chiaro all’allenatore: “Il Milan vuole Bulgarelli, ci sto seriamente pensando”. E’ vero: Giacomo piace a Rocco e a Gianni Rivera, che lo vorrebbe accanto. Lo cercano, gli telefonano. “Giacomèto, quando ti vèn?”, gli domanda il Paròn. Fabbri prende un aereo e vola a Bologna di gran carriera, convince il presidente a interpellare il capitano. E lui non ha dubbi: “Un orgoglio, questa chiamata. Ma io i tortellini preferisco mangiarli in famiglia. Non mi muovo da qui”.

GIACOMO E IL RAGAZZINO. Eraldo Pecci non ha ancora diciannove anni, ma la lingua è già tagliente. Bruno Pesaola ha già premiato il suo talento inserendolo in prima squadra. Bulgarelli, il capitano, ha trentatré anni suonati. Un giorno il ragazzino entra nello spogliatoio e lo trova sul lettino, sotto le cure del massaggiatore . “Sbrigati con quel vecchio, che poi tocca ai giovani!”. Giacomo lo guarda storto e interpella il Petisso: “Ma chi è questa mezza pippa?” Ma nessuno dei due resiste: scoppiano a ridere, ed è l’inizio di un’amicizia che durerà tutta la vita.

GIACOMO E IL POETA. Pier Paolo Pasolini amava il Bologna. Era cresciuto tirando calci al pallone ai Prati di Caprara, aveva visto giocare lo squadrone che faceva tremare il mondo. Per lui, Bulgarelli era un mito assoluto. E Giacomo era stato il più vivo e brillante, insieme a Janich, quando il poeta era venuto a intervistare i campioni del Bologna sul tema del sesso per il docufilm “Comizi d’amore”. Per Pasolini, nato in via Borgonuovo a Bologna, c’era di mezzo anche una bella faccia da attore. Per questo gli propose di partecipare al suo “Decamerone”, ma il Bulgaro ringraziò e declinò l’invito: “E’ già tanto che riesca a fare il calciatore…”

GIACOMO E IL PORTO NASCOSTO. In vicolo Ranocchi c’è la più antica osteria della città. Si beve soltanto, all’Osteria del Sole, e “il mangiare” bisogna portarselo da fuori. Giacomo arrivava in tarda mattinata, si mescolava agli “stanziali” prima che arrivassero a frotte turisti e studenti. Nicola Spolaore, oste per vocazione e tradizione familiare, ha ancora nel cuore quell’amicizia: “Giacomo frequentava la vera osteria, quella degli habituès: professori universitari, due o tre pensionati, il macellaio. Si metteva a giocare con loro a briscola o tressette. Una persona dolcissima, anche in quei momenti: se un compagno di gioco sbagliava lo rincuorava, magari dopo avere usato un po’ della sua ironia finissima. Negli ultimi tempi sapevo che non stava bene, magari prendeva un bicchiere di rosso e io di nascosto glielo allungavo con l’acqua. Sono certo che se ne accorgesse, ma non diceva niente. Quello era un gesto d’amore e lui lo capiva”.

BULGARELLI Rivera

GIACOMO E L’AMICIZIA. Una sopra tutte, nata tra due campioni che si sono rivelati grandi uomini. Fu durante una festa che Bulgarelli, stella del Bologna, conobbe Alberto “Toro” Rinaldi, il più grande giocatore di baseball italiano. Non si separarono mai più: insieme nei momenti liberi, insieme con le famiglie in vacanza. Toro è stato anche testimone di nozze di Giacomo, e ancora oggi un sogno ricorrente glielo riporta davanti: “Cammino in via Galliera e all’improvviso, da una specie di negozio-laboratorio, esce lui. Mi sorride e dice “Torino, stai sereno che io sto bene, salutami tutti”. Ogni volta mi sveglio tra pianto e beatitudine”.

GIACOMO E LE RADICI. Portonovo di Medicina al centro del suo mondo. Giacomo era un uomo della Bassa, innamorato di certi silenzi e delle nebbie del mattino in campagna. Qui, ancora oggi, tutto parla di lui. La piazza, la prima casa sopra la vecchia osteria. E il campo sportivo che lui, con gli amici di sempre, ha contribuito a rendere moderno, mettendoci impegno anche economico. Qui, tanti anni dopo, partendo dalle giovanili del Medicina Fossatone, è sbocciato un nuovo talento da Serie A: Youssef Maleh ha ventiquattro anni, gioca nella Fiorentina e non ha conosciuto il Bulgaro, ma respira la stessa aria e sogna una carriera degna di lui.

GIACOMO E IL SAIANO. Sdoganato da Giacomo quando faceva il commentatore tv: “Guarda che roba, quel giocatore… corre come un saiano”. E il bello è che quando gli chiedevano di che razza di animale stesse parlando, Giacomo spergiurava di averne anche visto uno. “Ma proprio intravisto, eh, una volta sola… un po’ biscia e un po’ lucertola, roba che si vede solo nelle mie campagne…”

GIACOMO E I MOCASSINI. Dall’Osteria della Chiesa, Beppe Fenara organizzava sfide a colpi di pallone, e c’erano tutti: Giorgio Comaschi, Franco Colomba, Jimmy Villotti, Fio Zanotti, Andrea Mingardi… Bulgarelli, attaccate da tempo le scarpette al chiodo, per non infierire andava ad arbitrare. Ma una sera, per una defezione, lo convinsero a entrare in campo. Non aveva portato nulla, si mise al centro dell’azione con i mocassini. Ma anche così non sbagliava un passaggio. Questione di classe.

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