Tutta la dolcezza del pane dei poveri

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I piatti della tradizione contadina raccontati dai nonni. Ricette semplici che riaffiorano dai ricordi delle famiglie della montagna bolognese

di Katia Brentani

(articolo pubblicato nel numero uscito nell’inverno 2014)

Il castagno ha rappresentato per le popolazioni montane, per lungo tempo, la principale fonte di sostentamento, la differenza fra la vita e la morte.

Per questo il castagno veniva chiamato “l’albero del pane” e la castagna “il pane dei poveri”. Le castagne venivano raccolte in autunno e costituivano il principale (a volte unico) alimento durante i mesi invernali per molte famiglie del nostro Appennino.

Ricette tratte da “Cuor di castagna” (Collana I Quaderni del Loggione – Damster Edizioni) http://www.loggione.it

Per conservarle ed evitare che si deteriorassero si utilizzavano diversi metodi di conservazione. Le  castagne si “annegavano”, cioè si mettevano in un recipiente pieno d’acqua a temperatura ambiente, rivoltandole spesso per far venire a galla quelle bacate. L’acqua non veniva cambiata e le castagne rimanevano in ammollo per almeno 9 giorni. Poi venivano risciacquate e lasciate asciugate al sole fino a quando facendole cadere, una sopra l’altra, emettevano un suono tipo tamburello.

Un altro metodo di conservazione era la “ricciaia”. Le castagne si ammucchiavano ancora nei ricci, si coprivano con le foglie di castagno, ricci e terra ben pressati in modo che all’interno si formasse una leggera fermentazione con aumento di temperatura.

In alternativa si potevano “essiccare” nell’essicatoio. Nelle abitazioni di una volta l’essicatoio era sopra la cucina in modo che il fumo del focolare potesse seccare le castagne stese sulle gratelle di legno. Quando erano secche, dopo circa 40 giorni, per sbucciarle si procedeva alla “battitura” che veniva effettuata mettendole dentro robusti sacchi di iuta. Si ottenevano così le castagne secche che si utilizzavano dopo averle lasciate ammollo nell’acqua o nel latte, o si portavano al mulino per la “molitura” ottenendo la farina di castagne.

Farina di castagne con cui, come ci spiega la signora Tilde di Castiglione dei Pepoli, si inventavano piatti che si possono ancora oggi, seppur sempre più raramente, assaggiare sulla tavola delle famiglie dell’Appennino bolognese. Gli ingredienti per insaporire un dono della natura che garantiva la sopravvivenza erano semplici, ma la fantasia garantiva piatti gustosi.

“Mescolando farina di castagne, acqua e sale” spiega la signora Tilde “io preparo i  “manfeti”  una polenta tenera che si mangia con la ricotta o la pancetta fritta. Con gli stessi ingredienti preparo i ciacci e, solo aggiungendo un pizzico di bicarbonato, l’impasto delle frittelle di castagne. Quando avevo i bambini piccoli, in tempo di guerra, preparavo con la farina di castagne e l’acqua un impasto che pressavo dentro i ditali quelli usati per non forarsi le dita quando si cuce. Questi erano i dolcetti dei nostri bambini e venivano cotti sulla stufa a legna. A volte si aggiungeva un goccio di vino”:

Sapori di un tempo lontano che è bello riscoprire.

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