Tic e tac la zirudèla

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Autori, storie e origine del celebre componimento. Dal cardinale Mezzofanti, poliglotta e cultore del dialetto, a Cesare Pezzoli che negli anni ’50 portò la bolognesità in radio con la trasmissione RAI, “Ehi, ch’al scusa”

di Fausto Carpani 

Il cardinale Giuseppe Mezzofanti (Bologna 1774 – Roma 1849) è noto ai più per la bella e signorile strada a lui intitolata fuori porta Santo Stefano. Non tutti sanno che l’illustre porporato, oltre che uomo di chiesa, fu un prodigioso poliglotta (conosceva una cinquantina di lingue straniere coi relativi dialetti) e insegnò greco e lingue orientali all’Università di Bologna. Questa padronanza di idiomi esotici non gli impedì di essere anche un cultore del dialetto natìo e a lui dobbiamo una tra le più antiche zirudelle pervenuteci. Non dimentichiamo che tale forma espressiva dialettale era in origine mandata solo oralmente, anche perchè gli autori erano spesso popolani di grande arguzia e fantasia ma inesorabilmente analfabeti.

Il componimento di Mezzofanti
Pr un dsnèr ed campagna
Zè Rodèla fé pladùr 
Cuntadin, Garzón, Arzdùr,
Siè pur Felsina più bella
Tic, e dai la Zè Rudèla. 


Su, Cerghétt e Campanèr,
La starmìda andè a sunèr
Dei pur fort int la mzanèla
Tic, e dai la Zè Rudèla. 


Che i curài e gl’ingranà
Siè più belli e più sgurà,
Mudàv ben anc la stanèla
Tic, e dai la Zè Rudèla.

E s’ai manca i sunadùr
Tulì fora al maccaclùr
E piciàl int la padèla
Tic, e dai la Zè Rudèla. 

Ed insòmma tutt ancù
S’ha da far a chi pò più
Che Mezfant l’è muntà in sèla
Tic, e dai la Zè Rudèla.

(Per un pranzo campagnolo Zirudella, fate chiasso Contadini, Garzoni, Reggitori, Sia pur Felsina la più bella Tic e dai la Zirudella. Sù, chierichetti e campanari, a stormo andate a suonare, dateci pur forte sulla mezzanella Tic e dai la Zirudella. Che i coralli ed i granati siano belli e lucidi, cambiatevi anche la gonna Tic e dai la Zirudella. E se mancano i suonatori tirate fuori lo schiaccianocciole e battetelo sulla padella Tic e dai la Zirudella. Ed insomma, tutti oggi dobbiamo fare il più possibile perchè Mezzofanti è montato in sella Tic e dai la Zirudella)

A questo punto, però, giova spiegare cos’è esattamente la zirudella. È un componimento scherzoso in dialetto e veniva declamato in particolari occasioni quali nozze e pranzi campagnoli. Poi l’utilizzo si allargò a lauree, compleanni e altri eventi che comunque prevedevano un lauto pranzo, durante il quale il zirudellaio rivolgeva ai festeggiati il suo indirizzo poetico. L’origine è sicuramente antica e la declamazione era cantilenata con accompagnamento musicale in quartine di versi ottonari a rima baciata, che si concludevano invariabilmente con le parole “Toc e dai la zirudèla” oppure “Tic e tac la zirudèla”. Dall’800 in poi si è gradualmente perduta questa forma ripetitiva insieme all’accompagnamento musicale e la zirudella è divenuta semplicemente un componimento in rima da declamare, magari facendo riferimento a fatti del giorno. In ciò furono maestri due personaggi quali Giuseppe Ragni, il re degli imbonitori della Piazzola e l’indimenticato Piazza Marino, poeta contadino, come egli si definiva.

Nel vocabolario 
del dialetto bolognese
Gaspare Ungarelli, nel suo “Vocabolario del dialetto bolognese” (1901), così scrive alla parola zerudèla:”Componimento particolare del dialetto bolognese, che un tempo si faceva esclusivamente per rallegrare le cerimonie nuziali presso le famiglie dei campagnoli; e, per quanto ne riferisce la tradizione, veniva recitato o cantato dai narcisi, che si accompagnavano colla ghironda, antico strumento musicale ancora in uso nel secolo decorso. Epperò dai diminutivi ghirondella o girondella è venuto il nome di un componimento che, come la ghironda, rigira sopra sè stesso, ripetendo alla fine di ogni strofa la prima parola…”
PER APPROFONDIRE
Il Vocabolario del dialetto bolognese (1901) di Gaspare Ungarelli, assieme ad altre pubblicazioni sulla “bolognesità” si possono trovare nella biblioteca che Emil Banca ha aperto nella sede di via Mazzini 152 dove sono custoditi migliaia di testi (antichi e moderni) su Bologna e la sua provincia.

Sull’origine della parola zirudèla si fanno alcune ipotesi. Il musicologo Francesco Balilla Pratella ritiene che come antenata della zirudella vi siano stati i motivi circolari appartenenti alla famiglia delle rotae, dei rondelli e dei rondò medievali che venivano suonati con l’organistrum, da cui poi sarebbe derivata la ghironda. L’organistrum è così chiamato perchè anticamente sostituiva l’organo nelle chiese povere che non avevano mezzi per dotarsi di tale costoso strumento musicale. Và aggiunto che il suono dell’organistrum (poi della ghironda) può ricordare quello dell’organo a canne. Ci troviamo quindi di fronte ad un qualcosa legato a tali antichi motivi che richiamano in qualche modo la circolarità e tale ipotesi è accettata anche dall’Ungarelli che esemplifica così la metamorfosi del nome: gironda (ghironda), girondella, zirondella, zirodella, zirudéla.

Personalmente, però, mi convince maggiormente una seconda ipotesi: i più antichi autori non scrivevano zirudèla o zirudella bensì Zè Rudella (Zia Rotella o Signora Rotella), con chiaro riferimento alla ruota della ghironda, strumento con cui si accompagnavano questi rimatori estemporanei. Era una specie di invocazione all’anima dello strumento, appunto quella ruota di legno che, azionata da una manovella, produce il suono mediante lo sfregamento delle corde, come avviene con l’archetto del violino. Non a caso la parola zirudèla è sempre la prima e l’ultima del componimento. Come anche quel Toc e dai o Tic e tac altro non sarebbe che la fonetizzazione onomatopeica del suono della ghironda, che i suonatori provetti ottengono agendo a scatti regolari sulla manovella. Una curiosità: la particolare corda che produce questo ritmico suono ronzante, è detta mouche (mosca).

Qual’è la zirudella più famosa? Sicuramente è “Al fatàz di zardén Margarétta” (il fattaccio dei giardini Margherita), noto anche come “La Flèvia” (la Flavia, dal nome della protagonista), un componimento scopertamente osceno che per decenni passò da mano a mano, segretamente e in fogli dattiloscritti, con qualche lieve variante fra una versione e l’altra, e che fin dal suo apparire non recò mai il nome dell’autore. In realtà qualcuno riconobbe lo stile di Cesare Pezzoli, giornalista e creatore di tante godibili figurine che conobbero non effimera fama nella trasmissione RAI “Ehi, ch’al scusa” (divenuta poi “Al Pavaiòn” fino alla soppressione). L’autore prese spunto da un presunto tentativo di stupro avvenuto a Bologna ai danni di tale Flavia Saguatti, per opera di un certo Vittorio Scarabelli. La cosa ebbe uno strascico giudiziario, puntualmente riportato dal Carlino e a Pezzoli non parve vero raccontare il fatto in una zirudella che, per crudezza di termini ed esemplare stesura, non è seconda a nessuna. Dopo anni di diffusione semiclandestina, il racconto della boccaccesca disavventura ha conosciuto la gloria della stampa in due recenti edizioni. La prima ha visto la luce, in forma di elegante cartella impreziosita da divertenti illustrazioni, mentre la seconda, curata da un drappello di dotti buontemponi tra i quali spicca il nome di Francesco Guccini, è infarcita di godibilissime note e glosse di chiara matrice goliardica, con un taglio argutamente filologico, l’analisi degli atti del processo e via di questo passo.

Esistono ancora zirudellai? Eccome! Dal 1990, con cadenza annuale, nell’àmbito della festa de l’Unità di Budrio, curo personalmente un concorso provinciale di poesie e zirudelle in dialetto e posso garantire che la razza non è in via di estinzione. Nell’edizione del 1996, l’ambìta “Ucarina d’ór” fu assegnata postuma al compianto dott. Ettore Poma di Mezzolara che vinse con una zirudella in cui spiegava …come si scrive una zirudella! I zirudellai di oggi si chiamano Gigén Livra (Luigi Lepri), Mario Mandreoli detto Pastràn, Gianni Pallotti, Guido Zamboni, Sergio Vecchietti, Tiziano Casella, Sandro Sermenghi e tanti altri tra i quali anche il sottoscritto.

 

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