Le specie del gruppo Rubus Fruticosus sono originarie dell’Europa temperata e fredda; ne sono state individuate, però, anche in Africa settentrionale, India e Messico
di Claudia Filipello
(pubblicato sulla rivista uscita nell’estate ’19)
Nel caldo estivo vivono e maturano i frutti selvatici che tanto piacciono sia a coloro che amano fare marmellate, confetture e succhi, sia a chi ama andare a raccoglierli per boschi. Parliamo ad esempio del Rubus Fruticosus o Rovo di More o pianta delle more, appartenente alla famiglia delle Rosaceae che si presenta al mondo rossa e spinosa.
Il vocabolo latino di Rubus ha origine dall’aggettivo Ruber e venne utilizzato dagli antichi studiosi e scrittori, come Virgilio, che si riferivano infatti al colore rosso dei frutti in via di maturazione. Mentre il termine Fruticosus sta ad indicare la caratteristica vegetativa della pianta, che dona al mondo numerosi e copiosi germogli fruttiferi. Il nome scientifico Rubus Fruticosus raggruppa una quantità importante di specie e sottospecie. Si ritiene che le specie riunite in questo gruppo siano originarie dell’Europa temperata e fredda; ne sono state individuate, però, anche in Africa settentrionale, India e Messico. In Italia sono presenti su tutto il territorio, dal mare ai monti, fino a 2000 metri di altitudine.
È comune nei luoghi incolti, nelle siepi, ai margini dei boschi e di macchie boschive, come nel nostro Appennino.
Nell’atto della raccolta riviviamo la memoria di antiche e quotidiane lotte per la sopravvivenza: un magico rituale che risveglia in noi ataviche sensazioni, facendo risplendere in un attimo fuggente assopite risposte ed immagini che appartengono alla nostra memoria cellulare di uomini.
Questa sua caratteristica di impenetrabilità e inaccessibilità ne fa un emblema di purezza e sacralità. Noto è il roveto raccontato nella Bibbia nel libro dell’Esodo in cui Dio parla a Mosè.
Se osservo la pianta e vado alla ricerca del “segno”, seguendo i principi della “Legge delle Segnature” si scopre che la forma ed il nome del frutto ci riportano alla prima recondita fase di sviluppo embrionale chiamata “morula”, cioè la divisione cellulare dell’ovulo fecondato, seguendo una geometria sacra; giungendo così all’abbozzo germinativo in via di formazione scaturito dalla misteriosa scintilla creativa.
Le siepi di Rovo, autentiche foreste in miniature, proteggono un mondo invisibile offrendo rifugio, vitto ed alloggio ad un’infinità di insetti, microrganismi, molte specie di uccelli, animali selvatici, oltre che un’infinità di piante che vive ai margini della pianta.
Dopo l’inesorabile tributo di braccia graffiate, mani nere pigmentate e vestiti sfilacciati, ecco il frutto che costituisce il premio. Alla Mora si attribuiscono proprietà rinfrescanti e blandamente lassative, particolarmente utili in pediatria purché si possano assumere così come si presentano in natura e a stomaco vuoto; se invece vengono consumate cotte, interagiscono con le proprietà enzimatiche del pancreas, rallentando la digestione e quindi la peristalsi intestinale.
Lo sciroppo di More è utilizzato per problematiche alle vie respiratorie come tosse, afonia, faringite, tonsillite e catarro bronchiale. La tradizione fitoterapica però, vuole che l’aspetto terapeutico sia affidato soprattutto alle foglie; sono infatti ricche di sostanze tanniche, quali resina e pectina e concedono proprietà astringenti, antidiarroiche, antinfiammatorie, tonico-diuretiche e depurative.
Molto utile il decotto di foglie che può essere curativo per spasmi intestinali da alvo diarroico e al contempo sedare coliti, oltre che ridurre fino ad arrestare flussi emorragici in generale. È inoltre terapeutico per la leucorrea nelle donne, nel reumatismo gottoso, per la diminuzione della quantità di urina. Anticamente veniva usato anche per i rialzi febbrili da malaria, soprattutto nelle zone paludose italiane, come nel ferrarese.
Nei confronti di affezioni al cavo oro-faringeo, fra cui gengiviti, piorrea, stomatiti, glossiti, laringiti, tonsilliti, faringiti, si può utilizzarne un decotto.
La caratteristica comune a tutte le specie di rovo è quella di svilupparsi soprattutto in habitat difficili e di ricrescere nonostante drastiche e radicali potature. Questo elemento è ciò con cui il fiore del Rovo comunica sottilmente con gli altri esseri viventi. Esso infatti, rappresenta simbolicamente la capacità di lottare per vivere ed esprimere pienamente le proprie potenzialità. Il tema quindi, su cui la vibrazione di questo fiore si esprime è la Concretizzazione delle idee.
Esso infatti è un catalizzatore energetico per coloro che non riescono a dare vita alla realizzazione delle proprie idee, per quegli individui che hanno molta energia mentale ma poca fisica, per coloro che hanno difficoltà di apprendimento e di esecuzione. Il fiore aiuta a tradurre i pensieri in azioni ed integrarli con maggiore volontà, soprattutto, quando si ha bisogno di esprimersi nel mondo fisico; inoltre, migliora il controllo della potenza creatrice del pensiero e aiuta a superare l’inerzia di un sentimento stagnante. Quindi, che c’è di meglio di fare scorpacciate di more fresche quando è stagione e di farci aiutare gentilmente dai suoi doni durante tutto l’anno?