La storia e l’evoluzione delle vie d’acqua. Oggi sono confinate nel sottosuolo ma un tempo erano il vero motore economico della città
di Francesco Nigro
(pubblicato nel numero uscito nell’autunno del 2016)
Cinque porti per servire una città dell’entroterra, questo accade a Bologna o meglio è accaduto nel corso dei secoli. Secoli in cui l’aspetto della città e le sue esigenze sono profondamente mutati. La stessa vocazione alla gestione delle acque che rese Bologna centro produttivo all’avanguardia e città di mulini, ne fece un città marinara, sarebbe meglio dire di marinai d’acqua dolce nel vero senso della parola.
Il primo porto che citeremo, sarebbe meglio dire scalo, corrisponde allo specchio d’acqua a valle del “Sostegno di Corticella” quello che un tempo era noto come il “Pelago Bolognese” letteralmente il mare della città: un’area dispersa nella campagna lungo l’asta del canale Navile, il naviglio bolognese, come appare indicato nei vecchi carteggi, nei pressi dell’attuale Corticella, su via dell’Arcoveggio. Qui si aveva ragione della pendenza che caratterizzava il primo tratto fino alla città e vi si era sviluppato un piccolo porto commerciale.
Ben presto venne a farsi sentire l’esigenza di accorciare le distanze e creare prima alla Pescarola, quindi nel 1248 in corrispondenza dell’odierna via Bovi Campeggi, a monte dell’asse ferroviario, un secondo scalo. Con i Bentivoglio, nella seconda metà del 400’ il porto viene spostato e collocato a Porta Galliera.
Vengono anche messi in funzione i primi sostegni, manufatti idraulici trasversali costituiti da conche di navigazione e annesse paratoie laterali pensati per consentire la navigazione e regimare le acque nella tratta da Bologna a Malalbergo, la “navigazione superiore”. La porta diventa a tutti gli effetti un porto con banchine e ormeggi. Oggi è possibile percorrere a piedi la passerella e vedere le acque di Aposa, Canale delle Moline e parzialmente del Canale di Savena, scorrere nuovamente alla luce, nel letto cementato sotto la volta di mattoni sfondata.
Il porto della Bova, porto-canale del Maccagnano, diventa in questo periodo storico, uno scalo in uscita/entrata dal porto di città. A Porta Galliera, a bordo di eleganti bucintori, passeranno personaggi illustri, nobili e papi, fra questi sicuramente spicca la controversa figura di Lucrezia Borgia, promessa in sposa al duca d’Este che raggiungerà dopo giorni passati sull’acqua in direzione di Ferrara seguita da un corteo regale composto da decine di uomini d’arme a cavallo lungo le restare.
Tuttavia il potenziale idraulico di Bologna non era sfruttato al meglio, le pendenze del canale erano eccessive, erosione, smottamenti e l’interrimento erano costanti. A questo proposito, chi oggi si trovasse ad “uscire dalla città” passando sotto alla Porta potrebbe notare nella facciata interna una grande lapide a memoria della ricostruzione seicentesca della struttura, danneggiata nei secoli dalle correnti e dallo scorrere clandestino delle acque. L’insuccesso del tratto di porto canale cittadino porta al suo abbandono e nel 1547 si riaffronta la questione del naviglio bolognese e del suo scalo portuale con l’architetto Jacopo Barozzi da Vignola.
I vecchi sostegni vengono ricostruiti in muratura e ne vengono progettati nuovi per consentire una gestione funzionale delle colonne d’acqua nei tratti navigabili in funzione delle portate. Se da un lato i tempi di percorrenza per uscire dall’abitato si allungano, dall’altro si dilata la stagione navigabile e si riducono gli interventi di manutenzione. Si deciderà di spostare il porto della città a ovest, verso Porta Lame dentro alle mura. La zona del Cavaticcio diventa il porto cittadino, e il corso, originato dalle acque del Canale di Reno poco più a monte, inalveate nel vecchio letto del rio Vallescura, diviene, a valle del salto d’acqua oggi centrale idroelettrica, il tratto iniziale del Naviglio. Nasce il quartiere porto con le sue banchine e scivoli di alaggio, la sua dogana, i suoi magazzini, stalle e osterie, completato, ormai alla fine del settecento, con una struttura imponente con spessori degni di una polveriera, la Salara (1785) sormontata dal granaio, ancora ben visibile a lato del complesso del Cinema Lumière. Le prime disposizioni per la chiusura del porto Bolognese arriveranno a solo un secolo dall’ultimazione della Salara. La navigazione in acque interne nel bolognese continuò fino agli anni trenta, quando era ancora possibile osservare le vecchie imbarcazioni a doppia prua fungere da vagoni trascinati sull’acqua e sostegni e conche di navigazione funzionare correttamente.
Una nota curiosa: se è vero che l’avvento della ferrovia e dei mezzi a motore in genere, rese sempre più obsoleta la lenta e complessa navigazione nelle nostre zone, è altrettanto vero che ancora oggi alcuni centri padani non rinunciano a progetti di ritorno alle vie d’acqua tanto ambiziosi quanto discussi (Idrovia Ferrarese) o al loro utilizzo sistematico (Canal Bianco) e in questi casi il personale navigante in acque interne, “i marinai d’acqua dolce” fanno proprio riferimento alle Ferrovie dello Stato e alla Motorizzazione.
E’ difficile immaginarlo oggi, ma la città è percorsa da un reticolo fittissimo di canali e ponti nascosti sotto le strade e gli edifici. Il percorso tocca i punti più caratteristici della storia delle acque bolognesi, dove ancora si può vedere e immaginare la città come era un tempo.
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