PIAZZA VERDI

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Dalle mura del Mille al meraviglioso teatro Comunale del Bibiena fino alla collinetta del “guasto” costruita sulle macerie di Palazzo Bentivoglio distrutto dopo la cacciata della nobile famiglia bolognese

di Gianluigi Zucchini

Conoscere piazza Verdi? Ma vogliamo scherzare? Proprio quella piazza lì, che, per il “degrado” in cui è piombata da almeno trent’anni, è fin troppo conosciuta? Ce ne sono ben altri di luoghi interessanti a Bologna, altro che piazza Verdi.

Eppure sono convinto che sia un’altra la piazza Verdi che merita di essere conosciuta, quella vera, originale, importante storicamente ed artisticamente, e che andrebbe molto più e meglio valorizzata di quanto si cerca di fare anche in questi tempi recenti.

Quindi, procediamo con ordine, nei limiti che lo spazio consente.


Partendo dalle due torri, arriviamo, dopo due o trecento metri, nella piazza. Abbiamo percorso il bellissimo portico della chiesa di San Giacomo Maggiore, e ci troviamo all’angolo tra la piazza stessa e via Zamboni. Al termine del portico, voltiamo lo sguardo vero le due torri, e guardiamo, scostandoci un po’, il resto delle antichissime mura del Mille, cioè la seconda cerchia di difesa della città, dopo quella di selenite, ormai non più visibile, se non per qualche frammento sparso qua e là e inserito in antichi edifici. Una lapide, posta da Bologna Storico Artistica nel 1906, spiega il significato di quel frammento:
“Questi avanzi unici ancora intatti / della mura antichissima / che testimoni al sorgere e al fiorire / del libero Comune / cinsero la città a tutto il sec. XIII / furono dischiuse alla pubblica vista / l’anno MCMVI”
Si deduce che prima di quell’anno fossero ridotte assai male, addirittura neppure individuabili. Ora, partendo da questo brevissimo cenno storico, si potrebbe idealmente scorrere tutto il percorso della cinta muraria, ancora visibile dalla struttura delle strade che hanno mantenuto lo stesso ordinamento perimetrale: da via Giuseppe Petroni, che vediamo aprirsi da sotto un ampio voltone, a Largo Respighi, quasi di fronte.

Facendo scorrere lo sguardo sugli edifici che chiudono da questa parte la piazza, soffermiamoci un momento appena all’angolo dove ora c’è la libreria Patron. Lì, come molti bolognesi ricordano, sorgeva fino al 1977 il noto ristorante Al Cantunzein (Il Cantoncino) dove per tradizione si recavano a cena musicisti, artisti, cantanti e celebri direttori d’orchestra, dopo gli spettacoli eseguiti al teatro Comunale. Ricordarlo non sembrerebbe importante; a me invece pare di sì. Infatti in quel locale molti artisti famosi avevano lasciato la loro fotografia con dedica: un piccolo archivio di cose bolognesi, sconosciute magari a molti giovani di oggi, e sicuramente ignorate in un prossimo futuro. Perdere una memoria, ancorché modesta, è comunque sempre cosa triste, tanto più che questa memoria fu distrutta, dopo integrale saccheggio, per ignoranza e idiozia, a causa dei fatti ben noti successi nella zona in quell’anno, in un accanimento contro un ristorante che non c’entrava nulla con la protesta o la contestazione che dir si voglia,


Procedendo, superiamo il grande arco che immette in via Petroni e passiamo davanti al grande bar, che altro non era che le scuderie dei Bentivoglio (e di cui oggi ha ripreso il nome), sopra il quale campeggia ancor oggi un vasto affresco ancora abbastanza ben conservato, che rappresenta La Pietà, dipinto nel 1698 da Francesco Spini, un discepolo del noto artista bolognese Gian Gioseffo dal Sole. Non è ovviamente di epoca bentivolesca, ma assai più tarda, dal momento che i Bentivoglio furono cacciati da Bologna nel 1506 e il loro stupendo palazzo totalmente distrutto. Ai piani superiori, vediamo edifici di antica struttura, un tempo affrescati con coloratissime storie cavalleresche. Tacciamo dell’angolo che fa parte dell’antico e pregevole Palazzo Paleotti, ora ridotto a bivacco e luogo di proteste pseudopolitiche, e passiamo al luogo dove sorgeva il palazzo Bentivoglio, occupato ora dal teatro Comunale, dietro il quale si eleva ora una collinetta, costituita dalle macerie di quel palazzo, a cui fu dato ‘il guasto’, e così infatti si chiama la via laterale che da via Zamboni porta in via Belle Arti. Nel luogo dove furono ammassate le macerie, sorgeva il giardino del Palazzo, chiuso poi da costruzioni, di cui si possono ancor oggi vedere alcuni resti passando in via Belle Arti. Il tutto ora è sostenuto da robusti puntelli, dal momento che questo ammasso di pietrame, terra e piante selvatiche rischiava di franare, avendoci sopra costruito una specie di giardino pietrificato con decine di tonnellate di cemento. Opera di belle intenzioni ma di scarso studio e per di più, di scarsa preveggenza, perché poi fu quasi subito chiuso perché ridotto ad una centrale di spaccio e consumo in loco di droghe.


Infine il teatro Comunale, opera del famoso architetto bolognese Antonio Bibiena, inaugurato nel 1763 con l’opera ‘Il trionfo di Clelia’ di Gluck, costruito, come si è detto, sul luogo dove era la bellissima dimora dei Bentivoglio, detta anche la Domus Aurea Bononiensis, impietosamente distrutta. Il ‘guasto’ peraltro non fu opera di alcuni giorni soltanto, come di solito si crede, ma durò addirittura anni. Furono asportati tutti gli oggetti ed anche gli utensili meno importanti, smantellati via via i muri, distrutti di conseguenza gli affreschi, opera dei massimi artisti dell’epoca, tra cui Francesco Francia e Lorenzo Costa. Ciò non fu propriamente conseguenza di una rivolta popolare. Il popolo fu certamente sobillato, e diede poi man forte ai vincitori dal momento che poté, dopo la fuga dei Bentivoglio, gettarsi con furia sui beni del ricchissimo palazzo, appropriandosi di tutto quel che poteva. Fu invece dovuto soprattutto alle famiglie nobili ostili, come i Canetoli, i Marescotti, i Gozzadini, e soprattutto all’appoggio che esse ebbero dal papa Giulio II della Rovere, che in questo modo poté rientrare totalmente in possesso della città, la quale, come è noto, faceva parte dello Stato Pontificio, e che i Bentivoglio dovevano solo ‘amministrare’ dato che era stato loro concesso di esserne i Signori, non i Principi (diversità tra Signorie e Principati, a cui di solito non si fa caso, ma che rivestiva importanza fondamentale nel governo delle città e degli Stati).

Volendo, ci si può inoltrare di qualche metro in Largo Respighi, dove, al n. 4 una lapide ricorda che in quel luogo sorgeva la grande torre del palazzo. Essa fu fatta costruire a partire dal 29 novembre 1489 alla presenza dello stesso Giovanni II Bentivoglio; fu poi abbassata nel 1596 e definitivamente abbattuta nel 1788.

La piazza, che all’origine era soltanto uno slargo di via San Donato (ora Zamboni), poi riordinata come spazio antistante la dimora aristocratica, rimase luogo desolato e disabitato fino a quando fu costruito il teatro. Prese il nome di Piazza Giuseppe Verdi nel 1951.

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