Originali, finti o ristrutturati: in viaggio tra i 200 castelli del bolognese

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E’ tra il X e il XIII secolo che ne vengono costruiti la maggior parte. Molti oggi sono scomparsi, di altri ne rimangono poche pietre, altri ancora sono stati rifatti durante l’Ottocento

di Michelangelo Abatantuono

(pubblicato nel numero uscito nell’estate del 2015)

«Dove un giorno il trovèro ed il menestrello modulavano sulla mandola e sul liuto la còbbola e la sirventa alle belle castellane, stormisce il vento, sibila il serpe; l’edera tenace e i dumi e gli sterpi tengono luogo dei serici drappi, degli aristocratici panneggiamenti!»

Così scriveva nel 1904 Giuseppe Bettini nella Guida di Castiglione dei Pepoli, quando suggeriva la visita al castello medievale di Civitella, una delle più misteriose e intriganti memorie di quell’epoca remota che ancora oggi rimangono nella montagna bolognese.

Nelle rovine castellane, ancora oggi imponenti, si immaginava con sensibilità romantiche un tempo passato fatto di ricche stanze, potenti padroni e giornate scandite dalle cadenze di una corte che forse mai vi fu.

Gli storici hanno fugato almeno in parte leggende ed esagerazioni ma, nel territorio  bolognese in senso stretto (eccettuato quindi l’imolese), recenti studi indicano che i castelli (grandi, piccoli o semplici torri di avvistamento) assommano alla considerevole cifra di oltre 200 unità. Cifra che sembrerebbe dare ragione a quanti s’immaginano un Medioevo dove si costruiva un castello su ogni poggio e, in pianura, ad ogni incrocio di strade.

Non che questo quadro sia del tutto scorretto, ma il Medioevo fu lungo e gli insediamenti fortificati nacquero e si estinsero in periodi diversi e lontani fra loro. E furono costruiti con materiali e forme differenti a seconda dei tempi, delle necessità e degli invasori che bisognava fronteggiare. Semplici torri contornate da una palizzata di legno all’inizio; poi si incominciò ad usare la pietra e quindi i mattoni, dove questa non era disponibile naturalmente, o alla fine dell’età di mezzo, quando le armi da scoppio resero vane le mura e le difese che solo pochi decenni prima garantivano la vita e la salvezza dei castellani.

Di castelli se ne realizzarono lungo tutto il Medioevo, dal V al XV secolo, anche se in certi periodi se ne costruirono di più. Tra X e XII secolo, per esempio, e poi nel secolo successivo quando il Comune di Bologna che avanzava nel contado, necessitava di punti forti per il controllo del territorio (l’ultimo fu Castel Guelfo nel 1309). Tra XII e XIV si ha la prima attestazione di oltre il 70% dei fortilizi censiti. L’incastellamento fu un fenomeno più concentrato nella collina e in montagna (il territorio irregolare richiedeva più punti di controllo), ma anche la pianura fu interessata e diversi castelli sopravvissero e furono ampliati durante l’età moderna da nuovi signori.

Di così vasto numero di insediamenti castrensi oggi non rimane molto e quel che resta è vittima delle ingiurie del tempo che inesorabilmente trascorre. Eppure chi volesse qua e là assaporare sensazioni e scorci castellani può percorrere le strade della pianura e della montagna, aiutato anche dai fortilizi neo-medievali del tardo Ottocento, quando i tempi non erano ancora vittima di futuribili ricostruzioni virtuali e si rifaceva un Medioevo, seppur romanticizzato, a suon di calce e di mattoni…

Andiamo dunque alla scoperta di alcuni di questi esempi, antichi e meno antichi, integri e meno integri, eppure tutti in grado di trasmettere emozioni e di ricostruire per gli avidi occhi di oggi le forme di un tempo ormai trascorso.

La strada che da San Giovanni Persiceto conduce a Ferrara porta all’austera mole della “Giovannina”, turrito castello costruito a San Matteo della Decima dalla famiglia bolognese degli Aldrovandi, di cui si ha notizia dal tardo Quattrocento. Nel 1544 passò ai Pepoli e poi di nuovo agli Aldrovandi che nella seconda metà del Seicento diedero al castello le attuali forme, chiamando il Guercino a dipingere gli splendidi affreschi che ornano alcune sale. Passarono le stagioni e la signorile dimora, al centro di un’ampia azienda agricola, perse le forme originarie. Fu l’ingegnere bolognese Giuseppe Ceri che a cavallo tra Ottocento e Novecento riconferì parvenze medievaleggianti all’antico maniero, non senza lasciare le nuove ed interessanti pitture in stile liberty di Aristide Zanasi e Alessandro Scorzoni.

La Rocca Isolani a Minerbio, oggi di fattezze cinquecentesche, fu sede del feudo concesso nel 1403 dai Visconti alla famiglia bolognese degli Isolani. Nei decenni successivi alterne vicende tolsero e ridiedero i possedimenti alla nobile famiglia. Minerbio dovette sostenere gli attacchi di Annibale Bentivoglio, degli eserciti uniti di Visconti e Aragona, dei Gonzaga, per ritornare nel 1525 agli Isolani che, dopo il saccheggio dei Lanzichenecchi del 1527, fecero riparare il castello e la rocca. Per affrescare le sale venne chiamato Amico Aspertini, pittore eccentrico nello stile e nell’esecuzione delle opere, “uomo capriccioso e fantastico”: si dice che fosse ambidestro e dipingesse con entrambe le mani, così da creare effetti inconsueti per quei tempi.

La rocca, di forme pressoché quadrate, ha un vasto cortile interno alleggerito da un doppio porticato in stile rinascimentale, al cui disegno non dovette essere estraneo il celebre architetto Jacopo Barozzi detto il Vignola.

A poca distanza sorse il castello di San Martino in Soverzano, che si sviluppò da una torre costruita dalla famiglia Ariosti. Furono però i Manzoli che nel Quattrocento conferirono alla costruzione  nuove forme, con tanto di fossato colmo d’acqua, completate nel 1684 dal singolare portico che dava ricetto all’annuale mercato di merci e bestiami. Il tempo e l’uso ne compromisero le originarie strutture e nel tardo Ottocento fu oggetto di pesanti rifacimenti esterni ed interni, opera di Alfonso Rubbiani, tesi a ripristinarne una “presunta medievalità”.

All’imbocco della valle dell’Idice, un  ardito maniero tutto di pietra serena sembra preannunciare le architetture toscane, eppure ci troviamo a pochi passi dalla via Emilia. Si deve alla volontà del marchese Alfonso Malvezzi Campeggi, che dal 1888 fece arrivare il materiale da costruzione dalle cave di pietra serena di Firenzuola, con un interminabile trasporto su birocci trainati dalla forza animale. Il castello fu pronto nel 1894 e accolse il Malvezzi e la sua sposa. Per l’inaugurazione si preparò un augusto banchetto, macellando quattro bovi, una decina di maiali e stuoli di polli e capponi. Per il marchese fu gioia di breve durata, poiché passò a miglior vita l’anno successivo. Durante la seconda guerra mondiale fu ricetto per decine di sfollati, per poi tornare residenza privata.

Salendo le pendici dell’Appennino non mancano diversi esempi di architettura fortificata.

Tra quelli più curiosi vi è il castello di Elle, in comune di Monzuno. Chi ne ammira le superbe fattezze dall’opposto versante della val di Setta, presso Rioveggio, è portato a immaginarvi chissà quale signorile dimora, crocevia di traffici politici ed economici. Invece si tratta di un borgo cinquecentesco con abitazioni, oratorio e torre colombaia che nel tardo Ottocento venne dotato di effimere quanto aberranti merlature e murature atte a camuffarne le reali origini e a renderlo un perfetto insediamento fortificato in stile neogotico. Meno appariscente ma realmente genuina è la torre di Montorio, che conserva ampi tratti del tipico castello medievale della montagna, mirabilmente conservato dalla famiglia Berti Arnoaldi.

Infine il castello di Civitella (Castiglione dei Pepoli), uno dei fortilizi medievali abbandonati meglio conservati di tutta la montagna. Imponenti sono ancora oggi le vestigia: la cerchia muraria, con tanto di torrione mozzato, conserva pressoché tutto il perimetro (85 metri circa), con tratti alti anche diversi metri. La località, menzionata nel Duecento, è sede castrense sicuramente nel secolo successivo, opera forse dei conti Alberti che si stavano consumando nelle ultime lotte contro il Comune di Bologna.

Qui la còbbola e la mandola con cui abbiamo aperto forse davvero risuonarono nelle fredde stanze, dove antiche stirpi spensero l’austero Medioevo. Nuove dimore sopravvennero, ma i loro padroni non erano più eredi della tradizione militare ma di quella notarile e mercantile.

Castello di Zena
Lungo la Val di Zena, proprio di fronte alla località Zena, si trova un’antica fortificazione che ha le radici nei secoli precedenti il 1000. Il castello di proprietà anche di Matilde di Canossa, ha attraversato i vari secoli passando da fortificazione a dogana a palazzo residenziale e ancora oggi, pur fortemente rimaneggiato dalla guerra mondiale e dal degrado degli ultimi anni, presenta dei particolari pregevoli come una colombaia di inizio 900, una scalinata del 1600, e particolari di murature del 1000. Ora grazie ad un restauro appena iniziato in questi mesi contiamo in un recupero di tutto il suo splendore. Il castello è anche un punto di partenza per il percorso CAI 815 che lo collega con il Monte delle Formiche. Percorso perfettamente segnalato e che porta anche al Museo dei Botroidi di Tazzola. Per info : cedoc.monteformiche@libero.it
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