Sopra un poggio sul confine tra Emilia e Toscana, tra sterpi e cerri, i resti di una struttura fortificata risalente al dodicesimo secolo. Lo studio del locale gruppo archeologico
di Emanuele Stefanini
(pubblicato nel numero uscito nell’autunno del 2015)
Ad appena un chilometro da Bruscoli, piccolo centro sul confine tra Emilia e Toscana, tra i verdi pascoli che nascondono una formazione geologica di argille scagliose, caotiche e franose, nascosta da un bosco di cerri, si erge una piccola cima a forma di cono. Nelle carte topografiche è chiamato Poggio Rocca mentre le mappe catastali la segnalano come San Martino. Qui, su un piccolo pianoro ai piedi della cima, si trova una cappella costruita sulle rovine della medievale chiesa della rocca di Bruscoli, dedicata appunto a San Martino. La struttura fortificata oggi non è che un rudere che però è stato oggetto di un approfondito studio da parte del locale Gruppo Archeologico. Le notizie più antiche di questo territorio risalgono circa al Mille, quando i possedimenti dei conti Cadolingi si sviluppavano dalla piana fiorentina, lungo la val di Bisenzio e l’alta valle dalla Sieve, verso il passo della Futa, raggiungendo e oltrepassando lo spartiacque appenninico. In questa zona erano presenti anche possedimenti della contessa Matilde di Canossa: il castello di Monterfredente apparteneva al padre della contessa, Bonifacio. La morte del Conte Ugo III nel 1113 segnò la fine della dinastia il cui patrimonio passò in parte ai conti Alberti di Prato dopo il matrimonio della vedova del conte, Cecilia, con Tancredi degli Alberti detto Nontigiova.
In questo contesto geopolitico probabilmente venne realizzata la rocca di Bruscoli: le prime notizie storiche del territorio risalgono al 1164, nel diploma col quale l’imperatore Federico Barbarossa confermò ai conti Alberti molti possessi tra Emilia e Toscana fra i quali, Bruscoli, Baragazza, Castiglione, Sparvo e Piano. La rocca fu eretta probabilmente come residenza di qualche rampollo della famiglia, che poi col tempo avrebbe preso il titolo di conti Alberti del ramo di Bruscoli, rimanendo l’ultimo loro feudo di questa parte dell’Appennino Tosco Emiliano. Nel 1272 si ebbe un primo smantellamento parziale da parte del comune di Bologna, tanto che rimase residenza albertesca fino al 1380, e le ultime notizie da noi conosciute risalgono al 1477. Dopo la rocca cade nell’oblio della storia, anche se il materiale archeologico recuperato parrebbe far risalire l’ultima fase di frequentazione intorno al 1600.
Analizzando il sistema di costruzione di ciò che resta del maniero, possiamo osservare che la fortificazione, realizzata con i sistemi difensivi medievali, venne adattata alla conformazione della sommità della montagna che la ospita e nulla è lasciato al caso: ogni singola pietra lavorata, inclinazione del muro, spigolo di torre ha un preciso scopo difensivo. L’area fortificata, di cui oggi restano visibili parte del perimetro murario e dei sotterranei, comprendeva non solamente la rocca, ma anche il pianoro sottostante dove nello stesso periodo vennero costruite la chiesetta di San Martino e le probabili capanne dei servi che lavoravano all’interno della rocca (secondo alcuni studiosi la chiesa era un monastero). Ciò è dimostrato dal fossato posto nel versante sud-est della montagna, che racchiude anche queste strutture, ancora percorribile nonostante la presenza del fitto bosco che in alcuni punti ne limita l’accesso. Profondo alcuni metri, è stato realizzato cavando le pietre nei filoni di arenaria e utilizzandole per la costruzione dei muri del maniero che si trova una cinquantina di metri più in alto. Nel versante nord-ovest invece la documentazione riferisce della presenza di una piccia o palancata, (siepe), che anch’essa racchiudeva il pianoro congiungendosi con il fossato. Da questo lato non era possibile scavare un altro fossato, causa la forte inclinazione dei filoni rocciosi intercalati da argille, per non mettere in pericolo la staticità della rocca soprastante.
Le difese della parte sommitale della montagna qui descritte, oltre che da attacchi offensivi, mettevano in sicurezza gli abitanti della rocca e il gruppo di capanne e chiesa anche da intrusioni di animali pericolosi quali lupi ed orsi, molto presenti in quel periodo e che ancora oggi sono ricordati nella toponomastica del territorio. Numerose ricerche storiche e archeologiche effettuate in questi anni dal locale gruppo archeologico hanno portato a individuare la planimetria della struttura e a stabilire che si componeva di tre edifici.
Quello centrale, di forma quasi quadrata, era certamente la residenza della famiglia comitale; comprendeva le sale di rappresentanza, si sviluppava su alcuni piani e nella parte interrata si trovava la cisterna per l’acqua piovana, recuperata tramite canalette dai tetti. Durante uno degli interventi di ripulitura delle mura esterne sono stati riportati in luce i resti della porta d’accesso di notevoli dimensioni rispetto alla pur piccola struttura castellana, chiusa da un portone imponente in legname con guarnizioni di metallo. All’estremità sud si trovava una torre rotonda del diametro di 15 metri, che ricalcava perfettamente l’orografia della montagna, con una larga visione del territorio sottostante. Ad ovest, invece, era presente una torre poderosa delle dimensioni di 20 metri per 10, con lo spigolo di sud ovest posto in direzione della chiesetta di San Martino, unico crinale più agevole per la salita verso la rocca. Le due torri erano unite alla struttura centrale mediante alte mura merlate di tipo ghibellino (a coda di rondine), e percorse da camminamenti costruiti in legname.
L’edificio subì un adeguamento delle strutture difensive, al momento del passaggio delle armi ad asta e da lancio medievali, all’uso della polvere da sparo (bombarde, colubrine ecc.). Troviamo quindi nel versante nord una serie di cunicoli a volta che convergono in una cannoniera rotonda anch’essa voltata, i quali racchiudono sei postazioni da bombarda: queste strutture probabilmente rinascimentali, anche se fatiscenti, sono ancora in parte percorribili. La rocca e il territorio di Bruscoli rimasero in mano ai bolognesi fio al 1403, dopo di che furono venduti al Comune di Firenze. Dopo il 1477, il fortilizio cade nel silenzio fino ai giorni nostri. Inesorabilmente, oggi la vegetazione, nonostante gli sforzi dei volontari del gruppo archeologico, ricopre ciò che rimane della rocca, riportandolo nell’oblio. I reperti archeologici ritrovati in diversi decenni di ricerche sono raccolti ed esposti nel locale “Museo Storico e della Linea Gotica”, tappa fondamentale per cogliere l’emanazione di vita, di storia, di fatti di sangue, di avvenimenti che queste rovine tramandano.