La testimonianza di Maddalena Maestrami sulla vita al tempo della Linea Gotica quando il fronte si fermò sotto casa
di Claudio Evangelisti
Tra la fine del 1943 e l’inizio 1944, da Bologna molti cittadini “sfollano” verso le colline per paura dei bombardamenti arei alleati. Ma nell’estate del ’44, con l’avanzare delle truppe alleate in direzione dell’Appennino Tosco-emiliano, iniziarono i primi bombardamenti aerei alleati lungo la strada statale della Futa, punto nevralgico della linea gotica dove i tedeschi fecero costruire una poderosa linea di difesa con l’intenzione di rallentare l’avanzata Alleata verso Bologna. Gli abitanti sono quindi costretti ad approntare rifugi dove e come possono, nella speranza che il fronte sarebbe passato in fretta. La sosta del fronte rappresentò invece un interminabile calvario di freddo, paura e dolore per i paesi e i borghi ai piedi o a ridosso delle postazioni tedesche.
Nel 1943 In località Molinelli di Scascoli nel comune di Loiano abitava Maddalena Maestrami bambina dall’intelligenza vivace che a 5 anni faceva già la prima elementare. Nei ricordi di Maddalena è molto viva la figura del nonno paterno Giuseppe Maestrami uomo energico e risoluto. Infatti racconta l’episodio accaduto nella via sottostante quando una squadra di fascisti era partita da Loiano per una spedizione punitiva a Scascoli : “Il nonno non tollerava le prepotenze altrui e quando li vide passare sotto casa li affrontò con una zappa bloccando il passaggio ai fascisti armati di manganelli. ‘Di qui non passate’, gli urlò”. I fascisti riuscirono comunque a proseguire e il giorno dopo quando Giuseppe si recò a Loiano per fare la spesa, il macellaio ricevette l’ordine di non dargli la carne. Ci volle la mediazione del fratello Luigi, che conosceva gli appartenenti della spedizione ed era amico del macellaio, per risolvere la situazione.
Già nel 1940 quando l’Italia entrò in guerra, Giuseppe Maestrami iniziò a costruire il suo rifugio a colpi di piccone scavando la roccia attorno all’abitazione con l’aiuto del vicino di casa in quanto suo figlio Otello, Il padre di Maddalena, era stato arruolato in artiglieria ed era partito per la guerra. La roccia arenacea presente in queste zone favoriva lo scavo di grotte da adibire al riparo degli abitanti. La costruzione dei rifugi deve tenere conto, quando si può, di alcune necessità: stare vicino a casa, due ingressi fuori dalla linea di tiro e muri anti-scheggia. Il rifugio venne concluso dopo due anni di lavori anche perché oltre al lavoro di muratore, occorreva l’aiuto vicendevole di tutti per scavare i rifugi dei vicini e dei parenti che abitavano a poca distanza. La grotta della famiglia di Giuseppe Maestrami era così ampia che poteva dare protezione ad almeno 25 persone con l’aggiunta dei soppalchi in legno nella parte più alta della grotta. Ancora oggi sono visibili i buchi del “piano rialzato” dove erano inserite le travi conficcate nella roccia, sormontate dai tavolacci che permettevano di stare sdraiati durante i bombardamenti. C’era l’entrata e l’uscita di sicurezza.
Nel 1944 sopra la sua abitazione incombeva il caposaldo tedesco di Monte Castellari, che durante l’offensiva alleata oppose una strenua resistenza e pertanto subì un devastante bombardamento da parte degli Americani. Un bombardamento che durò parecchi giorni con una media giornaliera di 4.500 colpi di artiglieria contro questa sola postazione. Nei pressi del rifugio dei Maestrami si era insediato anche un comando tedesco che aveva occupato la casa padronale della famiglia Gamberini, dove oggi si può visitare il celebre Giardino del Casoncello. Nell’inverno del 1944 questo comando tedesco venne completamente distrutto da un bombardamento alleato e Maddalena Maestrami ricorda perfettamente quando i tedeschi portarono i soldati feriti dentro il loro rifugio, che il giorno dopo furono portati via da una ambulanza con la bandiera bianca per non essere colpita. Rimase molto impressionata dalle condizioni dei feriti, soprattutto di due tedeschi rimasti senza gambe, e ricorda bene quando successivamente, dalla Germania, i parenti dei tedeschi vennero a cercare le piastrine di riconoscimento dei caduti in mezzo alle rovine del Casoncello.
La Wermacht ordinò quindi di far sfollare gli abitanti della zona e la famiglia Maestrami dovette quindi trasferirsi nei poderi dello zio Luigi, in località Gnazzano, dove i coloni si presero cura di loro. Passato il fronte, quando Bologna venne liberata nell’aprile del 1945, i Maestrami poterono tornare nella loro casa che nel frattempo era stata saccheggiata. La trovarono addirittura senza porte e finestre. Giuseppe però era venuto a sapere dove andare a recuperare almeno i preziosi infissi; si recò in località Casella e si fece restituire il maltolto dai coloni che avevano prelevato furtivamente i materiali. D’altra parte in quel periodo di privazioni non si poteva sapere chi sarebbe tornato dalle retrovie ed era considerata quasi come giustificabile l’appropriazione indebita a danno degli sfollati. Nei ricordi di Maddalena c’è spazio anche per la figura di un noto personaggio della resistenza locale, Bruno Maestrami, cugino di suo padre Otello, appartenente alla Brigata Stella Rossa Lupo comandata da Mario Musolesi. Bruno arruolato in fanteria era rientrato a casa dopo l’armistizio del 1943 con il grado di Sergente e aveva aderito al partito fascista allo scopo di carpire informazioni da passare ai partigiani.
La sua adesione alla RSI gli consentì di fornire al comando partigiano della brigata notizie relative ai rastrellamenti che le brigate nere preparavano nella zona. Quando fu sfollato da Vado venne accolto a casa Maestrami e Maddalena racconta che una notte sua mamma Elvira si accorse di Bruno che effettuava segnalazioni luminose in risposta ad altre luci intermittenti che provenivano dal versante opposto di Monzuno, dove operavano i partigiani del Lupo. Subito dopo vide partire Bruno frettolosamente con il suo cavallo… Come un vero esercito, la Stella Rossa disponeva di una rete di informatori posta a diversi livelli. Introdotto nel Partito fascista locale, Bruno Maestrami, faceva parte di una rete di uomini in grado di portare notizie sui movimenti dei nazifascisti e sui rastrellamenti. Tramite il contatto con gli uffici di Bologna, le notizie potevano essere anche su di ampio raggio.
Quante informazioni siano state trasmesse alla Stella Rossa non è possibile stabilirlo. A lui è stata dedicata una strada a Vado, nel comune di Monzuno. Nel 1948 dall’Australia, dopo 8 anni di prigionia da parte degli inglesi, finalmente tornò a casa papà Otello che era partito nel 1940 quando sua moglie Elvira era incinta. Per la prima volta potè quindi abbracciare suo figlio Ferruccio, il fratello minore di Maddalena Maestrami, donna ancora molto attiva e che ci ha regalato questa preziosa testimonianza. Giuseppe, il nonno di Maddalena, finita la guerra, quando venne a sapere della vera missione del nipote Bruno, si arrabbiò tantissimo e quando lo stesso Bruno venne a trovarli a casa per salutare il rientro dalla prigionia del cugino, lo fermò sulla strada sotto casa di casa proibendogli di entrare. Gli disse che durante il suo soggiorno ai Molinelli, aveva messo in serio pericolo la sua famiglia esponendoli al rischio di ritorsioni dei nazifascisti e pertanto lo avvisò di non farsi più vedere.
Il rifugio è attualmente in ottime condizioni e rimane uno dei pochi ricoveri privati nel territorio bolognese ben conservati, costruiti dalla popolazione locale a protezione delle incursioni alleate e cannoneggiamenti da ambo gli schieramenti sulla Linea Gotica.