PORTONOVO – Viaggio a nel borgo che ha dato i natali a Bulgarelli, il “porto nuovo” fondato nel Trecento che sembra uscito da un racconto di Guareschi
di Marco Tarozzi – Foto Archivio Bertozzi
“A Portonovo ci sono le zanzare, a Bologna c’è la nebbia e molto freddo. Eppure non c’è altra campagna al di fuori di Portonovo dove io vorrei stare, e non c’è altra città oltre a Bologna dove vorrei andare”.
Parole piene di poesia uscite dal cuore di Giacomo Bulgarelli, bandiera mai ammainata del Bologna, capitano nella storia e nella memoria. Dedicate alla città da cui non se ne è mai voluto andare quando era un signore del calcio italiano, e Rocco e Rivera avrebbero fatto carte false per portarlo al Milan. Ma soprattutto dedicate a quel piccolo posto apparentemente fuori dal mondo che gli ha dato i natali nel 1940, e in cui ha sempre trovato occasione di tornare.
GIGANTE. Benvenuti a Portonovo, quindici chilometri da Medicina, un punto smarrito nella Bassa dove è nato l’ultimo gigante rossoblù. Senza dubbio, Bulgarelli è il personaggio illustre di cui qui tutti possono raccontare qualcosa: un saluto, una chiacchierata, una conoscenza profonda, addirittura un’amicizia. Sulla sua casa natale da quest’anno è stata posta una targa, accanto c’è la piazza che porta il suo nome. A pensarci, questa è una terra fertile per il calcio: ci è nato e vissuto anche Youssef Maleh, ventiseienne centrocampista dell’Empoli, che non ha conosciuto l’Onorevole Giacomino ma ne parla con profondo rispetto.

Il bar trattoria dello zio e la casa di Giacomo
ARIA DI FESTA. Qui si entra in una dimensione diversa, si respira un senso di comunione e solidarietà che spiega tanto dell’attaccamento del campione alla sua terra. Chi vive qui lo fa con orgoglio: quest’anno, Portonovo partecipa al concorso “I luoghi del cuore” di FAI, il Fondo per l’Ambiente Italiano. Difficilmente vincerà, ma c’è da scommettere che di qui alla scadenza raccoglierà il voto di tutti i suoi trecentocinquanta abitanti, e di tutti quelli che arrivano per respirare il clima delle feste di paese, che si susseguono in ogni stagione dell’anno, perché questa è una comunità che ama sentirsi viva. In cucina, quando le luci si accendono, è un trionfo di primi piatti fatti in casa, dal tortellone alla tagliatella al ragù di cipolla, e del “friggione”, che da queste parti è un piacere del gusto di cui è difficile privarsi. Chi viene da Bologna deve sobbarcarsi un’ottantina di chilometri tra andata e ritorno, per assaggiarlo. Ma se lo fa, significa che ne vale la pena.
MONDO PICCOLO. Portonovo ha un cuore antico. Fu fondata nel 1334, quando fu costruito il “Canale di Trecenta”, il tratto navigabile di Buda che portava le merci verso Ferrara e Modena. Un porto nuovo, appunto: per questo la strada che arriva dentro al paese è una sottile linea grigia: dalla San Vitale quattro chilometri dritti verso Buda, una curva ad angolo retto verso destra, qualche centinaio di metri, un’altra curva secca a sinistra e di nuovo giù, altri cinque chilometri in linea retta che si perdono nel nulla. “E’ impossibile non trovare la piazza con il bar-trattoria”, dice sorridendo Romina Gurioli, presidente dell’associazione Pro Portonovi’s. “Prima che la strada faccia una leggera deviazione a sinistra e poi prosegua verso il Sillaro, ci sbatti contro”. La grande casa dove sorge il bar, con la trattoria ancora a pieno regime, è quella in cui è nato Giacomo. L’esercizio era gestito da suo zio, a fianco c’era il negozio di alimentari di papà Leandro, nell’edificio accanto la latteria della zia. Un mondo piccolo, guareschiano, da cui quel ragazzo gracile che ci sapeva fare col pallone partì appena dodicenne per andare a frequentare il collegio San Luigi a Bologna. Senza mai perdere il legame con le radici. Questo era davvero il porto nascosto, per lui. La pace e il silenzio in cui immergersi dopo le mille sfide del calcio.
GIOIELLO. Sul sito del FAI il paese è presentato come “borgo di Portonovo, città ideale del ‘700”, perché l’abitato risale a un preciso progetto architettonico della Comunità di Medicina, che a partire dal 1730 costituì qui il centro dell’azienda consortile, l’anima della Partecipanza comunale. Sulla strada, tra edifici settecenteschi, venendo da Bologna si nota sulla destra la “casa degli agenti” con il “palazzetto” che era la sede di rappresentanza e di soggiorno degli amministratori comunali. A sinistra il complesso parrocchiale di Santa Croce e San Michele Arcangelo, disegnato da Alfonso Torreggiani, che conserva un apparato iconografico e di arredo di grande interesse, tra cui spiccano la pala dell’altare, raro dipinto di Ercole Lelli, del 1730, e le tele del Seicento di Giovanni Battista Bolognini e Domenico Viani.
TERRA FERTILE. C’è un altro dettaglio che rende unico il paese. I terreni facevano parte della Partecipanza di Medicina, ma dopo il dissesto economico del 1892 divennero proprietà di un certo cavalier Benelli, che poi li cedette alla famiglia Tamba. Nel 1933 arrivarono le Assicurazioni Generali di Trieste e acquistarono tutto: terreni, case antiche e nuove, in un certo senso anche chi ci viveva dentro, perché la mano d’opera per i lavori nelle immense proprietà veniva scelta sul posto. Un ambiente di operai della terra, in cui la famiglia Bulgarelli spiccava per quello status di borghesia che può permettere una attività commerciale ben avviata. Insomma, la famiglia “stava bene”,
BANDIERA. Qui tutto è a due passi. Lo stadio, indicato così anche da un cartello stradale in tutto e per tutto simile a quelli dei grandi centri urbani, è a duecento metri dalla piazza principale. Inaugurato nel 1976, ci gioca il Portonovo, fin dalle origini nella categoria Amatori. Per decenni la società è stata presieduta da Valeriano Brusa, poi da Secondo Selva e oggi da Giuseppe Astorino. L’impianto è un gioiello, ci vengono a giocare da tutto il circondario e anche dalla Romagna. Il Primo Maggio è ormai tradizione mettere in cartellone il torneo “O la va o la spacca”, dedicato alle categorie giovanili. Ci ha portato i suoi ragazzi anche il Bologna. Il nome non è stato scelto a caso: da sempre, si chiama così la formazione giovanile del Portonovo, proprio quella in cui ha militato Bulgarelli prima di partire per Bologna. Ma pochi sanno che il campione è tornato a indossare questa maglia a fine carriera. Per due anni è stato regolarmente tesserato tra gli amatori del Portonovo, e con lui c’era anche Giuseppe Vavassori, portierone rossoblù degli anni Settanta, prematuramente scomparso. Ma “Vava” qui aveva fatto un patto: niente guanti da portiere, giocava centrocampista. Su questo campo, Bulgarelli portava anche gli amici delle amichevoli domenicali: Giorgio Comaschi, Fio Zanotti, Andrea Mingardi, Jimmy Villotti, e poi Colomba, Pecci, Massimelli. Erano i giorni in cui Portonovo, la piccola Portonovo, si sentiva al centro del mondo.
AL CINEMA! Dall’altra parte della strada, proprio di fronte al bar trattoria, c’è un cinema che va verso il secolo di vita. Fu costruito proprio quando le Generali presero possesso del paese, nel 1933. Fu lì che in una sera di ottobre del 1976 Sandro Ciotti venne a presentare in prima assoluta “Il profeta del gol”, film su Johann Cruijff di cui era regista. Lo portò Bulgarelli, naturalmente, e con lui Pesaola, tanti giocatori e tanti giornalisti. Finì tutto con la leggendaria “Rustida a Newport”, con Ciotti virtuoso della fisarmonica, chili di pesce sulla griglia e fiumi di buon vino della campagna.
Portonovo, insomma, è sempre stato un posto al centro del mondo dove un tempo c’era tutto, il pallone, la scuola, il cinema, i negozi. Eppure, anche un posto lontano da tutto. Per questo, forse, Giacomino sentiva sempre il bisogno di tornare.