La difficile convivenza tra scienza, fede e superstizione tra Medioevo e Rinascimento
di Serena Bersani
Nel cuore della Bologna medievale e rinascimentale, tra vicoli bui e torri svettanti, la magia e l’astrologia occupavano un posto di rilievo nella vita quotidiana, ma anche in quella accademica. Maghi, astrologi e streghe si muovevano nell’ombra della città, temuti e rispettati, consultati tanto dai popolani quanto dai nobili e dagli studiosi dell’Università.
L’Ateneo di Bologna, il più antico d’Europa, era un centro di studio non solo per il diritto e la medicina, ma anche per le scienze occulte. Qui, studiosi e filosofi si dedicavano alla lettura dei testi astrologici e alchemici, cercando di decifrare i segreti dell’universo e di predire il destino degli uomini e degli Stati. L’astrologia era una “scienza” presa sul serio, tanto che nel 1303 il Comune di Bologna aveva tra i suoi dipendenti, regolarmente stipendiato, anche un astrologo, tal Giovanni di Luni. Figure come Cecco d’Ascoli, che insegnò astrologia e medicina, furono invece perseguitate per le loro idee e accusate di eresia.
Cecco d’Ascoli, il cui vero nome era Francesco Stabili, fu un medico, astrologo e poeta vissuto tra il XIII e il XIV secolo. Insegnò all’Università di Bologna, ma la sua inclinazione verso l’astrologia e le sue teorie eterodosse lo resero sospetto agli occhi dell’Inquisizione. Convinto sostenitore dell’influenza astrale sugli eventi umani, Cecco si scontrò con la Chiesa, che vedeva nelle sue idee un pericoloso sconfinamento nell’eresia. Il suo libro più famoso, l'”Acerba”, un poema didattico in volgare, affrontava temi di cosmologia, magia e filosofia naturale, ma gli valse ulteriori accuse di eresia. Dopo essere stato costretto a lasciare Bologna, trovò rifugio in altre città, ma alla fine fu arrestato e condannato al rogo a Firenze nel 1327. La sua vicenda rimane emblematica della difficile convivenza tra scienza, fede e superstizione nella Bologna medievale.
Tra i grandi astrologi e maghi legati a Bologna, spicca anche Michele Scoto, un celebre erudito scozzese del XIII secolo, che operò alla corte di Federico II di Svevia e che Dante colloca nell’Inferno tra gli Indovini. Scoto fu un grande conoscitore di astrologia, alchimia e arti occulte, e pare abbia soggiornato a Bologna, probabilmente in contatto con gli ambienti accademici dell’epoca. Traduttore di testi arabi e autore di trattati esoterici, la sua fama lo circondò di un’aura di mistero, tanto che la tradizione popolare lo descrisse come un mago capace di prodigi incredibili. Secondo alcune leggende, Michele Scoto avrebbe persino previsto la sua stessa morte, confermando la sua fama di veggente. Si racconta infatti che egli avesse previsto di morire per la caduta di una pietra sulla testa. Convinto della sua profezia, evitava luoghi pericolosi e portava sempre sul capo una sorta di casco, ma un giorno, mentre si trovava in chiesa, si scoprì la testa in segno reverenziale e una pietra si staccò dalla volta e lo colpì fatalmente, adempiendo così al destino da lui stesso annunciato. Un’altra delle sue più celebri predizioni riguardò proprio il suo protettore, Federico II. Scoto avrebbe annunciato che l’imperatore sarebbe morto in un luogo che portava il nome di “fiore”. Federico, noto per la sua razionalità e il suo spirito scientifico, si mostrò inizialmente scettico, ma con il tempo iniziò a evitare luoghi con nomi simili, come Firenze, Faenza e Fiorenzuola. Tuttavia, nel 1250, si ammalò gravemente e morì a Castel Fiorentino, confermando la profezia del suo astrologo e accrescendo la fama leggendaria di Michele Scoto.

http://www.metmuseum.org/art/collection/search/771624
Un’altra figura che lasciò il segno a Bologna fu Paracelso, il celebre medico, alchimista e filosofo del XVI secolo. Sebbene il suo soggiorno nella città non sia documentato in modo dettagliato, si ritiene che abbia avuto contatti con l’Università e con alcuni ambienti ermetici locali. Paracelso rivoluzionò la medicina con le sue teorie basate sulla chimica e sull’influenza degli astri, opponendosi alla medicina tradizionale basata sulle dottrine di Galeno e Avicenna. La sua visione univa la scienza alla magia, e il suo interesse per gli elisir di lunga vita e per la trasmutazione dei metalli lo rese una figura enigmatica e discussa. La sua eredità influenzò molti studiosi bolognesi, che nei secoli successivi continuarono a esplorare i confini tra alchimia e scienza.
A completare questo quadro di saggezza e fatalità, nel fervore del Rinascimento bolognese, si distingue la figura di Girolamo Manfredi, un astrologo rinascimentale la cui fama fu inevitabilmente legata alle sventure delle sue previsioni. Manfredi osò sfidare i potenti annunciando, in toni cupi e infausti, la rovina dei signori di Milano. Le sue parole, pronunciate sotto cieli tempestosi e in notti illuminate da stelle contrarie, divennero presto motivo di sgomento tra i nobili e i governanti, che vedevano in quelle predizioni non solo un presagio, ma un vero e proprio attacco al loro potere.

Liber de homne di Girolamo Manfredi
Si narra che, durante un concilio segreto tra astrologi, egli sostenne che le orbite celesti avrebbero presto fatto precipitare inesorabilmente la fortuna dei signori milanesi, portando sventure tali da distruggere interi regni. Questa audace proclamazione, in un’epoca in cui il destino era considerato sacro e incontestabile, gli costò non pochi nemici: i potenti, intimoriti e offesi, reagirono con furia, decretando che chi osasse predire calamità così funeste avrebbe dovuto subirne le conseguenze. Manfredi divenne così un monito per ogni astrologo rinascimentale: conoscere il futuro poteva rivelarsi un fardello troppo pesante, capace di trasformare il veggente in un paria, condannato a vivere nell’ombra dei suoi stessi presagi.
Un altro personaggio di spicco legato all’alchimia e alla Bologna del Seicento fu Vincenzo Casciarolo, un modesto artigiano e alchimista che scoprì una delle curiosità più affascinanti della storia della scienza: la “pietra fosforica di Bologna”. Casciarolo, sperimentando con minerali raccolti sulle colline bolognesi, scoprì che la barite, se sottoposta a un trattamento di calcinazione, acquisiva la proprietà di brillare al buio dopo essere stata esposta alla luce solare. Questa pietra luminosa suscitò un enorme interesse tra gli studiosi dell’epoca, tanto che venne studiata da scienziati e alchimisti di tutta Europa. La scoperta di Casciarolo segnò un importante passo nella comprensione dei fenomeni di luminescenza e contribuì allo sviluppo delle conoscenze chimiche.
Nei mercati e nelle piazze, invece, operavano indovini e streghe, offrendo amuleti e pozioni per proteggere dagli influssi malefici o per conquistare un amore impossibile. Tra le figure di maggio rilievo ci fu Gentile Budrioli, la “strega” personale di Giovanni II Bentivoglio, signore di Bologna, e di sua moglie Ginevra Sforza. Budrioli, inizialmente stimata come guaritrice e astrologa, divenne una delle consiglieri più fidate della corte, ma il suo crescente potere suscitò sospetti e invidie. Accusata di praticare magia nera e di complottare contro la città, fu arrestata e giustiziata dall’Inquisizione nel 1498. La sua vicenda rappresenta uno degli esempi più noti della persecuzione delle donne accusate di stregoneria a Bologna.
In copertina: Il laboratorio dell’alchimista, illustrazione di Hans Vredeman de Vries contenuta nell’Amphitheatrum sapientiae aeternae di Heinrich Khunrath.