Percorrendo il corso del torrente si incontrano oratori, ghiacciaie e torri colombaie. Tra i maceri non è difficile ammirare il volo di aironi e ibis che pasteggiano nei campi e nei fossi
di Francesco Nigro
(articolo pubblicato nel numero uscito nell’autunno 2018)
Considerata la sua estensione, il Savena Abbandonato è, probabilmente, uno dei canali più bistrattati e dimenticati di Bologna. Se si pensa ad un corso che faccia da gronda alle acque in uscita dalla città viene immancabilmente in mente il Navile, col suo passato di naviglio cittadino, ma non il Savena Abbandonato. Un termine, abbandonato, che ben gli si addice sotto tanti punti di vista ed al contempo richiama altri idronimi tipici: Idice Abbandonato, Montone Abbandonato, Lamone Abbandonato e si potrebbe continuare. Termini che definiscono gli alvei di corsi d’acqua storicamente deviati dai rispettivi letti, rimasti quindi abbandonati. La deviazione avvenne nel 1776, il Torrente Savena scorreva troppo vicino all’ultima Cinta Muraria, mettendo a repentaglio una cittadina che nel tempo si era espansa verso le sue sponde, creando danni ai terreni ed alle abitazioni immediatamente al di fuori delle mura. La deviazione avvenne nella zona dell’attuale via Longo, portando il torrente ad immettersi nel Torrente Idice.
Una parte del letto del Savena scomparve, quasi del tutto, lasciando avvallamenti nascosti fra le case, sepolto dalla campagna e dalla progressiva urbanizzazione, fino al punto di immissione della Fossa Cavallina, torrentello bolognese che ancora oggi lo alimenta impercettibilmente sotto al piano stradale. Il canale attraversa quindi la città tornando visibile nella periferia dove serpeggia in un fazzoletto di campagna, lungo via Romita, il cui stesso nome traspare volutamente suggestioni di solitudine. Si perde poi sotto le case di via Stalingrado, qui è ancora visibile un ponte con la campata oggi tamponata, dove il corso tombato si inserisce sotto al piano stradale. Prosegue e viene ad essere costeggiato dalla Ferrarese, caricandosi degli scoli della città (acque in origine di canale di Reno e di Savena) e della pianura, tradendo le sue origini di corso d’acqua naturale e definendo con le sue anse le tante curve di quella strada che seguiva il fiume e che oggi sembra semplicemente disegnata da un folle. L’antico alveo del torrente, già da tempo, doveva fungere da corridoio ecologico. Troviamo l’abitato di Lovoleto, da “lovo”, termine arcaico per indicare il lupo, ad identificare questa zona che in passato era popolata da animali che in pianura ci potevano arrivare e non hanno mai seguito sciocchi stereotipi. Lungo l’adiacente scolo Zena Superiore troviamo, non a caso, il toponimo Cantalupo. Un altro toponimo, “via del luzzo”, ci ricorda il passato di queste zone ed un altro predatore di queste acque, il luccio, ormai quasi leggenda nel bolognese.
Proseguendo verso nord il corso si configura con caratteri di maggiore artificiosità, diversi gli interventi che nel tempo hanno conferito all’attuale Savena Abbandonato il carattere di un importante corso deviato e rettificato, con argini che superano il piano di campagna. Poco oltre la località Cà de Fabbri vediamo immettersi parte delle acque del Navile, deviate a Bentivoglio tramite apposito diversivo. Prossimi ormai al Reno il canale scavalca le “Acque Basse e Alte” (Lorgana e Botte), per poi seguire parallelamente i due canali di bonifica ed il fiume. A Gandazzolo, nel comune di Baricella, una vasta area allagabile protegge la pianura, quando le porte vinciane del Reno si serrano per la piena, lasciando tutto il carico di acque da smaltire al Savena Abbandonato chiuso.
Abbandonato, eppure non mancano le sorprese per chi si trovasse a percorrerne queste terre: oratori, ghiacciaie e torri colombaie compaiono durante il percorso, fra le piane costellate di maceri, i trilli delle gallinelle, qualche ormai rara testuggine palustre italiana, ed il volo di aironi e ibis che pasteggiano nei campi e nei fossi. Ritroviamo il Chiesolin delle Barche con la leggenda di San Folco, Arcivescovo di Ravenna, che si fece trasportare morto, da animali mai domati, per trovare luogo di sepoltura dove lo avesse voluto Dio, riconosciamo un’edicola votiva dedicata agli innamorati, anche una notevole torre costruita su una ghiacciaia.
Se da un lato non sfugge la bellezza del non lontano castello di San Martino di Soverzano, lungo lo Zena, dall’altro stupisce l’opera di un grande architetto delle acque, caro ai bolognesi, Jacopo Barozzi detto il Vignola, noto per i suoi sostegni sul Navile. A Minerbio, fra Savena Abbandonato e Zena, adiacente al castello, troviamo un’enorme struttura a torre ottagonale che porta la sua firma, simile ad un battistero, ma più semplicemente una pratica, spettacolare, enorme, torre colombaia.