L’oratorio dello Spirito Santo

0

Eretto dai padri Celestini attorno al quattordicesimo secolo, a fine Ottocento era diventato il laboratorio di un falegname. Ristrutturato da Rubbiani fu presto abbandonato nuovamente fino al definitivo ampliamento del 1965

Gian Luigi Zucchini

Essendo nato nel centro storico di Bologna, percorrevo spesso da bambino e da ragazzo le antiche vie e i vicoletti della città, con una certa curiosità per certe stradine in ombra, dove i portici circondavano parzialmente la poca luce che si infilava tra le case e le colonne. Una di queste, dove quasi sempre si avvertiva uno strano odore di umidità, era via Val d’Aposa, tracciata proprio lungo il corso del torrente Aposa, dove ogni tanto qualcuno, disperato, vi si gettava dentro, come ricorda Giovanni Pascoli, anch’egli tentato dal suicidio proprio in quel corso d’acqua, quando nei primi anni della sua giovinezza studiava all’Università bolognese, tra molta miseria e frequenti disperazioni.

Era una zona dove altre strade avevano toponimi simili, come via Avesella o via Aposazza,
a ricordo di torrenti e torrentelli che scorrevano nella zona, scendendo da Roncrio fino a giungere in città ed attraversandone il centro, che pare fosse, fin dal VI secolo a.C., il nucleo centrale della città etrusca di Felsina, intorno al quale sorse poi la città romana Bononia.
Ebbene, percorrendo questa breve viuzza non molto larga, era frequente dare un’occhiata oltre gli archi del portico e notare, a circa metà del percorso, un piccolo spiazzo con un edificio che pareva una cappella, ma assai malandata, che ancora a fine Ottocento veniva utilizzata come laboratorio di falegnameria, poi di un fabbro, poi del tutto chiusa.
In seguito, abbandonata, fu lasciata a lungo in una situazione di degrado, che io stesso ricordo quando, passando da lì, mi chiedevo cosa mai fosse stato quel piccolo edificio sempre chiuso e, nonostante i restauri della fine dell’Ottocento, nuovamente malridotto.

Già infatti ci aveva messo mano nel 1892-93, Alfonso Rubbiani, benemerito, anche se molto discusso, per il grande lavoro di riordino e risistemazione della città, attuando un radicale restauro e il tempietto parve rinascere. Ripulita la facciata, era emerso il bel colore del cotto bolognese, che Rubbiani realizzò ricolorando tutto il complesso con una tinta rossastra, il più vicino possibile all’antico colore al fine di intonare la nuova tinteggiatura con le parti dell’antica, allora ancora visibili qua e là; il piccolo spazio davanti all’edificio fu rimodellato e fu realizzato un nuovo gradino alla base della facciata; inoltre fu inventato un occhio tondo nel timpano della facciata stessa, al posto di un’apertura ovale probabilmente non originale, e fu costruita una cornice di contorno alla porta, sul tipo di decorazione già utilizzata dallo stesso Rubbiani per armonizzare ed abbellire arcate di portico, portoni e finestre nell’antico centro storico della città. Infine vennero trasformate le due nicchie al lati della porta, che recavano tracce di precedenti pitture.
L’Oratorio fu poi ampiamente ripulito e sottoposto ad un nuovo e generale restauro nel 1965 e – chiuso da una cancellata che dà all’edificio maggior armonia e solennità – fu riaperto al culto.
La facciata, cioè la parte che maggiormente colpiva anche quando l’oratorio era in condizioni miserevoli, è armonicamente movimentata da un complesso di statuette e di eleganti rilievi che ne riempiono la parte superiore. Così, dopo i vari restauri, si possono leggere abbastanza nitidamente le figure racchiuse in cinque tondi sulla facciata (al centro Cristo, ai lati figure di santi in preghiera) e le ricche decorazioni che coprono pressoché tutta la facciata, insieme a fregi e composizioni ornamentali
Poi, ancora recentemente, fu collocato sulla cancellata che dà sulla strada, un cartiglio in cui, come in molti altri palazzi e chiese bolognesi, si racconta in breve la storia e la funzione dell’edificio; così, passando da lì, ci si può fermare un momento a leggere, scoprendo in tal modo alcuni particolari della storia della città, che forse si ignoravano.

La chiesetta, che è piuttosto un oratorio, è dedicato fin dalla sua costruzione, allo Spirito Santo, e fu eretto dai padri Celestini per custodire degnamente una statua della Vergine.
Questo Ordine monastico fu fondato da Pietro di Morone, poi papa col nome di Celestino V, ben noto per essere stato ricordato da Dante nel III canto dell’Inferno come ‘colui che fece per viltade il gran rifiuto’; consistente, questo rifiuto, nel deporre la tiara pontificia non tanto (e non solo) per ‘viltade’ come dice Dante, ma per le lotte furibonde tra i cardinali, le casate aristocratiche, le pressioni dei politici del tempo e soprattutto di Carlo d’Angiò, per forzare la Santa Sede a fare scelte che Celestino non voleva, ritenendole non inerenti alla religione e alla fede, anzi, in molti casi, addirittura contrarie ad esse.

I monaci Celestini tuttavia, (nonostante la prigionia di Celestino nella rocca di Fumone e poi la sua morte a 87 anni) si diffusero in diverse parti e, tra altri luoghi, si stabilirono nel 1368 anche a Bologna, costruendo poi l’Oratorio di via Val d’Aposa e mantenendolo al culto finché la Compagnia dello Spirito Santo, che gestiva la chiesa, non fu soppressa nel 1798.
Un piccolo tesoro, tra i tanti, anche molto importanti conservati a Bologna, che ci è sembrato utile far conoscere, per poter apprezzare sempre più e meglio la nostra antichissima e bellissima città.

Condividi con

About Author

Comments are closed.