Sotto gli archi del cento di Bologna le “notizie” si diffondono con rapidità sconcertante. Come quando Divac voleva comprare casa in collina…
di Marco Tarozzi
Vedi alla voce “accoglienza”. È la prima parola che viene in mente, raccontando dei portici di Bologna. Un luogo che può diventare magico, come in certi vicoli del centro dove la luce del sole filtra di taglio solo nelle ore più magiche del giorno. Il posto degli incontri, del riposo e della riflessione, che racchiude le storie ed i segreti della città. Il posto delle parole sussurrate, anche. Delle rivelazioni che qui, più che nelle larghe piazze, scivolano di bocca in bocca, spesso ingigantendosi. Succede anche con le cose di sport: quante notizie sono arrivate prima qui che sui media, con i sussurri che si sono presto trasformati in grida e i fatti di cronaca in favole, quasi sempre a lieto fine? Già, tra il certo e il forse, sotto i portici le storie di sport, quasi sempre di mercato, diventano così condivise da sembrare vere anche quando non lo sono.
BULGARO RESTA
Era l’estate del 1970, quando nella frescura dei portici iniziò a circolare una notizia rovente: il Bologna stava per vendere la sua bandiera, il capitano di mille battaglie: Giacomo Bulgarelli. Vero, falso? C’era tanto di vero, in quella notizia. Filippo Montanari, appena diventato presidente… “di minoranza”, con soltanto il 5% delle quote societarie, e Edmondo Fabbri, allenatore che tra Torino e Bologna si stava lasciando alle spalle i fantasmi del Mondiale del ’66 e del coreano Pak Doo Ik, sapevano benissimo che Bulgaro era un “incedibile”. Il problema è che il Milan lo voleva a tutti i costi, per costruire una linea di centrocampo da sogno: Bulgarelli, Combin, Rivera. Così, il presidente Franco Carraro sventolava sotto i loro occhi un assegno da 800 milioni dell’epoca, una tentazione irresistibile. Nei giorni della trattativa, la notizia deflagrò proprio sotto i portici, passò di bocca in bocca e i tifosi scesero sul piede di guerra, al grido di “Giacomino non si tocca”, lanciato dalla bandiera più influente della storia rossoblù, Angiolino Schiavio. E la rabbia montò quando si seppe che i due, Montanari e Mondino, erano saliti a Milano per discutere con la dirigenza rossonera. Forse i “rumours” e la conseguente rivolta popolare non sarebbero bastate, non fosse che anche i diretti interessati erano ben poco convinti di portare a termine l’affare. Così, chiusi in un taxi a poche centinaia di metri dalla sede del Milan, non scesero neppure e comunicarono al Ds Bruno Passalacqua la decisione finale: Bulgarelli restava al Bologna, per la gioia sua e della piazza. Che poi si esaltò, perché in quei giorni il presidente mise a segno colpi importanti: arrivarono Fedele dall’Udinese, Rizzo che aveva vinto lo scudetto con la Fiorentina. Arrivò anche un ragazzo destinato a diventare una stella, che fu fermato dalla sfortuna dopo aver mostrato il suo valore nella prima parte del campionato: Franco Liguori si schiantò il 10 gennaio del ’71 contro Romeo Benetti, proprio nella sfida contro il Milan a San Siro, e la sua carriera ad alto livello fu troncata. Nonostante questo, quel Bologna pieno di campioni (oltre a Bulgarelli c’erano Vavassori, Janich, Roversi, Fedele, Cresci, Savoldi e quel cavallo pazzo di Bruno Pace) riuscì a chiudere la stagione al quinto posto.
LA CASA IN COLLINA
Un salto avanti di quasi trent’anni, estate 1996, e cambio di scenografia: dai campi di calcio ai parquet del basket, dove la Virtus domina da anni: tre scudetti in fila tra il 1993 e il 1995, anni d’oro della stella Danilovic, e ancora un trofeo, la Supercoppa Italiana, nel 1996, l’anno in cui la squadra deve attutire il colpo della partenza del suo campione verso la Nba. Arijan Komazec, il campione designato a prendere il posto di Sasha nel cuore dei tifosi bianconeri, è un talento cristallino ma bizzoso, e anche se la V nera resta nell’elite della pallacanestro italiana, non è più la stessa cosa.
Ed ecco, allora, riaccendersi le voci dei portici. Dall’altra parte dell’oceano, proprio in quel mondo dorato dove è approdato Danilovic, un altro grande slavo, Vlade Divac, sta chiudendo la sua fantastica avventura ai Los Angeles Lakers. Per qualche rapido conto, di quelli che non si possono neppure spiegare (Divac amico di Danilovic, “rumours” che lo danno stanco del mondo Nba), improvvisamente si va ben oltre i mormorii: sotto i portici, qualcuno comincia a vedere il giocatore in persona. O meglio, la sua gentile consorte. “Sta cercando casa sui colli…” è il mantra dei soliti bene informati. “Ho un amico che lavora in un’agenzia immobiliare, è una notizia certa”. Naturalmente, da tenere rigorosamente segreta. E infatti ci mette un niente a viaggiare per la città, in tempi ancora non monopolizzati da internet. Fino al colpo di scena finale: nel ghetto ebraico c’è il ristorante Benso, tra i cui proprietari c’è Roberto Brunamonti: bene, c’è chi spergiura di aver visto Divac entrare nel locale, ma nessuno è poi in grado di dare dettagli, se il fuoriclasse si sia buttato sui classici tortellini in brodo o abbia virato sulla cotoletta. Di fatto, oggi la faccenda sarebbe bollata in un amen: fake new. Vero, Vlade Divac a fine stagione lascia i Lakers dopo più di 500 partite disputate in gialloviola: ma per trasferirsi ai Charlotte Hornets. Giocherà nella Nba fino al 2004.
SENZA OCCHIALI
A proposito di 2004, ecco Leonardo Del Vecchio, presidente di Luxottica, girare furtivo sotto i portici. Lo ha avvistato più di una vedetta, basta fare due più due e il motivo del viaggio è chiaro: l’acquisto del Bologna. Che Giuseppe Gazzoni sia stanco è palese: il patron si è anche defilato, lasciando Cipollini presidente della società. Ma l’avvistamento è fasullo, e semmai dovesse approdare al mondo del calcio, Del Vecchio ha dichiaratamente altre mire: per smentire le voci, gli tocca mandare una lettera aperta proprio a Cipollini, nella quale si definisce “un interista paziente”. Caso chiuso per il Bologna, che nel 2006 finirà a Cazzola, e mai decollato per l’Inter.
FUGA ALL’INGLESE
Ma a volte dai portici sbucano davvero facce note. Succede, per esempio, nel luglio 2008, quando qualche fisionomista pensa di riconoscere il presidente del Livorno, Aldo Spinelli, in via Castiglione. Sta entrando, dicono i bene informati, in uno studio di commercialisti ultranoto in città. Il tam tam funziona, anche perché i siti internet ormai funzionano che è un piacere: la notizia gira su forumrossoblu.org, e di lì a poco davanti al portone stazionano i giornalisti. E Spinelli, effettivamente, c’è. Dentro, si mormora, lo aspettano Alfredo Cazzola e Renzo Menarini per vendergli il Bologna. Lui ha portato con sé, come consulente di mercato, Rino Foschi. L’attesa si prolunga fino alle 17.20, quando Spinelli esce sorridendo e sfodera una scusa che pare una barzelletta: “Ci hanno chiesto Pulzetti e Tavano, in cambio di Adailton e Carrus”. Il naso si allunga a dismisura. Foschi fa di più: mezz’ora dopo si affaccia al portone, vede la stampa schierata e infila una porta secondaria. Raggiunto al telefono, spiegherà che “ero allo studio per pagare vecchie parcelle”, malcelando la volontà di essere tenuto fuori dalla storia. Che c’è, è concreta, ma non porterà a nulla: Cazzola lascerà il Bologna, come voleva, ma nelle mani dell’ex socio Renzo Menarini, che affiderà la presidenza alla figlia Francesca.
TUTTI A SCUOLA
Storie così, sussurri da portico. E se ne potrebbero contare a decine, di avvistatori seriali. Sempre con la stessa formula, accattivante: “certo che l’ho visto, e ti dirò di più: ha già iscritto i figli a una scuola privata, me lo ha detto un’amica che lavora lì…”