LE TERME, dai Romani al Rinascimento

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La passione dei bolognesi per le proprietà salsobromoiodiche delle acque. Il complesso liberty delle Terme Alte di Porretta sul podio del concorso “I luoghi del cuore” del Fai

di Serena Bersani – Gallery fotografica di Salvatore Di Stefano
(pubblicato sul numero di primavera 2019)

Scomparse, sepolte, nascoste o semplicemente dimenticate e trascurate. Sono tante le fonti termali nel territorio bolognese, scoperte e valorizzate dagli antichi romani, amate e frequentate in epoca rinascimentale, considerate uno degli svaghi borghesi per eccellenza fino a metà del Novecento. Quelle più note e più importanti per le proprietà salsobromoiodiche delle sue acque sono sempre state le terme di Porretta, che sgorgano sull’Appennino, nell’alto Reno, da epoca immemorabile. Soggette a un colpevole declino dalla fine degli anni Settanta, stanno ora cercando di vivere una stagione di riscatto grazie all’impegno di un comitato di cittadini che, attraverso il passaparola, è riuscito a portare l’incantevole complesso liberty delle Terme Alte sul podio del concorso “I luoghi del cuore” del Fai, il Fondo ambiente italiano. Così, la cenerentola delle terme emiliane ha potuto contare su di un esercito di “fate madrine” che, da tutta Italia, hanno espresso con un click il loro voto per salvare quello che è un luogo del cuore da riportare agli splendori di un tempo. Per raggiungere il terzo posto sugli oltre 37.200 luoghi votati quest’anno, le terme di Porretta hanno potuto contare su 75.740 votanti, rispetto a una popolazione di nemmeno 5.000 abitanti, 10.000 se consideriamo il territorio sovracomunale costituitosi amministrativamente nell’Alto Reno Terme. Ciò significa che altre 65.000 persone sparse per l’Italia hanno deciso di sostenere un progetto che, in termini economici, ha fruttato pochissimo – appena 30.000 euro – ma che rappresenta un fortissimo desiderio di non abbandonare al degrado un luogo che ha anche un alto valore artistico, oltre che terapeutico. Tra i sostenitori ci sono nomi importanti, come il maestro Giorgio Zagnoni – porrettano doc – e poi Francesco Guccini, che vive nella limitrofa Pavana, il vescovo di Bologna Zuppi e il regista Pupi Avati, che in questo territorio ha girato diversi suoi film, a cominciare da Una gita scolastica del 1983. Avati ha raccontato di avere un affetto quasi “genetico” per questi luoghi perché i suoi genitori si conobbero e si innamorarono proprio a Porretta nell’estate del 1936. Un luogo d’amore scelto anche per la storia raccontata da Susanna Tamaro in Va’ dove ti porta il cuore che, a metà maggio, dovrebbe essere a Porretta per un evento che celebrerà i 25 anni dell’uscita del suo best seller.

Le proprietà delle acque termali di Porretta vennero scoperte dai romani, come dimostrano i manufatti di età imperiale ritrovati nel greto del Rio Maggiore, a cominciare dal mascherone in marmo di Carrara con volto di leone, del I secolo dopo Cristo, divenuto l’emblema delle terme porrettane. Ma c’è un altro animale nella storia cittadina, a cui la leggenda diffusasi in epoca medievale attribuisce la scoperta delle acque terapeutiche. Si tratta di un bue, abbandonato dal padrone perché malaticcio e improduttivo che, dopo essersi abbeverato a questa fonte, tornò dal proprietario risanato e nel pieno della forma. In epoca rinascimentale la località era certamente assai nota, come testimonia l’opera del 1483 di Giovanni Sabadino degli Arienti Le porrettane, in cui si raccontano sul modello del Decamerone le avventure amorose di un gruppo di giovani qui ritrovatisi per passare le acque. Nella realtà, andavano a beneficiare delle terme di Porretta anche personaggi come Lorenzo il Magnifico, il pittore Andrea Mantegna e Nicolò Macchiavelli che cita il valore di queste cure nella commedia La mandragola.

I riflettori che si sono riaccesi sulle Terme Alte porrettane grazie al concorso del Fai, hanno riportato alla luce anche alcuni capolavori di epoca liberty (uno stile che si ritrova in molti edifici del paese) rimasti nascosti per decenni, quale il Grottino Chini non visitabile perché necessita di restauro, ma che forse potrà essere riportato allo splendore originario se alle migliaia di click raccolti come “luogo del cuore” corrisponderanno adeguati finanziamenti da enti locali o sponsor privati. Adibito a sala bibita, il Grottino Chini così chiamato per la volta a cupola con tanto di stalattiti, ha le pareti e il pavimento rivestiti da migliaia di piastrelle in maiolica dipinta e decorata a lustro, progettate una a una per comporre una fantastica composizione nello stile della corrente artistica imperversante negli anni Venti del secolo scorso. L’auspicio di chi ha votato è che il restauro del cuore delle Terme Alte sia solo un primo passo per rivalutare l’intero complesso e riportare Porretta ai fasti di un tempo.

Dimenticate, perché scomparse, sono in città le terme che in epoca romana si trovavano in via Saragozza, dove c’è Palazzo Albergati. Qui l’omonima famiglia senatoria aveva le proprie dimore fin dal XIII secolo e nel cortile dell’attuale palazzo venne collocata nel Seicento una lapide in calcare di epoca augustea rinvenuta nella proprietà, la quale indica che già nel I secolo dopo Cristo in quel luogo vi era il principale stabilimento termale della città che «il divo e padre Augusto costruì e Germanico restaurò». Le terme furono infatti ripristinate dopo il terribile incendio che distrusse la città nella seconda parte del I secolo. Vi si legge inoltre che nel II secolo il bolognese T. Aviasio Servando lasciò in memoria dei propri figli l’imponente cifra di quattromila sesterzi affinché l’accesso alle terme fosse per sempre gratuito per tutti. Un’altra iscrizione “pubblicitaria” del III secolo racconta di un centro termale suburbano che offriva gli stessi servizi di quello di città. La caduta dell’impero romano chiuse anche la stagione della salus per aquam di via Saragozza.

Nell’Ottocento, però, i bolognesi scoprirono una fonte termale a Corticella, come indica ancora oggi il toponimo di via delle Fonti e come si evince dall’insegna posta sopra una cancellata: «Antiche fonti acque salutari di Corticella». Scoperte le proprietà terapeutiche di quelle acque nel 1829 dal farmacista Giovanni Minelli, in quella zona all’epoca di campagna sorse un parco termale che attirava tutta la Bologna “bene” fino al secondo dopoguerra. Nel 1960 la sorgente fu interrata e le terme lasciarono il posto a un cinema all’aperto.

Sempre nell’Ottocento erano in gran voga anche le terme collinari di Gaibola e di Casaglia, antenate delle attuali Terme Felsinee nel quartiere Barca alimentate dalla fonte San Luca che corre a 160 metri di profondità. La fonte Alexander, invece, alimenta il gemello centro termale di via Agucchi, mentre un moderno condotto lungo sei chilometri porta allo stabilimento di via Irnerio queste acque riconosciute a tutti gli effetti come “termali” dal ministero della Salute.

All’inizio del Novecento un’altra sorgente molto frequentata dai bolognesi si trovava nella zona di Castello di Serravalle, lungo la strada del Rio Marzatore, dove scorre acqua terapeutica salata. Un fenomeno che ha una spiegazione geologica: si tratta di acqua di mare fossile rimasta imprigionata tra le argille plioceniche quando il mare si ritirò e si formò la pianura padana. Nella zona sono stati trovati i resti di un delfino e lo scheletro completo di una balenottera (oggi esposti al Museo di paleontologia dell’Università), a testimonianza che un tempo anche Bologna aveva il mare.

 

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