La saggezza della cultura contadina nei proverbi di una volta
di Adriano Simoncini
(Pubblicato sul numero uscito nell’inverno del 2012)
Per Senta Luzèia
la giurneda piò curta ch’a si séia
per Santa Lucia ( 13 dicembre)
la giornata più corta che ci sia
Che non è vero, il solstizio d’inverno infatti cade il 21 dicembre. Ma certo non fu la rima a trarre sul giorno della Santa protettrice della vista la notte più lunga: si temeva il buio della notte invernale come si temeva la cecità. Per di più – prima del 1582 quando papa Gregorio XIII, riformando calendario giuliano che era in ritardo rispetto al corso del sole, tolse quell’anno 11 giorni al mese di dicembre – v’era stato un tempo in cui il solstizio invernale avveniva di fatto intorno al giorno di Santa Lucia.
Come che sia, con l’appressarsi dell’inverno le giornate s’accorciano, ma oggi appena ci se ne accorge. Luci abbaglianti nelle vie e nelle abitazioni tengono luogo del sole, e le tenebre fuori paiono meno spesse, bucate dagli innumerevoli fari delle auto e dai mille colori delle insegne al neon. Una volta invece, prima dell’avvento dell’elettricità, il buio sopraggiungeva in fretta e impenetrabile. Nella nostra montagna nessun lampione, o rari e fiochi nei borghi, nelle case parche candele, lumini a petrolio, a olio, a carburo o solo la fiamma del focolare. Ce lo conferma questa ninna nanna con le parole che la madre rivolge al figlioletto nell’addormentarlo:
Fa la nana fala pur
Ch’andarém pò a lèt a e bur
Con la lóm senza stupín
Fa la nana e me mimín.
Fai la nanna falla pure
che andremo poi a letto al buio
con il lume senza stoppino
fa la nanna o mio bambino.
La notte premeva tetra ai vetri, alle porte. Ogni fruscio, ogni rumore, ogni passo diveniva misterioso. S’andava a letto presto e ci si affidava alla misericordia di Dio. Del resto motivazioni a pregare, a rivolgersi al cielo i montanari ne avevano in abbondanza, soprattutto al calare angoscioso della notte. Il raccolto, unica risorsa al vivere, cresceva nei campi affidato alla Provvidenza e ai Santi – non c’era riparo contro tempeste, gelo o siccità – e la stessa salute era un bene precario, lontani i dottori e sconosciute le medicine: in caso di malore improvviso non vi sarebbe stato rimedio se non di preghiere. In aggiunta la notte, cupa di tenebre quando non c’era la luna, troppi spiriti maligni e morti in pena, secondo la comune credenza, vagavano a impaurire i vivi. E il diavolo era pronto ad artigliare i peccatori impenitenti che non s’affidavano a protettori ultraterreni. Quindi rosari e trepide orazioni prima di rifugiarsi nel sonno. Come la seguente:
A let a let a m’in vò
tott i Sent a ciamarò
tri da có e tri da pé
tott i Sent iin me fradé
la Madona séia me méder
sen Iusèf séia me péder
ch’a posa durmir sèiuv sicurament
senza pòra né spavent.
O Signor avgnì un pó in só
perché an so s’a m’alzarò pió.
A letto a letto me ne vo
tutti i Santi chiamerò
tre da capo e tre da piedi
tutti Santi sono miei fratelli
la Madonna sia mia madre
san Giuseppe sia mio padre
che io possa dormire salvo sicuramente
senza paura né spavento.
O Signore venite un po’ su
perché io non so se m’alzerò più.