A Zaccanesca al donn a gl’in bèli e l’aqua l’è fresca

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La saggezza della cultura contadina nei proverbi dell’Appennino

di Adriano Simoncini

Un tempo l’acqua in montagna era preziosa. In casa l’avevano solo nei paesi e a volte nemmeno. C’era però la fontana della piazza: il campanile suonava mezzogiorno e la mamma mi mandava a prenderla per berla a pranzo. Sotto il sole di luglio la fila davanti alla ‘pompa’ – così la chiamavamo – spesso era lunga, c’erano altri ragazzi in attesa col bottiglione. Ma la fontana aveva tre bocche e tirava.

Nei poderi, i contadini l’acqua l’andavano a prendere direttamente alla sorgente – e molti poderi traevano il nome proprio dall’averla abbondante: la Bunaca, Funtenabura, al Funtaneli, Aquafresca, Aquabela, Aquachelda, la Dòz, Funtèna Vandesca, Font de Mación, Funtèna murtezza, la Fosa, Lavandèra…Vi ci si recava con due secchi appesi a e bàzel, una pertica che fungeva da bilanciere. C’era chi l’aveva vicino a casa e chi lontano, e il compito toccava ai più giovani. Motivo per il quale chi voleva incontrare una ragazza s’appostava all’acqua intorno a mezzogiorno o verso sera, speranzoso. In proposito cito un detto a vanto del proprio borgo:

arcurdèv che a Zaccanesca
al donn a gl’in bèli e l’aqua l’è fresca
ricordatevi che a Zaccanesca
le donne sono belle e l’acqua è fresca.

Le fontane dei borghi – ma anche le sorgenti prossime alle case dei poderi – avevano tutte l’ebi, l’abbeveratoio per il bestiame, fosse una vasca in muratura, un blocco d’arenaria incavato con lo scalpello o semplicemente un tronco orizzontale con una capace scannellatura. La mattina presto, e la sera, le bestie le si conducevano a bere e per invogliarle il contadino fischiava. Fosse usanza efficace non so. So invece in merito, e riporto, un detto ‘castionese’:

l’è inutile fistciare ai bò quande i n’an sede 
è inutile fischiare ai buoi quando non hanno sete.

Foto Frediano Salomoni

Poi c’erano i ‘panni’ da lavare e lo si faceva a mano. Qualche borgata era dotata di pubblico lavatoio, ma pressoché ovunque le spose lavavano la roba della famiglia nelle pozze dei fossi, sopra una lastra, o nel torrente più vicino quando d’estate le sorgenti appena gocciavano. Riempivano di indumenti e lenzuola grandi panieri di vimini, i panirón, s’avviavano col sole e in ginocchio, per ore, insaponavano e sciacquavano poi a stendere le lenzuola sui cespugli attorno! A primavera prati, siepi, arbusti erano in fiore e la biancheria s’impregnava dell’effluvio amaro del biancospino o, dolcissimo, del caprifoglio.

D’inverno l’acqua gelava e per lavare occorreva spaccare la lastra di ghiaccio che s’era formata sulla superficie della pozza: prima d’iniziare le donne si bagnavano le mani con poco d’acqua calda, mentre il fiato gli si rapprendeva in nebule di vapore. I panni sciacquati raggelavano per il freddo da parere baccalà e stesi in casa – sulle siepi c’era la neve – occupavano tutto lo spazio.

A scuola noi s’alzava la mano per chiedere alla maestra: “Posso andare a gabinetto?” La parola ‘bagno’ aveva infatti un significato diverso dall’attuale. E i gabinetti la maggior parte di noi – figli di contadini, di braccianti, di proletari – li usava solo a scuola. Per il rimanente facevamo i nostri bisogni all’aperto, dietro una siepe o un cespuglio, fra le piante alte del granoturco, nei letamai o nel casotto accanto a casa. Perché i contadini costruivano per quell’uso dei modesti capanni di assi e paglia da servire soprattutto per gli adulti. Nei paesi infatti soltanto i ‘signori’ potevano vantare nella propria abitazione un locale apposito, una turca o qualcosa di simile.

A sottolineare l’importanza delle sorgenti che sgorgavano generose nel nostro Appennino aggiungo che sulle carte topografiche 1:25.000 dell’Istituto Geografico Militare (I.G.M.) degli anni 1933-36 sono puntualmente indicate con una minuscola goccia. Ho scritto sgorgavano, perché oggi sono state ormai tutte catturate e costrette negli acquedotti.

QUANDO ERAVAMO MONTANARI
Storia, vita, filosofia e poesia di un Appennino che forse non c’è più nell’ultimo libro di Adriano Simoncini edito dal gruppo studi Savena Setta Sambro
Il libro si può richiedere a Marina.Miglioli@emilbanca.it o direttamente all’autore del brano riportato. Info: tel. 051-777718 / e-mail: adrianosimoncini@gmail.com

 

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