Agostini e Santi ci fanno rivivere la scoperta dell’importante impianto per la fabbricazione della calce sul tracciato della Flaminia Militare
Testo di Cesare Agostini e Franco Santi
(pubblicato nel numero uscito nell’autunno del 2015)
Nel corso delle nostre ricerche dei basolati della strada romana “Flaminia Militare”, sulla dorsale fra il Setta ed il Savena fino al passo della Futa, abbiamo incontrato prevalentemente una fitta boscaglia di faggi e conifere. Quando dal monte Bastione siamo giunti in una località chiamata “Piana degli Ossi”, posta a circa sette chilometri a nord del passo della Futa, ci siamo trovati di fronte ad una radura priva di alberi ed il terreno aveva la forma di un ampio ferro di cavallo con evidenti infossamenti a raggiera alternati a prominenze del terreno sul lato occidentale che davano l’idea di tumuli, o comunque di evidenti interventi dell’uomo. Una tale configurazione del terreno ed il toponimo di quel luogo ci hanno fatto sperare di rinvenire una antica necropoli o comunque tracce di sepolture.
LA SCOPERTA
Fatti alcuni sondaggi in vari punti del terreno, abbiamo portato alla luce, con vera sorpresa, materiale bianco di piccole dimensioni la cui conformazione poteva fare credere, a prima vista, che si trattassero effettivamente di ossa. Ma, una volta ripuliti dal terriccio che li ricopriva, ci siamo resi conto che erano piccoli frammenti di calcare, di varia pezzatura, con la superficie liscia e gli spigoli arrotondati. Questa caratteristica ha rivelato la loro vera origine: erano i resti di pietre di calcare non completamente combusti e quindi non trasformati totalmente in calce.
Questi rinvenimenti ci hanno indotto ad osservare con un’altra ottica la particolare configurazione del terreno; abbiamo allora intuito l’esistenza di una serie di fornaci da calce delle quali cinque evidentemente crollate in corrispondenza di altrettanti infossamenti, ed una con caratteristica strutturale quasi intatta dato che si notava nella parte alta del terreno una depressione circolare che evidenziava la parte superiore (camino) della fornace.
Si è allora proceduto con uno scavo proprio in quel punto ed abbiamo portato alla luce alcune pietre di arenaria arrossate dal calore del fuoco che appartenevano alla parete della fornace.
Successivamente, si sono eseguiti altri saggi rinvenendo frammenti di carboncini che, analizzati con il metodo del C14, risultavano combusti nel 330 d.C. circa. Questi indizi ci hanno confermato che si trattava di un imponente impianto di sei fornaci per la produzione a catena di calce molto antico che aveva cessato la sua attività in tempi così remoti da essersene persa la memoria dato che quel luogo non è chiamato con un toponimo riferito a tale attività industriale (per esempio il forno o le fornaci, etc…) ma dall’apparenza di ossa sparse sul terreno (appunto PIANA degli OSSI).
GLI SCAVI
Nel 1989 la Soprintendenza Archeologica per la Toscana, su nostra segnalazione, ha effettuato una campagna di scavi per individuare l’intero complesso, ma puntando, soprattutto, sulla fornace che appariva ancora intatta. Dopo un mese di scavi quest’ultima è stata portata alla luce in tutta la sua altezza e circonferenza; nel fondo di essa era ancora giacente uno strato di calce viva di circa un metro. La parte circolare a tronco di cono è risultata alta quattro metri ed alla sua base c’era l’arco attraverso il quale veniva introdotta la legna per alimentare il fuoco. Tenendo conto delle dimensioni della fornace riportata alla luce quasi intatta, abbiamo potuto calcolare approssimativamente la quantità di calce prodotta dall’intero impianto di sei fornaci quando era tutto in funzione contemporaneamente.
Il ciclo produttivo di una fornace andava da 18 a 20 giorni, nel corso del quale si dovevano restaurare i danni alle pareti causati dal calore durante la cottura, riempirla con le pietre di calcare, cuocere il calcare per cinque giorni a 8/900 gradi, attendere il raffreddamento dell’impianto e infine svuotare la calce prodotta. Quando erano in funzioni a catena sei fornaci, ogni tre o quattro giorni si doveva iniziare la cottura di un forno per tornare, dopo tre settimane a riaccendere il forno iniziale. Considerando le dimensioni del forno ancora intatto ed ipotizzando che fossero tutti uguali, abbiamo calcolato che ogni forno aveva una capacità produttiva di 20-22 metri cubi di calce corrispondente a 250 quintali. Ciò significa che ogni ciclo di attività delle sei fornaci si producevano 1.500 quintali ogni 18/20 giorni. L’esistenza di sei fornaci dimostra che vennero costruite per funzionare contemporaneamente a ciclo continuo per soddisfare una ingente richiesta di calce. Pertanto, si può ritenere che una tale quantità di calce poteva essere utilizzata soltanto per la costruzione di città come Bologna o Firenze e/o delle loro mura difensive, poste ai piedi dell’Appennino, distanti circa 50 chilometri dalle fornaci. Ed allora ci si può chiedere: perché le fornaci non sono state realizzate vicino alle città da costruire? La risposta è ovvia: alla Piana degli Ossi c’erano le cave della materia prima (pietre di calcare) e grandi estensioni di boschi per ricavare la legna necessaria al funzionamento dei forni. C’era soprattutto la strada di collegamento (la Flaminia Militare) che permetteva di raggiungere il luogo di utilizzo della calce in modo veloce ed agevole. Sono proprio queste considerazioni che ci fanno ipotizzare che queste fornaci siano state costruite dai Romani o comunque da loro riutilizzate se inizialmente costruite dagli Etruschi.
LA SCOMPARSA
Dopo l’epoca romana nessuna costruzione a noi nota giustifica l’esigenza della produzione contemporanea di una così urgente quantità di calce e pertanto si ritiene che in epoche successive, se le esigenze di costruzioni locali richiedevano l’utilizzo di calce, si costruiva solamente una fornace. Di ciò ne costituisce la prova la stessa fornace trovata intatta alla Piana degli Ossi che è stata verosimilmente ricostruita in epoca medioevale (secolo IX); a tale datazione si è pervenuti con l’analisi a termoluminescenza di un frammento della parete dell’impianto. Ed anche nei secoli scorsi, quando in Appennino si doveva edificare, si costruiva una unica fornace che era più che sufficiente per la produzione di calce necessaria in tutto il territorio. E sovente, la testimonianza della loro presenza, è rimasta ancora oggi con il nome della località: la fornace, il forno, la calcinaia e così via.