L’Appennino prima dell’anno Zero

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Kainua, Gonfienti e Monte Bibele – Per le età più antiche i pochi e quasi sconosciuti siti archeologici di oggi rappresentano solo in minima parte il tessuto insediativo di 2500 anni fa

di Claudio Calatri – UNIBO
(Pubblicato nel numero della Primavera 2011)

La barriera montana dell’Appennino costituisce da sempre uno spartiacque determinante nello sviluppo delle dinamiche antropiche della nostra penisola.

KYLIX DI GONFIENTI

Uomini, merci, idee, eserciti la hanno faticosamente oltrepassata per migliaia di anni, trovando di volta in volta corridoi di comunicazione in larghe vallate ben percorribili o lungo stretti e poco accessibili percorsi di crinale. Viabilità e stanziamento umano, soprattutto in ambito montano, vanno dunque di pari passo da sempre, e costituiscono uno degli obbiettivi più ricercati nelle indagini storico – archeologiche di età moderna sull’Appennino. Lo stato dei luoghi, allora come oggi, ha senz’altro influenzato queste dinamiche di presenza, determinando la fortuna di alcuni territori a discapito di altri. Ad esempio, il settore più occidentale dell’Appennino, dal Piacentino sino all’area Bolognese, ha fornito maggiore linearità di comunicazione fra i due versanti della barriera montana, grazie alla disposizione idrografica delle vallate fluviali in una sorta di “pettine” costituito da un alternarsi verticale di conche e crinali; l’area mugellano – casentinese invece, con la disposizione naturale delle valli in senso orizzontale lungo la spina centrale dell’Appennino, ha da sempre spezzato questa linearità, spostando l’asse prin- cipale dell’antropizzazione più ad ovest. Man mano che ci si allontana dall’età contemporanea e ci si addentra nei secoli passati, i segni sul territorio di questi corridoi di comunicazione si fanno però sempre più radi ed occasionali, e la loro scoperta deve inevitabilmente essere afinsediativo e viario che probabilmente non era inferiore a quello di oggi.

Nel corso del Novecento, le ricerche archeologiche hanno incrementato i dati disponibili sullo stanziamento umano appenninico per le età più antiche, senza però raggiungere i risultati ottenuti in aree di pianura. Fanno da eccezione alcuni notevoli siti montani di area bolognese, la città etrusca di Kainua – Marzabotto nella valle del Reno e il centro etrusco – celtico di Monterenzio – Monte Bibele nella valle dell’Idice, da diversi anni ormai riportati alla luce e all’attenzione di studiosi e grande pubblico.

Viabilità ed insediamenti etruschi nell’ Appennino bolognese

L’archeologia moderna, come già accennato, attraverso la localizzazione e l’indagine di scavo di contesti abitativi d’altura e necropoli, ha ormai dimostrato come gli itinerari di comunicazione fra l’Etruria centrale e quella cosiddetta “padana” fossero numerosi ed uniformemente dislocati lungo tutta la dorsale appenninica. Non vi è dubbio che uno di questi corridoi dovesse rivestire un ruolo di maggiore importanza nel quadro comunicativo generale, tanto da lasciare traccia di sé nelle fonti letterarie antiche. Il Periplo del Mediterfi raneo dello pseudo – Scilace, una compilazione geografico – etnografica di età ellenistica (metà del IV sec. a.C. circa) che rimanda a modelli più antichi (VI sec. a.C.), in un passo piuttosto lacunoso e di difficile interpretazione, indica la presenza di una strada fra Pisa e l’area di Spina nel delta padano, per una lunghezza di tre giorni di cammino.

Già ad un primo esame della geografia dei luoghi evidenzia come l’indicazione di tre giorni di cammino per coprire i 260 km circa che, per la via più breve, separano le due località sia inesatta. Tuttavia, il dato importante, storicamente e archeologicamente, è che anche nelle fonti geografiche antiche sia giunta in qualche modo eco di un sistema stabile di comunicazione terrestre fra le due realtà etrusche divise dall’Appennino.

Le fonti non ci indicano chiaramente da dove passasse la via fra Spina e Pisa, e quindi la sua localizzazione è un’operazione che è possibile attuare in base ai dati archeologici a nostra disposizione, che riportano una serie di capisaldi insediativi che da tempo gli scavi hanno portato in luce, ed altri che invece solo recentemente sono balzati all’onore delle cronache.
Per il versante toscano, la recente scoperta del vasto centro etrusco arcaico (VI – V sec. a.C.) di Gonfienti, a Prato, ha aperto un canale diretto ed inequivocabile con il versante emiliano dell’Appennino, in virtù delle evidenti somiglianze fra questa città e la ben più nota Kainua – Marzabotto nella valle del Reno, e in proiezione, con Felsina (Bologna), la capitale dell’Etruria padana. Un collegamento diretto fra le due località è dunque più che plausibile, ed anzi certo; tale collegamento non poteva non essere supportato da un tracciato viario lungo il quale viaggiavano uomini e manufatti, in un’ottica di scambio culturale e commerciale fra le due realtà urbane etrusche.

Tale tracciato stradale, partendo da Gonfienti, utilizzava molto probabilmente il bacino idrografico della valle del Bisenzio sino al comodo valico di Montepiano. Di qui il sistema vallivo Reno – Setta deve aver offerto almeno due comodi contesti di discesa verso l’area felsinea.

La presenza della città etrusca di Kainua è segno tangibile della scelta di quella valle da parte degli etruschi come vettore principale delle comunicazioni transappeniniche; scelta che appare ancor più confortata dalla presenza di un altro noto contesto archeologico etrusco di sommità, posto a monte della stessa Kainua, ovvero il centro santuariale di Monteacuto Ragazza, che ha restituito un recinto murario e una stipe votiva con idoli bronzei; fra i ritrovamenti di questo importante centro montano, nell’ottica comunicativa fra Etruria tirrenica ed Etruria padana, spicca un’iscrizione dedicatoria da parte di un personaggio proveniente dall’area veiente, testimonianza tangibile di un percorso privilegiato fra quel settore dell’Etruria e i nostri luoghi montani.

A valle di Kainua l’ampio e relativamente comodo corridoio offerto dal corso del Reno conduceva sino alle porte di Bologna, dove l’abitato etrusco di Casalecchio, scavato a più riprese fra gli anni ’60 e ’90 del Novecento, era una tappa preliminare all’arrivo nella capitale Felsina.

La presenza di tre importanti città etrusche lungo il tratto appenninico vallivo dei fiumi Bisenzio e Reno candida proprio questo percorso al riconoscimento con la famosa via ricordata dallo Pseudo-Scilace, una via che evidentemente, e i numerosi ritrovamenti di questo tipo lo dimostrano, era destinata alla movimentazione commerciale, ed in particolare dei metalli. Ferro, bronzo, oro, sia in forma di manufatti che in materia prima, trovavano lungo la via transappenninica il vettore terrestre più veloce e sicuro per i mercati della pianura Padana e dell’Adriatico del nord, e contribuivano alla diffusione ed al consolidamento commerciale e sociale di una civiltà, quella etrusca, che troverà definitiva sconfitta ed oblio nella pianura Padana soltanto con l’avvento della romanità.

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