La zirudèla del mostro di Loch Ness della Bassa

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Le tradizioni popolari della pianura bolognese tra fede, storia e dialetto

Di Gian Paolo Borghi

(articolo pubblicato nel numero uscito nell’estate 2017)

Disseminati, un tempo, nelle campagne e nascosti dalla nebbia, i borghi e i paesi della “Bassa” tra Bologna e Ferrara conservano nella memoria collettiva un numero rilevante di storie, aneddoti e leggende, tradizionali e non. In questa occasione “parlerò” di un curioso evento, accaduto nella tarda primavera di sessant’anni fa, che fece pensare all’esistenza di una sorta di nostrano “mostro di Loch Ness”. La storia ha inizio quando un pescatore notturno si spaventa (e non poco!) all’udire uno strano e forte muggito proveniente dalle acque del macero nel quale sta tranquillamente pescando. Ci troviamo nelle terre di Santa Maria Codifiume e la voce ben presto si diffonde anche nei dintorni. I ripetuti muggiti vengono uditi, sempre di notte, da altre persone e alimentano le già fertili fantasie della Bassa. La vox populi inizia a diffondere le notizie più strane e allarmanti: prima si bisbiglia tra pochi, poi, ben più apertamente, nei bar e nelle osterie prende corpo l’ipotesi dell’esistenza di un “mostro”. La notizia si espande a macchia d’olio, grazie anche alle casse di risonanza offerte dalla stampa, dalla radio e perfino dalla televisione. Non si giunge ad un vero e proprio allarme generale, ma poco ci manca: voci incontrollate riferiscono addirittura di cani che si sono gettati in quel macero e non sono più riaffiorati. Il mistero s’infittisce e partono le battute di ricerca notturna (anche l’Università di Bologna è coinvolta…), che richiamano un numero sempre maggiore di curiosi. I giorni passano fra chiacchiere e apprensione finché,  finalmente, i quotidiani danno la notizia della cattura del “mostro”. Il 21 maggio 1957, un corrispondente de “Il Resto del Carlino”, ad esempio, titola a grandi caratteri: Nel macero di Santa Maria Codifiume nel ferrarese. Un uomo spiccò un salto a tuffo e si rialzò tenendo la rana tra le mani. L’animale-mostro incriminato altro non era che una gigantesca rana-bue (o rana-toro), che – spiegano allora i luminari  dell’Università – è diffusa nel Nord America. Resta il mistero – proseguono – di come sia finita in quel macero.

Tutto è bene quel che finisce bene e la Bassa ripiomba nel consueto torpore, ma non dimentica la “sua” rana che, tra una briscola e l’altra, ritornerà in auge per anni in grotteschi racconti invernali. Anche un giornalista del popolo, in altre parole un cantastorie, coglie l’occasione celebrare questo episodio: è il bolognese Marino Piazza (“Piazza Marino, il poeta contadino”), che scrive una sua ironica, e in certi tratti volutamente esagerata, “zirudella” dialettale: un vero best seller per il suo uditorio. Pubblico questo testo accompagnandolo da una traduzione in italiano per facilitare la lettura ai non adepti del dialetto. Ricordo, infine, che anche un poeta popolare locale, il fabbro Arrigo Altobelli, scrive un testo analogo  sul “tema”, come ha ricordato, nel 2000, Andrea Martelli nel suo Diario molinellese del ’900.   

“Zirudella una rana/ha sconvolto la Val Padana/[a]un contadino di Santa Maria Codifiume/le sue patate sono andate in fumo./In fondo al macero si sentiva un muggito/tutte le sere verso mezzanotte,/un ruggito stravagante/che ha impressionato i confinanti./Corsero tutti attorno al macero/per guardare cosa ci poteva essere./Fotoreporter, Radio, Telecronisti/nel giornale un grande articolo/umoristico e un po’ ridicolo/dicevano che è una rana/di razza Americana./A venire fin qua è stata una comica/è arrivata con lo scoppio dell’atomica./Quando la gente l’ha imparato/tutti correvano entusiasmati/in automobile, in motorino,/in corriera, in camioncino,/in elicottero, in aeroplano,/Francesi, Inglesi, Americani./Se aveste visto che confusione/mi pareva una grossa funzione./Gelati, birra, fiaschi di vino/in mezzo al campo del contadino./I fidanzati in movimento/si nascondevano tra il frumento/e le spose con l’amico/cercavano un altro posto/tra i piselli e i pomodori/pestavano tutti i fiori./Tutti allegri e in grande festa/ansiosi di poter vedere la rana./Sotto le canne e le acacie/arrivò un barcone da Comacchio/in fondo al macero in esplorazione/per individuare la posizione./Il barcaiolo Signor Terenzio/disse: Signori! Fate silenzio./Tutti zitti in quell’istante/per udir la rana parlante./[A] cinque minuti a mezzanotte/dal fondo del macero si sente un muggito/Moooooo Mooooooo…/Quattro ruggiti ripeté/la gente non ha più resistito./Hanno cominciato a saltarsi addosso/chi in fondo all’acqua e chi nel fosso/si piantavano nel pantano/con degli urli e dei battimani,/un rumore, un putiferio,/uno saltò addosso alla rana/la prese in un’abbracciata,/fuori dall’acqua l’ha portata./Erano in quattro a sollevarla/e cento persone a fotografarla/a gambe aperte come un vitello,/pesava quasi mezzo quintale./ Se aveste visto in quel momento/l’entusiasmo della gente,/tutti correvano con l’affanno/per poter vedere da vicino la rana/Si sono bagnati le braghe e la sottana/Toch e dai la zirudèla!”.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              

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