Un trekking lungo una delle più antiche strade del vino d’Italia. Il percorso parte da Oliveto, si dirige verso Pradalbino e Monte Avezzano e poi punta verso San Lorenzo in Collina e quindi, costeggiando il torrente Landa e il Lavino, raggiunge Gesso, Riale e la Bazzanese.
di Carmen Santi
(articolo pubblicato nel numero uscito nell’autunno 2018)
Non c’è stagione migliore dell’autunno per scoprire la Via dei Brentatori, una delle poche strade del vino italiane a poter vantare una antica e documentata origine. Ma chi erano i brentatori? E prima ancora, cos’è la brenta da cui prendono il nome? La brenta è una misura in legno a doghe simile al bigoncio, troncoconica e ricurva, aperta nella parte superiore e cerchiata di ferro, che si portava sulle spalle come una grossa gerla, assicurata da due cinghie di cuoio. La capacità della brenta corrispondeva a uno staio (mezza corba), ovvero circa 39 litri. Di conseguenza, i brentatori erano coloro i quali portavano la brenta e avevano il compito di trasportare il mosto e il vino, svolgendo la loro attività sia in città, sia nel contado bolognese. Gli appartenenti a questa Compagnia erano incaricati anche di altre funzioni: la misura e la bollatura dei contenitori per il trasporto, la valutazione della qualità e del valore del vino tramite l’assaggio, il trasporto dal luogo di produzione alla cantina dell’acquirente e la riscossione della tariffa daziaria. Questo perché nella Bologna medievale il trasporto e la vendita del vino erano regolati da leggi minuziose, tutto il vino doveva essere avviato a Bologna e quindi anche l’uva era sottoposta ad ammasso e di fatto tolta dalla disponibilità del proprietario, al fine di contrastare il contrabbando. Una legge vietava ai cittadini di trasportare vino, perciò il trasporto era riservato esclusivamente ai brentatori.
Ma i brentatori avevano anche un altro importante compito: al suono della “campana del fuoco” della torre degli Asinelli, dovevano accorrere con le brente piene d’acqua per spegnere gli incendi scoppiati in città. Per farsi un’idea di come doveva apparire un brentatore, basta dare un’occhiata alla celeberrima incisione di Giuseppe Maria Mitelli oppure al meno noto affresco dell’Abbazia di Pomposa, in cui Andrea Bruni (non a caso un pittore bolognese) intorno al 1360 raffigurò un brentatore nell’atto di versare il vino della sua brenta in uno dei vasi vinari delle Nozze di Cana. La Via dei Brentatori nacque quindi dalla necessità di trasportare vino e mosto dai terreni del contado alla città di Bologna, al riparo dalle scorrerie delle truppe modenesi che nel XIII secolo imperversano lungo il confine, rendendo poco sicure le strade della pianura. Il Comune di Bologna decise perciò di avviare la costruzione di un nuovo percorso attraverso le colline, per trasportare in città l’uva e il vino prodotti a Monteveglio, Oliveto e Zappolino.
L’antica origine della Via dei Brentatori è testimoniata dagli Statuti di Bologna del 1250, nella Rubrica intitolata De via facienda apud Aulivetum: quella strada, realizzata a cura delle comunità attraversate dal percorso (Zappolino, Oliveto, Monte Maggiore, Monte San Pietro, Rocca Massenata – oggi scomparsa – e San Chierlo), esiste ancora anche se la sua origine è sconosciuta ai più. La strada parte da Oliveto, dall’antica casa chiamata la Bronzina e per Forneto, Pradalbino e Monte Avezzano procede verso San Lorenzo in Collina e quindi, costeggiando il torrente Landa e il Lavino, raggiunge Gesso e Riale per poi confluire nella Bazzanese. La Via dei Brentatori rappresenta oggi un itinerario inedito da percorrere – a piedi o in mountain bike, anche in più giorni – secondo ritmi lenti e rispettosi dell’ambiente, per scoprire panorami mai scontati, luoghi ricchi di storia e antiche comunità. Il filo conduttore del percorso è rappresentato dalla ormai millenaria tradizione locale della viticoltura – come dimostrano i numerosi rinvenimenti archeologici di oggetti destinati ad uso vinario – e ancora oggi testimoniata dalle numerose cantine di Valsamoggia, Monte San Pietro e Zola Predosa.
LUNGO IL PERCORSO
- OLIVETO
- Nato nel X secolo come castello lungo la frontiera tra bolognese e modenese, è stato il “più piccolo libero comune d’Italia”. Il nome deriva dalle piantagioni di olivo che vi esistevano fino al 1708, quando una gelata causò, nel Bolognese, la distruzione di oltre 5000 piante. Da vedere: campanile della chiesa di San Paolo; oratorio della Madonna delle Grazie; casa Bronzina; “Casa grande dell’Ebreo”. Oliveto è nota per il “Funerale della Saracca” che si ricollega alla tradizionale festa spagnola denominata “el entierro de la sardina”.
- MONTE MAGGIORE
- Fu epicentro del terremoto del 1929, che distrusse quasi per intero il piccolo centro. La chiesa dedicata a San Cristoforo conserva una tempera su tela del 1395 raffigurante il santo traghettatore, attribuita a Cristoforo da Bologna. Da questo luogo si godono fantastici panorami sui calanchi.
- SAN LORENZO IN COLLINA
- Nel vico romano di Collina sorse, fra il IV e il VI secolo, la Pieve di San Lorenzo. Nell’XI secolo fu edificato il castello sull’altura di Capra Mozza, dove oggi sorge l’Oratorio della Beata Vergine di Capra Mozza o chiesetta di Santa Maria del Castello. Vi era conservata un’antica statua lignea raffigurante la Madonna con il Bambino, forse da collegare alle antiche vie di pellegrinaggio appenniniche.
- PODERE BAGAZZANA
- Nucleo di abitazioni sorto a ridosso dell’antico castello di Zola, lungo l’antica strada della Bardona; possessione dei monaci dell’Abbazia di Nonantola intorno all’anno Mille.
- PODERE ZOLA VECCHIA
- Vi sorgeva il castello di Zola, costruito fra il 1142 e il 1144 insieme alla chiesa dedicata a S. Nicolò.
Per maggiori informazioni si può contattare lo IAT COLLI BOLOGNESI: info@iatcollibolognesi.it – 051 992 3221