Il 6 agosto 1936 la Valla cambiò volto allo sport femminile vincendo l’oro negli 80 ostacoli alle Olimpiadi di Berlino
di Marco Tarozzi
Aveva vent’anni e un nome quasi ingombrante, perché anche allora, negli anni Trenta del secolo scorso, di ragazze che si chiamavano Trebisonda se ne incontravano poche. Ma era stato un gesto d’amore, quello. Papà aveva letto cose magnifiche su Trabzonspor, città della Turchia che raccontavano affascinante e magica. Mise quel nome alla bambina che era arrivata nel 1916, dopo quattro figli maschi, perché sognava per lei un grande futuro. Mai previsione fu più azzeccata, anche se nel frattempo tutti, a partire dai compagni di scuola, avevano reso le cose più semplici: Trebisonda, Onda, Ondina. Ecco, Ondina Valla suonava proprio bene. Rapido e scattante, proprio come lei.
SPIRITO LIBERO. Ondina aveva uno spirito vivace e una gran voglia di vita. Sul finire degli anni Venti del secolo scorso, quando le ragazze a scuola venivano valutate per le capacità dimostrate nei “lavori donneschi”, lei non si vergognava a correre. Le piaceva, e in tanti le dicevano che era dotata. Anche se poi, per tutta la vita, giurò che ci aveva messo anni a considerare l’idea di diventare un’atleta. “Allo sport ero arrivata quasi senza accorgermene, attraverso un’infanzia vissuta da maschiaccio, in compagnia dei miei fratelli. La mia passione era saltare la corda, ci passavo tutti i pomeriggi, e fu così che mi feci i muscoli per il salto in alto e per scavalcare gli ostacoli. Alle elementari davo spettacolo, vincevo un sacco di caramelle battendo tutte le compagne che mi sfidavano. Così, quando si trattava di far bella figura in campo sportivo, sceglievano sempre me”.
TALENTO PRECOCE. Il 23 giugno 1927, alla “Coppa Bologna” di atletica leggera dedicata ai ragazzini delle scuole elementari, Ondina sfoderò il suo talento ad appena undici anni. 3,50 metri nel lungo, 1,10 metri in alto, un razzo nei 50 metri. La notò Francesco Vittorio Costa, capitano dell’esercito ma anche allenatore, e la fece tesserare per la Bologna Sportiva, che per volere di Leandro Arpinati, “potente” del regime fascista e dello sport nazionale, avrebbe tenuto unite tutte le società bolognesi fino al 1935. Dopo la caduta in disgrazia del gerarca, la sezione atletica sarebbe confluita nella Sef Virtus. Fu l’inizio di una bellissima storia sportiva, e non solo. Ondina, la ragazza del quartiere Santa Viola, a quattordici anni era in maglia azzurra, a quindici vinceva il suo primo tricolore. E a sedici, aveva dimostrato a tutti, compresi i tecnici federali, di valere una convocazione olimpica. Fosse andata a Los Angeles, in quel 1932, sarebbe stata l’atleta azzurra più giovane di sempre a partecipare a un’Olimpiade. Sarebbe, già: perché il bastimento per l’America partì senza di lei.
ETA’ DA MARITO. I motivi di quella mancata convocazione? A sedici anni, Ondina sarebbe stata l’unica ragazza della squadra di atletica, su una nave diretta in America piena di uomini. Impensabile, all’epoca. Mussolini aveva appena firmato i “Patti Lateranensi”, stipulando la “pace” con il Vaticano, profondamente contrario allo sport femminile, che all’epoca era considerato prossimo ad estinguersi. Perfino in casa, dove in realtà nessuno aveva mai ostacolato la passione della ragazza, anche mamma Andreina tirò un sospiro di sollievo: “In fondo è meglio così, se fossi andata in nave da sola, e poi laggiù a correre in mutande davanti a tutto il mondo, avresti rischiato di non trovare più marito…”
DUE COME NOI. La rivoluzione di Ondina iniziò dopo quel viaggio mancato. E cambiò drasticamente anche il modo di considerare lo sport al femminile. Perché lei, con la forza della gioventù, non si perse d’animo. E meno che mai rinunciò a fare quello che più le piaceva: correre, saltare. Continuò ad allenarsi, a vincere, ad alimentare più o meno consapevolmente quella sfida tutta bolognese ai massimi livelli dell’atletica. Ondina Valla contro Claudia Testoni. Compagne di scuola alle medie Regina Margherita, compagne di squadra alla Virtus, amiche vere, anche se dai caratteri diametralmente opposti: Trebisonda esplosiva e vivacissima, Claudia riservata e un po’ chiusa. Ondina specialista delle corse piane, del pentathlon e del salto in alto (saltò 1.56 nel 1937, primato italiano che resistette 18 anni), Claudia del salto in lungo (sette volte tricolore in un decennio). Ma se i numeri delle carriere parallele premiavano la Valla (fin lì 67 volte davanti nei 92 confronti diretti), la marcia di avvicinamento nella stagione olimpica, il 1936, aveva favorito Claudia.
TRIONFO A BERLINO. A Berlino, la gara degli 80 ostacoli era orfana della leggendaria Babe Didrikson, appena passata al professionismo. Ondina mandò un segnale forte già nella semifinale del 5 agosto, vinta in 11”6, record del mondo eguagliato. Anche la Testoni, terza nell’altra semifinale con evidente facilità, staccò il biglietto per la gara della vita. Il 6 agosto, in un clima autunnale più che estivo, le azzurre non erano al meglio della forma. A Ondina capitava spesso, il giorno dopo una prova importante: i problemi alla schiena iniziavano a farsi sentire. “Faceva un gran freddo e andai alla partenza un po’ tesa”, raccontò a Gianni Mura tanto tempo dopo, negli anni Ottanta. “Il massaggiatore Giarella ci aveva dato qualche zolletta imbevuta di cognac. Non sono partita bene come le altre, ma ho corso di forza, Claudia era partita come un fulmine ma ai 50 ero in linea con le prime, poi ho chiuso gli occhi e mi sono buttata sul filo. Che vinsi in fotografia è una frottola che gira da allora. La verità è che l’incertezza riguardava le piazzate, Claudia l’hanno data seconda e poi quarta”. Era la prima volta che veniva usato un apparecchio complesso e nuovissimo, la Ziel-Zeit Camera capace di “leggere” il millesimo di secondo . Ma Ondina, in quei tre quarti d’ora di attesa, era l’unica ad avere certezze: aveva vinto l’oro alle Olimpiadi.
RITORNO A CASA Rientrò a Bologna da regina, accolta dal prefetto (che in seguito trasferì il segretario, che aveva scelto un mazzo di fiori troppo mosci), dalle autorità e dalla gente orgogliosa di una concittadina divenuta improvvisamente importante. Anche il fascismo cavalcò l’onda, capì che quella vittoria era un bel veicolo di propaganda e Ondina divenne un simbolo della donna italiana non più soltanto madre e reggitrice domestica. Da Mussolini ebbe una medaglia d’oro e 5mila lire, una discreta somma per l’epoca. Da Hitler, appena dopo la vittoria all’Olimpiastadion, un saluto in tedesco che neppure capì. Piantò la piccola quercia che aveva vinto a ridosso del muro della piscina coperta, e allo stadio tornò spesso con l’abbonamento regalatole dal Bologna, che la rese felice. Sognò ancora di poter partecipare alle Olimpiadi, ma nel 1940 e nel 1944 il mondo aveva cose più tragiche a cui pensare. Si trasferì in Abruzzo nel dopoguerra col marito, l’ortopedico Guglielmo De Lucchi, che aprì una clinica a L’Aquila, ma non dimenticò mai Bologna. Nel 1950, quasi per gioco, fu campionessa regionale abruzzese nel getto del peso. Ottantacinque anni dopo, quel 6 agosto 1936 resta uno spartiacque. Il giorno in cui una ragazza bolognese di vent’anni spiegò a tutti che c’era ben altro da imparare, oltre ai “lavori donneschi”.
- La storia di Ondina Valla sarà raccontata anche ai ragazzi di oggi. Attraverso un libro destinato ad entrare nelle scuole, per alimentare il ricordo di una campionessa che ha cambiato le regole, aprendo la strada alla pratica sportiva alle donne. L’occasione è il volume “L’oro di Ondina”, scritto da Marco Tarozzi e meravigliosamente illustrato da Antonella Cinelli, che fa parte della collana “Fatterelli Bolognesi”, curata da Tiziana Roversi per Minerva Edizioni. Un libro agile, in cui si immagina che sia la stessa Ondina a raccontarsi, senza approfondire oltremisura gli argomenti tecnici, proprio per dare ai ragazzi la possibilità di conoscere e apprezzare una figura leggendaria dello sport italiano, una bolognese che anche da lontano non ha mai smesso di amare la propria città.
L’ORO DI ONDINA – Marco Tarozzi e Antonella Cinelli – Minerva Edizioni