La descrizione della carpa di Ulisse Aldrovandi e strani ritrovamenti in giro per l’Europa
Di Francesco Nigro – Associazione Vitruvio
Gli scudi bruni sul dorso, le pinne rossastre che escono dalle acque melmose dei canali, i salti frenetici nel periodo degli amori, la risalita selvaggia delle briglie, fanno di questa essenza asiatica, da tempo naturalizzata, qualcosa di ancestrale. Presente anche oltre la Chiusa di Casalecchio, fino al Navile, e incidentalmente di passaggio nel tratto sotterraneo di Bologna, di certo la carpa regina (Cyprinus carpio) non è l’animale dall’aspetto più curioso. Robusta, con pinne solide e carnose ed i tipici barbigli che ne identificano le abitudini ecologiche, è un ciprinide limnofilo capace di raggiungere anche dimensioni da record, ma è pur sempre un comune pesce d’acqua dolce. Eppure, ci fu un tempo in cui addirittura nobili e imperatori restavano ammaliati da questo pesce di fiume. Storia e scienze naturali incontrano un briciolo di fantasia negli scritti enciclopedici cinquecenteschi del naturalista Ulisse Aldrovandi che, nel “De Piscibus Libri 5”, della carpa, scrive quanto all’epoca era conosciuto, provato, sospettato e forse immaginato. In Italia, riporta Aldrovandi, i romani lo chiamano “burbaro”, i mantovani “bulbaro”, i piacentini “carpano”, i ferraresi “carpena”, i veneti e i bolognesi “reina”, la regina“ e così sembra, sia per la sua grandezza per cui eccelle tra i pesci fluviali e lacustri, sia perché viene ricercata per le parti più pingui del suo corpo”. Dagli spagnoli veniva detta “carpa”.
Il termine accademico per l’epoca era però “ciprino”. Aldrovandi riporta la possibilità che l’origine del nome fosse legata alla stessa Venere alla quale veniva accostata per promiscuità e fertilità. Inutile dire, a questo punto, che le sue carni e il suo “unto” erano ricercate per “eccitare Venere”, favorire coito e concepimento. Aldrovandi fa poi riferimento ad una “pietruzza” estratta dal capo, utilizzata popolarmente per dare sollievo ai malati in grave stato febbrile, capace di sedare e rinfrescare. Si tratta degli otoliti, formazioni lamellari di sali carbonatici che nel pesce partecipano alla corretta percezione dell’ orientamento spaziale e ricezione dei suoni.
Aldrovandi racconta anche di ciprini mostruosi, dal lungo rostro e dalle carni squisite, dai colori accesi, finiti nei vivai e mercati d’Europa. Animali difformi dalla normalità, ma che per morfologia esterna e evidenze anatomiche potevano essere considerati teleostei (pesci ossei) e, in seconda istanza, essere assimilati ai ciprini. Il Naturalista manifesta anche nell’interpretazione di queste descrizioni, non di prima mano, la sua modernità nel modo di classificare la natura. Fra le apparizioni degne di nota, ricorda quella del 1564, quando fu catturato, nella giurisdizione di Amburgo dal Conte di Brandeburgo, un animale che per inusitata bellezza fu spedito ad Augusta addirittura a Carlo V Imperatore che lì teneva i suoi comizi e che a sua volta lo donò alla sorella Maria.
Si dice che anche da cotto mantenne i suoi colori, il verde acceso, il dorato, il rosso intenso ed un profondo ceruleo. “Gli furono attribuiti colori così meravigliosi e splendidi da poter gareggiare con i più incantevoli e ragguardevoli pesci del Mar Rosso”. Una storia molto umana, fatta di conti pescatori che fanno di carpe un dono imperiale. Relativamente alla livrea non c’è nulla di particolarmente anomalo, le coloratissime Koi altro non sono che selezioni, la specie resta la stessa. Trovare carpe dai colori vivaci in natura non è poi assolutamente impossibile. Diverso è imbattersi in pesci che per rarità e aspetto improbabile (in realtà della livrea) siano condotti in lungo e in largo a guisa di grotteschi miracoli.
Qualcosa di abominevole e di strabiliante allo stesso tempo, era apparso nel 1545 in un fiume austriaco nelle terre di Retz. Qualcosa di mai visto né dagli anziani nè dai più eruditi, che dalla loro erudizione non seppero trarre una sola parola di spiegazione. Un corpo tozzo, massiccio, dai toni scuri che sfumavano nel dorato, da carpa, ma poi un’anomalia. Molti pesci d’acqua dolce hanno aspetti decisamente caratteristici, volendo, impressionanti, quale bizzarra sorpresa era rimasta impigliata nelle reti? Cosa poteva esserci di più orrido del capo viscido di un gigantesco siluro, dell’aspetto serpentino di un’anguilla, delle lunghe file di denti traslucidi di un luccio? Cosa di più “mostruoso”? Un pesce dal volto umano.
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