Con la Digitalis, purpurea o lanata, continua il nostro viaggio tra le piante velenose dell’Appennino bolognese.
di Lucilla Pieralli
(articolo pubblicato nel numero uscito nell’inverno 2016)
La digitale, sia la purpurea che la lanata, è la pianta che con la forma a ditale dei suoi fiori ricorda il lavoro femminile, il lavoro delle donne. Ancora una volta nella tradizione popolare, una pianta bella e velenosa è associata alla femminilità. Non voglio ripetermi, ma la tentazione è forte: nel 1542, quando per la prima volta venne descritta da un botanico sia per la forma a ditale che per il colore cremisi dei suoi splendidi fiori, le donne avevano una non facile posizione sociale. Se belle e fiere erano considerate streghe, e se anche conoscitrici di rimedi e medicamenti, sovente messe al rogo. Quindi l’associare le piante velenose al femmineo non era certamente un fatto positivo.
La digitale è una pianta spontanea ma non è comune anche se è diffusa nei giardini di tutta Europa; si usano le foglie, essiccate e raccolte in precisi momenti che, a seconda della specie contengono diverse quantità di glucosidi attivi. Alta dai 30 centimetri al metro e mezzo, fiorisce da giugno a settembre con grappoli di fiori unidirezionali, maculati internamente e con peli. Peli che si trovano anche nella pagina inferiore delle foglie. Pianta bi-triennale, ama i terreni sabbiosi. è una pianta velenosa ma non mortale (oppure, sarebbe tale se presa a dosi massicce). Il suo uso è legato al cuore, è una pianta cardioattiva molto usata nel 18°secolo ma oggi abbandonata per la difficoltà del dosaggio corretto. Infatti il suo contenuto in glucosidi è legato al terreno di provenienza oltre che alla “razza”: la lanata contiene da uno a sei volte la digitossina e la digitalina che si trova nella purpurea o in altre specie anch’esse molto diffuse. Inoltre i glucosidi della lanata non vanno ad intossicare il malato anche a fronte di lunghe cure in quanto non si accumula nell’organismo come invece fa la purpurea.
In sostanza, ancora una volta cerchiamo di saper riconoscere le piante pericolose al solo scopo di non usarle nella nostra tisaneria famigliare. Pianta di origine nordica non si porta con se le lunghe tradizioni delle complesse culture greche e latine, ma la semplice e lineare tradizione dei paesi del nord Europa Atlantico. In una leggenda norvegese, i suoi grappoli di fiori a campanula allungata sono i piccoli incantevoli rifugi delle minuscole fatine del bosco. Per questo è da incauti tagliare le piante in fiore, le piccole fate, disturbate potrebbero lanciare malìe e anatemi davvero spiacevoli. Quindi, se proprio si vuole tagliare un tralcio, conviene farlo solo dalle piante coltivate in vaso; vaso che sarà trasportato in una stanza della casa con una finestra spalancata per permettere alle fate disturbate dallo spostamento di poter volare via. Delicata e serena storia da raccontare ai bimbi di casa insegnando loro nel contempo il rispetto sì delle fate, ma anche delle piante.