La saggezza della cultura contadina nei proverbi di una vola
di Adriano Simoncini
Le castagne oggi non le raccoglie più nessuno. Solo in qualche pendio a bagùr, volto a settentrione – da noi a Scascoli e a Monzuno – si producono ancora marroni di pregio, per il rimanente i castagneti sono pressoché abbandonati. Gli alberi secolari sono spesso ammalati e lentamente muoiono, sostituiti da querce e acacie, mentre nel sottobosco le felci crescono alte perché mucche e pecore non vi pascolano più. Eppure ancora fino alla metà del secolo scorso le castagne erano per i montanari cibo quotidiano da novembre in avanti: lo testimoniano i molti proverbi della cultura orale che ne seguono il ciclo di crescita dalla germinazione alla raccolta. Eccone alcuni:
Per senta Maréia
la castagna la créia
e per i òt l’è grosa come un bdòc’.
Per Santa Maria (15 agosto)
la castagna si crea
e per l’8 (settembre) è grossa
come un pidocchio.
Per Sen Lurenz e marón
l’è cmenz.
Per San Lorenzo (10 agosto)
il marrone incomincia.
Se pióv e dé ed Senta Crós
tènt castagn e póc nós.
Se piove il giorno di Santa Croce
(14 settembre)
tante castagne e poche noci.
A voler dire che l’acqua a metà settembre era necessaria per una buona raccolta.
E ancora:
Per Sen Lócca
chi à i balôs i plócca
e chi an gn’à as grata la pirócca.
Per San Luca (18 ottobre)
chi ha le ballotte le pilucca
e chi non le ha si gratta
la parrucca.
Chi, cioè, per passare l’inverno non aveva nemmeno castagne, doveva
cominciare a preoccuparsi. Ma a fine ottobre castagne e marroni bi sognava che fossero colti, altrimenti i pùnten, marciscono e dunque occorreva sbruchèi, percuotere i rami con lunghe pertiche per farne cadere i ricci, come recita il proverbio:
Per Sen Simón perga o bastón.
Per San Simone (28 ottobre)
pertica o bastone.
Alla còia, a raccogliere le castagne, ci andava anche chi non possedeva un bosco di suo perché, contenendone il riccio tre, ce n’era una per il padrone, una per il contadino e una per lo spigolino. In teoria lo spigolino sarebbe dovuto entrare nel castagneto dopo che il contadino avesse terminato la raccolta: in realtà i castagneti venivano invasi non appena iniziava e cród, la caduta, e i proprietari urlavano e aizzavano i cani contro i precoci spigolini, ragazzi o adulti che fossero. Le castagne fresche si lessavano o arrostivano, e si avevano balôs e fruslòt, caldarroste. Per conservarle a lungo o macinarle e ottenerne farina dolce, le castagne venivano essiccate all’interno di un’apposita costruzione, e scadór, il seccatoio. Le castagne secche bollite nell’acqua con un poco di sale davano e còt, una minestra di un dolce appetitoso non dimenticabile. Con la farina poi si preparava una impensabile varietà di cibi: i manfét, ‘fatti a mano’, una pappa della consistenza di un semolino, ottimi caldi e freddi; la mistòca, un pane di facile conservazione ma duro da masticare… e poi fritèli /frittelle, pulènda /polenta, castagnàz / castagnaccio (una torta), cibi dolci di per sé, almeno ai palati montanari, preparati con la sola farina di castagne più acqua e sale, come si conviene di necessità alla tavola di gente povera.
PUBBLICATO SU NELLE VALLI BOLOGNESI NEL NUMERO DELL’AUTUNNO 2009