Il salvataggio dei Gessi Bolognesi

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Le azioni di tutela intraprese dai gruppi naturalistici e speleologici bolognesi o all’origine della nascita del Parco che l’Unesco ha inserito tra i Patrimoni dell’Umanità

di Giuseppe Rivalta

La lunga strada per ottenere la salvaguardia dei Gessi Bolognesi inizia con Luigi Fantini, fondatore, nel novembre 1932, del Gruppo Speleologico Bolognese. Fantini era nato nel 1895 a fianco della Grotta preistorica del Farneto, a San Lazzaro di Savena, fattore che stimolò la sua innata curiosità e conoscenza dell’area dei Gessi attorno a Bologna, e in seguito di tutto l’Appennino Bolognese. Dopo la scoperta della grotta della Spipola (1932) le sue indagini si allargarono a macchia d’olio nel territorio circostante scoprendo ed esplorando una quantità di grotte sconosciute.                       

Fantini, infatti, oltre ottanta anni fa, scriveva: Pare impossibile che si sia giunti all’anno 1933 e [che]a due passi da Bologna, vi siano ancora zone inesplorate come al centro dell’Oceania.”

Il Gesso e Bologna

Fin dall’epoca romana le aree gessose a ridosso della città, furono sfruttate per ottenere materiali destinati alla costruzione di edifici ad uso pubblico come, ad esempio, la realizzazione del grande teatro e la successiva cinta muraria del III secolo d.C.

Il gesso, nel XIII secolo, oltre alla riutilizzazione delle costruzioni romane in rovina, era ancora l’unica roccia scavata a Bologna usata in edilizia. Tuttavia si trattava di un’estrazione che creava limitatissimi danni ambientali. Nel 1800 la richiesta di questo materiale ebbe un incremento notevole con la conseguenza che iniziò uno sfruttamento molto più intensivo del gesso. Si aprirono così cave a cielo aperto e, in tempi più recenti, in galleria.

Nel secondo dopoguerra, in Val di Zena operava la Calgesso, mentre la Cava Ghelli, di fronte a San Ruffillo, proseguiva con rinnovato vigore, un’attività già presente nel 1888. Successivamente gli scavi minerari della Ditta Fiorini, di fronte al Farneto, crearono estese e profonde gallerie fino ad intercettare, nel 1976 la Grotta Calindri, magnifica cavità protetta dalle leggi, che conservava resti preistorici dell’Età del Bronzo, coevi a quelli della celeberrima Grotta del Farneto.

Infine, sul Monte Croara, la Ditta IECME estraeva diverse migliaia di quintali giornalieri di gesso arrivando fin quasi a distruggere la montagna con la realizzazione di gallerie che penetravano ad oltre cento metri di profondità, alla cui base iniziava il complesso di caverne sotterranee Spipola-Acquafredda. Sempre alla Croara era in attività la Cava a Filo che, con la tecnica del filo diamantato, otteneva blocchi squadrati di gesso ma che, alla fine, giunse a distruggere un inghiottitoio fossile ricco di importantissimi reperti faunistici preistorici risalenti al Pleistocene.

Con questo sempre più crescente andamento di distruzione, non solo di grotte, ma anche di ambienti naturali esterni, le associazioni speleologiche (GSB-USB), naturalistiche (UBN) ed Italia Nostra, aumentarono la pressione su Comuni, Provincia, Regione, Scuole, Università e popolazione, con lo scopo di sensibilizzare le coscienze tramite convegni e incontri sull’importanza della salvaguardia del nostro ambiente naturale.

In quegli anni la parola “Ecologia” non era ancora diventata di uso comune nel linguaggio quotidiano, per cui la strada verso la protezione dell’Ambiente era irta di ostacoli.

Vespertilio di Bechstein – PH Francesco Grazio

Insieme al Gruppo Speleologico creato da Luigi Fantini, anche l’Unione Speleologica Bolognese (sorta nel 1962) si era inserita nel mondo culturale della città di Bologna, sviluppando programmi scientifici innovativi come la realizzazione del primo laboratorio ipogeo alla Grotta Novella (1971) ancora oggi in funzione. Particolarmente originali, a tal riguardo, furono le ricerche riguardanti l’ecosistema ipogeo con particolare attenzione alla vita microbica sotterranea, oltre a studi sugli effetti del concrezionamento degli ambienti ipogei. Questa operazione evitò, all’ultimo momento, che la Dolina di Gaibola diventasse una miniera a cielo aperto. Anche il famoso zoologo, Professor Alessandro Ghigi, insieme al botanico e battagliero Professor Francesco Corbetta (Presidente dell’UBN), supportarono con vigore le azioni di tutela intraprese dai gruppi naturalistici e speleologici bolognesi. Ne derivò un primo decreto di vincolo di tutela paesaggistica, ma non altro. Tutte le aree estrattive sottostavano alla vigilanza statale del Corpo delle Miniere, ente che favoriva, piuttosto ambiguamente, la distruttiva attività di escavazione delle cave. Emblematica rimane una frase di Attilio Scicli, che lavorava nel Distretto del Corpo delle Miniere in Bologna, pubblicato in un suo libro sulle attività estrattive dell’Emilia-Romagna (1972). In sintesi affermava che “le aree dei gessi sono solo un ricettacolo di vipere e null’altro!

All’epoca solo il Corpo Forestale sanzionava con multe le cave che causavano danni alle zone boschive adiacenti alle cave stesse. L’Arma dei Carabinieri (NAS), prendendo atto delle denunce fatte dagli speleologi, trasmise note informative alla Magistratura. I Piani Regolatori favorivano le spinte edilizie verso la collina. I Gessi di Monte Donato, ad esempio, furono in breve tempo privatizzati e oggi è diventato pressoché impossibile accedervi liberamente. Proprio nel Borgo dei Gessaroli, sempre a Monte Donato, l’antico edificio circolare in cui un asinello, girando in tondo, muoveva la macina per ridurre il gesso in polvere, è stato, da poco tempo, distrutto. Oggi ne rimane solo un ricordo nel magnifico quadro del pittore Luigi Bertelli.

Nonostante la difficile situazione, le associazioni naturalistiche intrapresero accurate ricerche riguardanti il mondo del lavoro locale, per tentare di risolvere i problemi relativi a possibili licenziamenti e conseguente disoccupazione delle scarse maestranze, nel caso che, le cave venissero chiuse.               

                                 

La nascita del Parco e l’Unesco

Il 27 Settembre 1984 il Consiglio Regionale approvò la delibera N° 2898 che istituiva il Parco Naturale dei Gessi Bolognesi e dei Calanchi della Abbadessa. Purtroppo seguirono anni di dibattiti e scontri istituzionali contro i Gruppi Speleologici ed i naturalisti dell’UBN. Finalmente, il 2 Aprile 1988, la Regione, con la Legge N°11, istituì, ufficialmente, ben otto Parchi, tra cui il Parco dei Gessi Bolognesi.

Attualmente, in seguito a continui adattamenti per la risoluzione dei numerosi problemi, che sempre sorgono in realtà di questo tipo, il Parco ha acquisito gradualmente nuove aree da proteggere. Va comunque precisato che gran parte del merito è dovuto alla caparbietà ed alla tenacia di coloro che, animati da vera passione, hanno ricevuto l’incarico della gestione di questa porzione davvero unica e particolare del territorio bolognese. Anche il mondo speleologico (GSB-USB) è rimasto un attento sorvegliante e difensore del Parco per fronteggiare eventuali minacce sempre in agguato.

Nel gennaio 2022, il Parco è stato proposto per la candidatura a sito Patrimonio dell’Umanità (UNESCO) insieme ad altre sette diverse aree gessose italiane. Dopo diversi sopralluoghi ed incontri, l’iter della valutazione finale, nel luglio 2023, si è conclusa ed il Comitato internazionale UNESCO, riunito a Riyad (Arabia Saudita), ha accolto la richiesta, pur con prescrizioni e raccomandazioni. Questo prestigioso risultato, fiore all’occhiello per la nostra Regione, segna anche la conclusione di un lunghissimo iter, durato decenni, portato avanti da giovani speleologi, naturalisti e docenti della nostra Università, guidati solo dalla passione e dall’amore per la Natura.

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