Il Ravone

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Storia, leggende e curiosità del rio che scende da Paderno, attraversa la città e si immette nel Reno

di Francesco NIgro – Vitruvio
(pubblicato sul numero uscito nell’autunno 2019)

Il Ravone, poco di più di un solco nel terreno che taglia la collina originandosi dalle pendici di Paderno inoltrandosi poi nelle viscere della città. Un rio che segna la valle di Casaglia, inghiottito dalla vegetazione nel tratto collinare, uno scolo coperto in città, una fossa nel tratto prossimo all’immissione in Reno. Oggi il Ravone è un fantasma nel panorama della Bologna delle acque che fa notizia, eppure non è sempre stato così.

22 luglio 1932,  “Il furioso uragano dell’altra notte, gravi allagamenti e salvataggi emozionanti”, le pagine di cronaca de Il Resto del Carlino si aprivano con questo titolo. Un temporale di eccezionale violenza aveva squassato la città, lasciando una lunga lista di danni alle sue spalle e, purtroppo, un cadavere. I piani terreni delle case erano stati allagati, il pavimento di un immobile aveva ceduto all’improvviso, le porte erano state sfondate da quanto era stato condotto a valle dalla piena, il fango si era fatto strada nelle abitazioni. La città si era svegliata nell’acqua. Tutti i corsi avevano risentito della pioggia, i sepolcri della Certosa erano finiti sotto le acque del Rio Meloncello, l’Aposa aveva seminato rovina. Alcuni mobili provenienti dalle Fonti di Corticella verranno ritrovati l’indomani a Castel Maggiore. La piena aveva danneggiato anche la facciata della Chiesa di San Paolo in Ravone in via Andrea Costa, da poco recuperata e terminata su progetto dell’ingegner Ceri, quello stesso Ceri, eclettico, “bizzoso e attaccabrighe” che verrà ricordato per la sua ode all’ombelico di Venere.

Nel punto in cui il rio si inserisce sotto la porticata di San Luca, in via Saragozza, troviamo una lapide che corona un notevole arco e che segna l’ingresso del torrente, da sempre tumultuoso, in città. Sulla lapide, datata 1676, la richiesta di “Grazia perenne”.
Oggi il Ravone è tornato ad essere uno dei sorvegliati speciali della nostra collina, ma le storie che ruotano attorno al torrente non si fermano alle singolari catastrofi. Abitata fin dalla preistoria, terra di villanoviani e di etruschi, la valle acquista nel tempo la fama di un interessante nodo idraulico in quanto bypassata dall’antico Acquedotto Romano, più volte fin qui recuperato, dai progetti seicenteschi a quelli degli ingegneri comunali Gelodi e Zannoni. Progetti che culmineranno col completo riadeguamento del cunicolo ad uso potabile negli anni ottanta dell’ottocento.

Ancora, nel 1849, le sponde del Torrente vedono le truppe Austriache accampate, pronte a restituire a Bologna “pan per focaccia” dopo la cocente batosta e a passare al moschetto tutti i “briganti” che non mancavano di far sentire la loro voce, fra imboscate e coraggiose opposizioni, mentre la “cerchia di ferro” imperiale si chiudeva implacabile attorno alla città. Teatro di azioni militari, brigantaggi e assalti alla diligenza, ma anche di spensierate scampagnate ottocentesche fuori porta, non si può citare il rio senza fare riferimento alle sue mitiche fonti salutari. Sulla via di Ravone, non lontano da Villa Spada, una casupola dava accesso alla sorgente. Qui sgorgava un’acqua dichiarata limpida, squisita, naturalmente effervescente, salata, amarognola, con un effetto purgativo ed antiscrofoloso. Un’acqua degna di essere addirittura imbottigliata e distribuita a depositi di acque minerali e farmacie.

Fanno capo a questo torrente anche vecchie segnalazioni faunistiche, che riferiscono della rara  Salamandrina perspicillata, specie endemica. Segnalazioni curiose, che sanno di confusione se non fosse per la vicinanza, relativa, di una notevole popolazione di salamandrina.

Catastrofiche o salutari che fossero, le acque del torrente scorrono ora limacciose sotto Bologna, mostrandosi in via Sabotino, superando, nascoste, il canale di Reno e sversando in esso il loro eccesso nella località Ponte degli Stecchi, per poi riemergere alla vista in prossimità di quella che fu l’antica Osteria del Chiù, sull’omonima via, continuando a fianco della canaletta della Ghisiliera che alimentava il Molino di Ravone e lungo i Prati di Caprara. Infine scivolano nelle terre di Bertalia, perdendosi nel nostro Fiume Reno.

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