Gli ultimi giorni di Hitler nei ricordi di Zenzocchi, montanaro prigioniero a Berlino che una volta a casa consegnò alla figlia un monile portafortuna che molti credono abbia recuperato nel bunker dove il Fuhrer si suicidò assieme alla moglie
di Claudio Evangelisti
(articolo pubblicato nel numero uscito nell’estate 2014)
Sembra una storia incredibile, quella legata ad un prezioso monile d’argento che a partire dal maggio 1945 viaggiò da Berlino fino alla storica locanda “la Lanterna” di Cà Santoni, situata sin dal 1870 in mezzo all’abetaia di Pian del Voglio.
Se non fosse stato per la grande amicizia che lega la conosciutissima ristoratrice Augusta alla giornalista del Resto del Carlino, Veronica Balboni, questa scoperta sarebbe rimasta confinata nell’ambito di questo sperduto borgo di montagna situato al confine dei possedimenti del Conte Ranuzzi e la Toscana. Il racconto di quel che accadde quel giorno in cui a Berlino si concluse la guerra è stato raccontato da Giovanni Zenzocchi (1915-2001) al ricercatore di storia locale Domenico Galeotti che fece pubblicare l’articolo sul Carlino il 21 febbraio 2010.
L’avventura del babbo di Augusta Zenzocchi inizia nel marzo del 1940 quando fu richiamato alle armi per combattere contro i partigiani jugoslavi di Tito, fino all’armistizio del settembre 1943. In seguito alla confusione post 8 settembre, il comandante del battaglione preferì tenere uniti i suoi soldati fino all’arrivo dei tedeschi, che li presero in consegna come prigionieri.
A Zenzocchi fu assegnata una carta d’identità nel quale figurava come operaio in una fabbrica di carri armati, ma fu subito destinato, assieme agli altri commilitoni, al tristemente noto campo di concentramento di Mathausen. Lì un ufficiale italiano apprese ed informò i soldati che gli ebrei venivano sterminati. Fortunatamente, grazie allo status di operai specializzati, quel gruppo di italiani fu trasferito in un campo di lavoro a Luchtenwald, nei pressi di Berlino. Zenzocchi, poté sopravvivere al misero rancio composto di cavoli e patate, scambiando le sigarette con i viveri che la croce rossa internazionale portava ai prigionieri francesi.
Nel frattempo, gli americani a ovest e i russi a est, erano ormai vicinissimi e sul campo tedesco si abbatté un tremendo bombardamento alleato che durò per ben tre giorni, senza tregua. Zenzocchi si salvò rifugiandosi dentro un tubo di ferro largo appena 70 centimetri. Dopo il bombardamento i soldati italiani vennero trasferiti a Spandau dove trovarono i soldati russi che li presero con loro per costruire un ponte di legno nella Berlino che stava per arrendersi ai sovietici. Era la fine dell’aprile 1945 e Hitler, all’interno del suo bunker ormai accerchiato, esaudì il desiderio più grande di Eva Braun: alle prime ore del 29 aprile, in piedi davanti a un ufficiale dello stato civile, si sposarono.
Nel pomeriggio del 30 aprile 1945, Adolf Hitler e sua moglie si suicidarono. Hitler ingoiò una capsula di cianuro e si sparò. Eva prese soltanto il veleno. Hitler era morto, ma la battaglia di Berlino continuava. Il Generale Weidling, comandante di fresca nomina, ordinò il “cessate il fuoco” solo il 2 maggio, mentre una fredda pioggerella cadeva sulla città.
“Apprendemmo che Hitler si era suicidato e il corpo bruciato nel giardino del suo bunker – racconta Zenzocchi, che visse quel giorno in prima persona – Subito ci recammo sul luogo e trovammo ossa bruciacchiate attorno al bunker, io con sorpresa vidi un braccialetto da donna in argento, era seminascosto tra le ceneri, lo raccolsi ma mi fu difficile stabilirne l’appartenenza. Osservai l’imponente bunker in cemento armato, con diverse scale che scendevano nei sotterranei”.
Zenzocchi fu poi trasferito dai russi a Wanzai, dove rimase sei mesi e da dove, assieme ad altri 300 italiani, decise poi di mettersi in cammino verso l’Italia. Con i marchi trovati dentro alla cassaforte di una banca crollata pagarono il cibo che gli agricoltori gli vendevano durante il tragitto, e fu così che riuscirono ad arrivare in treno fino a Bolzano.
Il 25 settembre 1945 arrivò a Cà Santoni dove apprese che il fratello Dino era stato ucciso dai miliziani fascisti insieme al cugino Paolino Pasqui, perché sospettati di collaborazionismo con i partigiani. C’è chi sostiene che si trattò di una delazione, a causa di un aspro rancore inspiegabile, da parte di repubblichini del luogo, i quali diedero ai loro superiori informazioni errate.
Passarono gli anni e Augusta racconta che un giorno suo padre le disse: “Conserva questo bracciale, ti porterà fortuna, l’ho trovato là dove ero, tienilo con te”. Il bracciale reca internamente la scritta “hand arb 800 ok”. Non esiste un certificato di autenticità del monile che dimostri l’appartenenza ad Eva Braun ma noi vogliamo credere al racconto di Giovanni Zenzocchi e, comunque sia, per Augusta il braccialetto rappresenta il grande affetto che il papà aveva per lei