Le tradizioni popolari della pianura bolognese tra fede, storia e dialetto
di Gian Paolo Borghi
(articolo pubblicato nel numero uscito nella primavera 2016)
Ancora oggi alcuni contadini delle nostre campagne osservano un’antica tradizione annuale per proteggere i frutti della terra dalle calamità atmosferiche: la preparazione delle croci e la loro collocazione sulla sommità dei campi di grano, il 3 maggio, popolarmente noto come “Giorno di Santa Croce”. Questo rito richiama alla memoria arcaici culti propiziatori condotti in un alveo cristiano in tempi anch’essi ormai lontani. La Festa della Santa Croce è una delle più antiche delle varie chiese cristiane. Prima del Concilio Vaticano II, due erano le giornate del calendario liturgico dedicate a questa celebrazione, entrambe legate al ritrovamento della Croce di Cristo, in Palestina, in data imprecisata, oscillante dai primi anni dalla sua morte al 335: il 3 maggio, “Ritrovamento della Santa Croce” (Invenctio Sanctae Crucis) e il 14 settembre, “Esaltazione della Santa Croce” (Exaltatio Sanctae Crucis). Il calendario liturgico prevede oggi soltanto la ricorrenza del 14 settembre, più antica, ma in entrambe le date continuano tuttora a svolgersi feste e cerimonie che si richiamano alla tradizione arcaica. La festa del 3 maggio si sarebbe inizialmente diffusa in Francia.
L’antica pratica cerimoniale della preparazione delle croci, un tempo, veniva effettuata con l’impiego dei fusti legnosi della canapa, già liberati dalla fibra. Si utilizzava un fusto lungo per il braccio verticale e un suo frammento per quello orizzontale. Con una piccola roncola (la runcàtta) veniva praticata un’incisione nella parte alta del braccio verticale per potervi inserire il braccio trasversale con un ramoscello d’ulivo, benedetto dal parroco la Domenica delle Palme. In diverse località della nostra pianura i contadini collocavano in questa fenditura anche un frammento della candela distribuita in chiesa il 2 febbraio, giorno della “Purificazione di Maria”, altrimenti definito della “Candelora”. A volte, un piccolo ramo d’ulivo veniva posto anche sulla sommità del braccio verticale. Sempre con la roncola, si appuntiva poi l’altra estremità del tronco per facilitarne l’infissione nella terra. Ogni anno, il mattino del 3 maggio, dopo il suono dell’Ave Maria, i bambini (simbolo dell’innocenza) procedevano al rito delle croci (a piantèr al cròuś), collocandone una per ogni campo di grano. La recita del Pater Noster, dell’Ave Maria e del Gloria (un Patèr, un Aî Marî e un Glòria) concludeva ogni operazione. In alcune località, le croci venivano prima benedette, in chiesa, dal parroco.
Nella tradizione della società rurale di un tempo, vigeva il proverbio Par Sânta Cròuś, furmèint spigòuś, ossia “Per Santa Croce, frumento con la spiga”. Un riferimento, quindi, sia spirituale che materiale. Dopo la mietitura del grano, le croci non venivano distrutte, ma erano lasciate nei campi: soltanto le forze della natura le avrebbero potute distruggere. Scomparsa la coltivazione della canapa, oggi i contadini che osservano l’antico cerimoniale le preparano generalmente con canne palustri oppure con bastoni ricavati da rami d’albero. Vengono infisse dagli adulti, in genere gli stessi che le preparano. Alcuni le realizzano anche in ferro per poterle usare più anni. Un rito, quello delle croci nei campi, giunto ai nostri giorni resistendo all’incedere millenario del tempo.