Zaino in spalla e cartina alla mano lungo l’Alta via dei parchi tra miti, rifugi e leggende
foto e testi di Salvatore Di Stefano
(pubblicato nel numero uscito nell’autunno del 2016)
Oggi vi voglio accompagnare fra le cime più alte dell’Appennino bolognese, alla scoperta di storie millenarie e panorami mozzafiato, seguendo il più importante dei sentieri in pieno crinale tra Emilia e Toscana; la famigerata Alta Via Dei Parchi.
Corno alle Scale. Se vi dicessi solo questo, tutti pensereste alla rinomata stazione sciistica. Forse, invece, è proprio quando la coltre di neve lascia posto al verde acceso delle montagne che questo magico posto prende vita. Zaino in spalla e cartina alla mano, partiamo dal Rifugio del laghetto Cavone. Girato attorno al lago, seguiamo il sentiero CAI 337 che subito ci fa capire d’essere in montagna: il sentiero sale in mezzo alla stupenda ma ripida faggeta. Poche centinaia di metri costeggiando il Rio Piano e s’apre d’avanti a noi uno dei panorami più belli dell’Appennino. Quota 1563 metri, siamo nella Valle del Silenzio, una vasta conca glaciale sovrastata dalla cima di Punta Sofia, la vetta più settentrionale del Corno alle Scale: semplicemente meraviglioso.
Nel bel mezzo della valle, il primo bivio (ben segnalato). A noi, interessa prendere la destra, seguendo le indicazioni per il Passo della Porticciola, sentiero CAI 335. Altra breve ma intensa salita ci fa guadagnare un’altra vista spettacolare. Dal Valico della Porticciola, si può osservare tutto il comprensorio del Corno fino alla vetta del Cimone di fronte, e la vetta della “Nuda” alle spalle. Mica male…
Accompagnati dal vento e solcando arbusti di mirtilli che tentano la gola, continuiamo a salire tenendo la sinistra delle piste da scii, sempre seguendo le indicazioni del 335. Dicevamo cima? Appunto, una grossa croce metallica sormonta Punta Sofia. Proseguendo verso destra lungo il crinale (sentiero CAI 129) si raggiunge la vetta del Corno alle Scale; 1945 metri. Se la giornata è molto limpida, una breve sosta ci può far apprezzare lo splendido ed unico panorama di cui vi parlavo. Siamo nel punto più elevato della provincia di Bologna, il panorama per vastità trova pochi eguali in questo settore dell’Appennino: verso nord si scorge l’arco alpino che sovrasta un ampio settore della Pianura Padana, a sudovest il Mar Tirreno, l’Isola d’Elba e addirittura le cime della Corsica proprio all’orizzonte. Sono ben visibili anche le Alpi Apuane e quasi tutte le vette dell’Appennino modenese.
La discesa è immediata, se tralasciamo la breve risalita per valicare la Punta Giorgina, in meno di un quarto d’ora giungiamo alla sella del Passo dello Strofinatoio dove si incrocia il sentiero CAI 00. Qua, se qualcuno non volesse proseguire, una digressione cala a destra sul versante emiliano in direzione del già visibile Rifugio Sasseto, questo sentiero porta dritti dritti al punto di partenza. Proseguiamo, seguendo lo 00 e scendiamo ancora di quota ed aggiriamo il Monte Cornaccio fino a raggiungere i 1800 metri del Passo dei tre Termini. Si narra che nel 217 a.c. da qui sarebbe passato Annibale il Cartaginese insieme al suo esercito, trasportato dall’unico elefante superstite dalle battaglie nel nord d’Italia. Dal valico, il sentiero 00 passa in territorio modenese e, seguendo le indicazioni per l’ormai vicino Lago Scaffaiolo, ci si lascia a sinistra il Monte Cupolino. Fosse un film, si intitolerebbe “La leggenda del Lago Scaffaiolo”. Invece di film non si tratta: gli insoliti fenomeni atmosferici che lo circondano hanno da sempre suscitato grande curiosità. Quassù è difficile risvegliarsi senza nebbia. Che poi di vera nebbia non si tratta: è una semplice stazionaria nuvola che si forma con l’aumentare della temperatura mattutina, posandosi proprio in questa conca. Secondo le credenze popolari, il lago era collegato direttamente al mare attraverso un canale sotterraneo ed ogni volta che vi si getta un sasso, dal fondo si solleverebbe una tremenda burrasca. Un’antichissima tradizione, narrata anche dal Boccaccio nel suo libro: “de’ laghi e de’ fiumi”.
Di tutto ciò, l’unica verità, è che a causa della natura impermeabile del terreno e la quasi totale assenza di vegetazione circostante, il lago si conserva tutto l’anno grazie alle piogge e allo scioglimento delle nevi. A dominare lo Scaffaiolo è il rifugio Duca degli Abruzzi, primo rifugio alpino edificato sull’Appennino Tosco-Emiliano. La discesa a valle è semplice e sbrigativa; si segue l’ampia carrareccia fino ad arrivare all’altro Rifugio delle Malghe (m 1620) per poi procedere sino alla briglia in cemento che regola le acque del Dardagna. Superata quest’ultima, il sentiero diviene un’ampia carrareccia ghiaiosa che in moderata discesa ci riporta nella faggeta fino a raggiungere il Laghetto del Cavone, punto di partenza.