I Romani lo chiamarono Arbutus Unedo, per i suoi frutti bianchi e rossi e le foglie sempre verdi durante il Risorgimento era l’albero simbolo dell’Unità Nazionale
Di Claudia Filipello – www.naturopatiabologna.it
Quando si parla di “frutti dimenticati”, ci si riferisce a piante di antica tradizione, abbandonate o accantonate a favore di colture più produttive o meglio adattabili alle logiche industriali. Negli ultimi decenni sono molte le varietà che hanno subito un declino commerciale a causa di queste motivazioni. Le ricerche scientifiche e la cultura gastronomica, però, sono concordi nel sostenere il recupero di queste coltivazioni.
Il Corbezzolo, insieme al Giuggiolo, il Sorbo, le Nespole, le Mele e le Pere Cotogne e tanti altri, appartengono alla categoria dei frutti dimenticati e proprio per questo motivo andiamo ad approfondirne la conoscenza, anzi a riscoprirlo.
Furono i Romani a dare al Corbezzolo il nome di Arbutus Unedo e Virgilio chiamava questo albero, tanto diffuso in Italia, Arbustus; Plinio e alcuni suoi contemporanei lo denominavano Unedo, da Unum Edo, cioè “ne mangio uno solo”, per indicare quanto sgradevole fosse il gusto del frutto.
Il Corbezzolo è una pianta appartenente alla famiglia delle Ericaceae, (la stessa del mirtillo); è di lenta crescita ma se nasce in zone favorevoli e riparate può raggiungere dai 6 fino ai 10 metri di altezza. Purtroppo, per il taglio dei boschi e gli incendi, la sua altezza non supera i 2–3 metri. È molto diffuso nelle regioni mediterranee e nell’Europa meridionale in genere; tuttavia anche se in misura minore, se ne trovano nell’Europa centrale e qualche esemplare anche in Irlanda fino al Marocco.
Il Corbezzolo è molto decorativo, benché abbia un portamento contorto, per le sue foglie persistenti e sempreverdi, ma in particolar modo per i suoi frutti rotondi, coloratissimi, sempre presenti: i più giovani sono verdi, i più maturi sono rossi mentre gli intermedi sono gialli o arancio e contemporanei ai fiori.
In Sardegna, nella provincia di Nuoro, è presente una pianta di Corbezzolo censito nell’Archivio degli alberi patriarchi che possiede una circonferenza del tronco di 3,20 metri. La presenza contemporanea delle foglie verdi, dei fiori bianchi e dei frutti rossi evocò nell’Ottocento la bandiera italiana, fino a divenire durante il Risorgimento, il simbolo dell’Unità Nazionale. Inoltre, sempre per la compresenza di quei specifici colori sulla pianta, dopo la prima guerra mondiale, in diversi “Parchi delle Rimembranze”, costruiti in quel tempo per ricordare e commemorare i caduti in guerra, il Corbezzolo fu chiamato “Albero d’Italia”.
Il Corbezzolo è ricco di proprietà terapeutiche, in particolar modo per la presenza di arbutine, un glucoside che ha una potente azione astringente, in particolar modo agisce sull’alvo diarroico; ha azione antinfiammatoria delle vie biliari, del fegato e dell’apparato circolatorio, antispasmodico dell’apparato digerente, diuretico, antisettico e antinfiammatorio delle vie urinarie. Tali proprietà terapeutiche sono racchiuse soprattutto nelle sue foglie, ricche di tannini e fenoli. I frutti vantano un notevole contenuto di pectina, zuccheri e vitamine soprattutto se raccolti nel periodo ideale, cioè fra novembre e dicembre. In fitoterapia, le foglie di Corbezzolo sotto forma di infuso vengono sfruttate in caso di affezioni delle vie urinarie, dei reni ma anche in caso di febbre e diarrea. Si può preparare una tisana con foglie essiccate da bere in caso di cistite o infiammazioni della vescica ed è ottimo anche il miele di Corbezzolo dal gusto delicato, gradevolmente amaro con proprietà balsamiche, antisettiche, diuretiche e antispasmodiche. La corteccia contiene una notevole quantità di tannino impiegata per la produzione di coloranti e per la concia delle pelli.
In cucina il Corbezzolo regala il meglio di sé, infatti può essere utilizzato per preparare insolite marmellate, canditi, bibite fermentate dissetanti, acquavite e perfino un gradevole aceto, indicato per pietanze, verdure crude e insalate. I frutti possono essere messi sotto spirito come le ciliegie ed è possibile ricavarne un vino detto “di corbezzolo”. I frutti mangiati crudi in grande quantità possono indurre un senso d’ubriachezza e di vertigine. Nel linguaggio dei fiori è simbolo di ospitalità; inoltre i Latini attribuivano al Corbezzolo poteri magici e secondo la testimonianza di Virgilio riportata nell’Eneide, sulle tombe venivano lasciati dei ramoscelli di questo sempreverde a simbolo della stima nutrita nei confronti del defunto. L’esclamazione “corbezzoli”, deriva dall’aver cercato una forma meno volgare dell’esclamazione “non mi rompere i corbelli”, forse anche per la somiglianza dei suoi frutti coi “corbelli”. La pianta era conosciuta dagli antichi greci anche con il nome di “kòmaros”, essi ne consumavano i frutti sia freschi che fermentati. Il Corbezzolo è specie nutrice della larva del lepidottero della famiglia Nymphalidae Charaxes jasus, meravigliosa farfalla, proprio per questo detta comunemente “ninfa del corbezzolo”, che cresce appunto a spese delle foglie del Corbezzolo.
Tra le piante protagoniste della nostra macchia, il Corbezzolo è forse l’unica che è andata acquistando negli ultimi anni sempre più favore e spazio nei giardini e terrazzi, regalandosi la visibilità e l’importanza che si merita; oltre che l’attenzione verso i suoi frutti…per non dimenticarli.