Questo piccolo angolo di Medioevo a due passi dalla Porrettana è ricordato già nel 1235 negli estimi di Artigliano: si ricorda una casa denominata “Sculcula”, termine che si vuole far derivare dal longobardo “sculca”, con il significato di insediamento militare. L’edificio principale del borgo in pietra è Palazzo Parisi al cui interno è custodito un grande camino in pietra datato 1575 e un fregio affrescato che ritrae le fatiche d’Ercole
di Michelangelo Abatantuono
(pubblicato nel numero uscito nell’autuno 2010)
Le falde del Montovolo, montagna sacra fin da tempi remoti, ci offrono ancora oggi suggestive testimonianze di quello che fù.
Testimonianze di pietra, innanzitutto: borghi nei quali il tempo pare essersi fermato, luoghi non toccati dall’affannoso procedere della vita moderna. Eppure siamo a pochi chilometri dalla Porrettana o dall’immane nastro d’asfalto dell’Autostrada del Sole.Vigo e poi Sterpi, Predolo, Campolo, Cavallino, la Scola: un mondo a parte che pare riemergere dal medioevo, dove ogni casa è frutto della sapiente opera di scalpellini e mastri muratori che con materiali poveri, pietra e legno, sono comunque usciti vittoriosi sul trascorrere delle stagioni.
Di tutti questi borghi di pietra la Scola è forse quello più suggestivo, per la sua completezza, per la presenza di oratori, per le viuzze e stradine su cui si affacciano case povere e residenze dei signori di un tempo. Le case seguono l’andamento del terreno e si presentano addossate e reciprocamente integrate in una sorta di sistema difensivo naturalmente congegnato. Si raggiunge dalla valle del Reno o da quella del Setta attraverso strade che si restringono sempre più: Vigo a malapena si attraversa con l’automobile poi, giunti nei pressi di Campolo, un cartello indica la via per la Scola, ma pochi chilometri dopo bisogna lasciare l’auto, perché queste contrade sono state costruite a misura d’uomo e di bestie da soma, quando il rombo dei motori era ancora un suono sconosciuto. Ma vi è anche un aspetto, per così dire, sacrale; il silenzio e la quiete regnano sovrani in questi luoghi, accedervi con le auto sarebbe quasi una profanazione.
Scola era compresa nel territorio di Vimignano, un tempo detta Arvigliano, a sua volta corruzione del latino Aurelianus, indice, con la vicina Oreglia (Aurelia) di una frequentazione romana di queste terre. Ma già prima gli etruschi avevano consacrato ai propri dei il vicino Monte Vigese.
La Scola è ricordata già nel 1235, negli estimi di Arvigliano, le dichiarazioni dei redditi del tempo. Si ricorda una casa denominata “Sculcula”, termine che si vuole far derivare dal longobardo sculca, con il significato di insediamento militare.
È però dal basso medioevo che si hanno maggiori testimonianze, con la costruzione delle case di pietra, a partire dal Quattrocento, che ancora oggi fanno mostra di sé. Fra le altre emergono le case torri, tipica edilizia della tramontante età di mezzo. Erano tempi in cui bande di briganti infestavano l’Appennino, facendo razzia di cose e strage di persone e a poco valevano i bandi e gli editti del Comune di Bologna, troppo lontano da queste terre per fare sentire la sua forza e contrastare i facinorosi. Ecco allora che le famiglie più abbienti delle comunità, arricchitesi con la mercatura o con l’esercizio del notariato, diedero mandato a valenti mastri muratori di costruire dimore che coniugassero la funzione abitativa e quella difensiva. Le case torri, appunto, disponevano di vani per la conservazione delle derrate, della cucina, di camere destinate a vari usi, ma il loro sviluppo verticale e la dura pietra con cui erano costruite le rendevano sicure dagli attacchi dei malvagi. Tanto più che sovente la porta si trovava non al piano terreno ma a quello superiore e vi si accedeva tramite scale mobili, successivamente sostituite da scalinate di pietra o di mattoni.
Tra le famiglie più in vista della Scola vi era quella dei Parisi, di cui ancora oggi si conserva la dimora. Negli estimi del 1385 è ricordato un certo Parisio che, come ricorda Giuseppe Coccolini, “era proprietario di una casa, mentre i suoi discendenti (Parisi) nel 1451 possedevano tre case; questa famiglia si è poi suddivisa in tre rami: Parisi, Pelagalli e Bruni che insieme conservarono la proprietà dell’intero borgo della Scola fino all’Ottocento. I Parisi in particolare divennero una delle più importanti casate della valle del Limentra e parteggiarono nelle fazioni allora esistenti, ebbero una serie di notai, di prelati, di dottori in legge e di capitani, garantendosi nella zona una posizione economica ed un prestigio invidiabile”.
Palazzo Parisi è l’edificio principale e nucleo centrale del borgo; sull’architrave datato 1638 è stata scolpita in latino l’iscrizione “Ostium non hostium”: entrata, ma non dei nemici, quindi entrino gli amici. Al corpo centrale dell’edificio sono state aggiunte altre parti, con collegamenti aerei verso gli edifici vicini, e feritoie e balestriere, logge architravate, porticati, finestre decorate, fregi dipinti. All’interno si apre un ampio salone con un camino in pietra datato 1575 e un fregio affrescato che ritrae le fatiche d’Ercole.
L’abate Calindri ricorda come, verso la fine del Settecento, a Scola vi fossero 16 famiglie ed era uno dei borghi più popolati della zona, con tre oratori: Santa Caterina, San Pietro e San Francesco, di cui oggi rimangono gli ultimi due. San Pietro venne costruito dai Parisi nel 1616 e conserva una Madonna della Cintura attorniata da una folla di santi. L’oratorio di San Francesco si deve alla famiglia Bruni e si apre sulla piazzetta inferiore, ove si affaccia la casa natale di Arturo Palmieri, tra i maggiori studiosi della storia medievale del nostro Appennino. Venne costruito nel 1628 sulla piazzetta detta corte di Antonio Bruni, che tutte le sere veniva chiusa con cancelli da ogni lato.
Ancora più antica è l’edicola dedicata secondo Oriano Tassinari Clò a San Vicenzo Ferreri e datata 1481; recava un tempo l’immagine del Crocefisso.
Non si può infine dimenticare il monumentale cipresso che si erge ai margini del borgo, la cui età è stimata in 700 anni. Il magnifico esemplare, tutelato con legge regionale dal 1983, è alto 25 metri, la circonferenza del tronco è di 4,70 metri e quella della chioma di 6 metri. Si narra che nel 1905 un fulmine colpì la pianta, abbattendone una parte, una decina di metri quadrati di legname, con cui venne realizzato il portale della vicina chiesa di San Lorenzo di Vimignano.