I vulcani di fango dei colli

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Si chiamano “salse” e sono citate anche da Dante in un canto dell’Inferno. Nel bolognese ne sono segnalate diverse anche se dopo il terremoto del 2012 di attive non ce ne sono più

di Giuseppe Rivalta

Poco dopo la cima del colle dell’Osservanza, sopra Bologna, andando verso Gaibola, sulla parete di un antico edificio, s’incontra una lapide che ricorda un famoso brano della Divina Commedia con un riferimento alle “salse” che, evidentemente, s’incontravano in questo luogo.

Le salse, o “mud volcanoes (vulcani di fango) sono manifestazioni naturali prodotte dall’emissione di melme grigiastre insieme ad acqua e veicolate in superficie dalla pressione del gas metano, o da idrocarburi in generale, in risalita dalle profondità. La loro presenza è tipicamente distribuita lungo il margine appenninico padano. Questo fenomeno è maggiormente diffuso nel modenese, mentre tende, attualmente, a ridursi ad est nel bolognese e ad ovest nel parmense.

I fanghi argillosi depositatisi e consolidatesi all’esterno, creano dei piccoli edifici conici che, in certi casi, possono raggiungere anche i tre o quattro metri di altezza. Questo fenomeno che non ha nulla a che fare con il classico vulcanismo magmatico, s’origina da sedimenti argillosi contenenti idrocarburi generalmente eocenici o più antichi. I materiali arrivano in superficie seguendo sistemi di fratture o faglie, trascinando verso l’alto le acque di falda.

Caratteristiche chimiche dei materiali eruttati
Le emissioni gassose sono in prevalenza costituite da Metano ed in minor quantità da Idrogeno Solforato (dal tipico odore di uova marce). La fase liquida è rappresentata da acque profonde e/o da acque di falda più superficiali. In certi casi sono presenti fluidi bituminosi riconoscibili per le iridescenze violacee che lasciano sulla superficie dell’acqua. La presenza di sali di Cloruro di Sodio e Potassio si evidenziano sulle croste argillose con patine biancastre durante i periodi di siccità. I minerali sono abbondanti in queste crete.
Aspetti botanici dell’ambiente delle Salse
Per le condizioni chimico-fisiche dei fanghi eruttati, la vegetazione si è selezionata adeguandosi a questo habitat particolare. Innanzi tutto la presenza di argilla indurita rende difficile la penetrazione delle radici nel sottosuolo e quindi la relativa disponibilità di approvvigionamento idrico necessario alla pianta. Inoltre le alte quantità di composti salini rappresentano un considerevole fattore limitante per le specie vegetali che vanno incontro ad una naturale selezione. In altri termini ci si trova davanti a piante adattate ad ambienti in grado di sopportare concentrazioni di sali molto elevate (alofilia). Per questa ragione, sulle argille più salmastre, cresce la Puccinella fasciculata, una graminacea molto rara in Emilia che tuttavia è diventata tipica di questi ristretti habitat. Un’altra specie di Puccinella (P. distans) fu segnalata dal botanico Lino Vaccari (1873-1951) nelle Salse di Nirano, come unica località in Regione. Presente sono diverse entità di Phragmites, una geofita che cresce attorno alle argille emesse.
Le Salse in Emilia e nel bolognese
Complessivamente tra Parma ed Imola si contano almeno quattordici siti caratterizzati da emissioni fangose e di gas. Alcune sono in uno stato di degrado provocato da lavori agricoli, mentre altre, fortunatamente, sono in buone condizioni come quella di Regnano in provincia di Reggio Emilia con frequenti attività eruttive. Quest’area, non molto ampia, subì diversi fenomeni di  emissioni tra il 1754 ed il 1860. In quel periodo si formò un cono alto 7 metri. Famosa è la Riserva Naturale Regionale delle Salse di Nirano (1982) nel modenese, ancora in attività. La loro fama inizia con scritti di Plinio il Vecchio seguita poi da quelli di Lazzaro Spallanzani nel XVIII secolo e dall’Abate Stoppani del XIX secolo.

Spostandoci nell’area  bolognese, merita di essere citata la Salsa del Dragone (o di Sassuno) nella valle del Sillaro. Questo sito noto fin dal XVIII secolo venne descritto dall’abate Serafino Calindri, grande studioso dell’Appennino bolognese. Questa importante personalità ci ha lasciato un’interessante descrizione, della suddetta Salsa, nel suo dizionario Corografico (1783). Nel V° volume si legge: “…il nome Dragone a questo luogo gli è derivato da una curiosa favoletta, creduta da què buoni montani come una innegabile verità…di  esservi stato, in queste parti né secoli scorsi, un  Dragone che faceva strage degli  abitanti e che da  un prete fu  maledetto e confinato in questo profondo..”

Il Calindri descrisse dettagliatamente anche le eruzioni d’argilla riguardo alle quali ha lasciato scritto: “…gettavasi con più sensibile fragore l’argilla in tempo di terremoti ultimi, ed i getti né giorni di terremoto viepiù acceleravansi l’un presso l’altro e balzavano a maggior altezza…”. In quell’epoca questo vulcanetto di fango era in forte attività con continue eruzioni e borbottii, mentre oggi è in quiescenza con, tuttavia, periodici emissioni di bolle di fango miste a gas. È sufficiente battere l’argilla ancora tenera della zona vicina alla bocca eruttiva per far sgorgare delle bolle.

Più ad ovest, nell’attigua valle dell’Idice, non lontano da Settefonti, sopra mercatale, alcune decine di anni fa venne scoperto un vulcanetto di fango che aveva eruttato una notevole quantità di materiale argilloso. Il sito fu dedicato al Prof. Ardito Desio (geologo che aveva organizzato la Spedizione al K2) il quale, ultra novantenne, nel maggio del 1993 tenne, a tal proposito, una lectio magistralis all’Università di Bologna. Attualmente non ci sono emissioni attive.

Anche sui calanchi detti dei Poggioli Rossi di Monte Paderno, a ridosso di Bologna, il Prof. Luigi Bombicci nel suo libro “Montagne e Vallate del bolognese” (1882) riferiva della presenza di un cono eruttivo e nel XX secolo, la sua esistenza venne confermata dagli abitanti del luogo. Attualmente questa emergenza è completamente scomparsa. Altre emanazioni del genere sono conosciute a Vedriano (Castel san Pietro) ed a Bergullo (Imolese), ma oggi poco attive. Nella valle del torrente Venola (affluente del fiume Reno) nei pressi di Vedegheto, sempre Bombicci riferiva che esistevano alcuni conetti di fango.

Nel profondo di queste strutture geologiche le condizioni tettoniche dell’Appennino sono in movimento e cambiano col tempo, specialmente in corrispondenza di eventi sismici (es. Terremoto dell’Emilia del 2012). I camini eruttivi, di conseguenza, in molti casi si occludono.

Nel territorio bolognese esistono altri tipi di strutture geo morfologiche Sono molto più antiche e attive quando il mare pliocenico bagnava ancora le aree che sarebbero diventate collinari. Nelle argille di San Lorenzo in Collina (Comune di Monte San Pietro), dove nuotavano delfini e balenottere, sono venute alla luce delle concrezioni cilindriche del diametro di 10 o 20 centimetri: Cold Seep  Chimmey. Si tratta di “ex camini” sottomarini, lunghi anche diversi metri, costituiti da sabbie cementate che in origine erano beanti e permettevano il passaggio di gas metano misto ad acque e fanghi. Uno di questi strani “camini” è visibile davanti al Museo dei Botroidi di Tazzola proveniente da San Lorenzo in Collina. Questi Cold Seep Chimmeys, in Bulgaria non lontano da Varna, emergono dal terreno, per erosione, diverse di queste concrezioni.

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