Carducci amava passeggiare tra le tombe monumentali assieme alla sua musa, la scrittrice romana Adele Bergamini. Qui riposano artisti, cantanti e miti dello sport bolognese. Nel cimitero all’ombra del Colle della guardia si sono consumati anche numerosi delitti
di Serena Bersani
Eccola, l’altra Bologna. La città dei morti si estende, quasi speculare a quella dei vivi, a ovest della città, una Spoon River non sulla collina ma ai piedi del Colle della Guardia, sotto l’ala protettiva della basilica di San Luca. Sono 270.000 metri quadrati di chiostri e loggiati, campi con alberi secolari e cespugli di erbe aromatiche, aiuole fiorite e monumenti funebri, con una straordinaria collezione di statue e composizioni artistiche. La storia della città, quella dei personaggi famosi come quella dei bolognesi sconosciuti, la ricostruiscono le epigrafi sulle tombe, che contribuiscono a comporre un racconto al tempo stesso intimo e corale. Ci sono le storie di chi è caduto in guerra, di chi venne falcidiato dalla Spagnola, la pestilenza del secolo scorso, di bambini uccisi da morbi fatali, di nomi assurti agli onori delle cronache per vicende tragiche o popolari, di campioni dello sport e degli amministratori che hanno reso Bologna quello che è oggi. Tutte vite come tante, che popolano l’altra città. Ma la Certosa è molto più di un camposanto. È un museo a cielo aperto, un luogo per camminare nella storia della città o andare in pellegrinaggio alla ricerca dell’ultimo domicilio di quanti, lasciando il mondo dei vivi, sono entrati in quello dei miti, come accade a Parigi al Père Lachaise e in tutti i cimiteri monumentali del mondo. E proprio perché la Certosa è molto più di ciò che ci si potrebbe aspettare, abbiamo selezionato alcune delle tante particolarità che la caratterizzano.
Delitti e passioni
Se pensate che questo sia il luogo più tranquillo e sicuro della città, vi possono smentire alcuni episodi del passato che le cronache registrano accaduti in Certosa. A cominciare da un brutale delitto avvenuto la mattina del 7 ottobre 1828: vittima il primo direttore del cimitero Raffaele Mazzoli per mano dei fratelli Paolo e Innocenzo Perucchi, manovali figli del capomastro Carlo, a cui era affidata la costruzione della Sala del Pantheon, che erano stati licenziati perché avevano costruito male il tetto dell’edificio. Testimone oculare della vendetta un carrettiere, tale Bonora, che riferì come il direttore fosse stato massacrato dai due con gli attrezzi del mestiere. Con la complicità del padre, i fratelli riuscirono a fuggire all’estero e, malgrado le ricerche seguite a numerose segnalazioni, non vennero mai rintracciati finché, ben 35 anni dopo, il caso venne archiviato.
Un colpo di arma da fuoco, invece, risuonò all’interno del cimitero nella notte del 4 giugno 1860 quando venne scoperto colui che da alcune notti faceva scempio tra le tombe, disseppellendo e spogliando i cadaveri. Si trattava di un capitano dell’esercito che non seppe dare spiegazioni sensate al suo agire. Il guardiano gli sparò ferendolo a una mano e mettendo fine alle sue riprovevoli azioni. Una tragedia si consumò in piena epoca romantica secondo lo stile wertheriano: nel 1823 un giovane ufficiale francese andò a uccidersi sulla tomba di Maria Brizzi Giorgi, famosa musicista di straordinaria bellezza, lodata per la sua avvenenza anche dal Canova. Il giovane ne era perdutamente innamorato, anche se l’artista era ormai scomparsa da oltre due decenni, morta di parto a 36 anni. E, poiché il binomio amore-morte resiste nel tempo, a un certo punto il cimitero della Certosa cominciò a diventare luogo di appuntamento per incontri più o meno clandestini. Nel 1909 la guardia municipale, dopo giorni di appostamenti, bloccò un giovanotto e una signora, che erano soliti entrare nel cimitero a pochi minuti di distanza l’uno dall’altra, sorpresi a darsi un bacio fugace tra le tombe. D’altra parte, il passeggiare tra le tombe in appassionati conversari era divenuta un’abitudine consolidata da quando Carducci soleva dare qui appuntamento alla sua musa, la scrittrice romana Adele Bergamini, con la quale intratteneva una relazione pare solo intellettuale in quanto entrambi sposati. Ispirato dalla memorabile passeggiata tra chiostri e portici nel giorno di Ferragosto del 1870, il Vate dedicò all’amata una delle sue odi più famose, “Fuori alla Certosa di Bologna”.
I miti
E quella del nostro premio Nobel per la letteratura è oggi una delle tombe più visitate tra chi in Certosa ricerca l’ultima dimora dei personaggi cittadini ormai entrati nel mito. La tomba di Carducci, che si trova vicino all’ingresso raggiungibile dal portico proseguimento di quello per San Luca (entrambi riconosciuti dall’Unesco patrimonio dell’umanità) è un monumento cenotafio di granito scuro in cui i resti del poeta vennero traslati il 9 novembre 1935, in occasione del centenario della nascita. Non lontano dal monumento a Carducci, vicino a Ottorino Respighi e Giorgio Morandi, c’è la tomba di Lucio Dalla, sovrastata da una scultura leggera in metallo che riproduce l’artista con cappello e bastone. Sulla lapide sono riprodotti i versi del finale della canzone “Cara”: “Buonanotte anima mia, adesso spengo la luce e così sia…”. Sono tanti altri i bolognesi che si possono ormai onorare nella categoria dei miti e che riposano in Certosa, dal sindaco Dozza al celeberrimo cantante castrato Farinelli, i cui resti sono stati fortunosamente ritrovati dopo essere stati dati per dispersi per oltre due secoli ed esaminati dagli antropologi forensi nel tentativo di scoprire il segreto della sua voce meravigliosa. Ma il mito dei miti per chi ha fede rossoblù è Giacomo Bulgarelli, il numero 8 del Bologna dello scudetto 1964, per il quale la Società Bfc e il Comune hanno realizzato nel campo del Cinerario una cripta con i colori della squadra.
Quello che non ti aspetti
Delle numerosissime opere realizzate dalla talentuosa pittrice bolognese Elisabetta Sirani, morta assai giovane, se ne sono conservate ben poche. Quelle rimaste a Bologna sono pochissime e alcuni dei suoi capolavori si possono ammirare proprio all’interno della bella chiesa di San Girolamo della Certosa. Incontri inaspettati, così come quelli di animali ormai difficili da ritrovare in città. Nel cimitero, oltre a gatti e corvi, ci sono anche ricci, scoiattoli e lepri, insieme a una delle più importanti comunità di rondini ancora dimoranti sotto i portici della città delle torri (proprio come nella canzone di Lucio Dalla), nella pace e nel verde. Un verde che può essere anch’esso inaspettato perché tra i secolari cipressi, i tassi e i cedri, si possono trovare anche diverse palme.
Scolpiti nel marmo o nella pietra
A fermare nel tempo il ricordo di chi non c’è più anche per le generazioni future ci pensano l’architettura e l’arte. Nel silenzio di spazi solenni come la splendida galleria a tre navate realizzata da Coriolano Monti che, tra giochi di luce e di ombre, vuole rievocare i passages parigini (ispirazione per altro presente anche nella città dei vivi, come si vede nelle gallerie del Leone, Acquaderni e Cavour), si possono incontrare personaggi del passato immortalati nei loro tratti caratteristici. È il caso del monumento al commediografo Alfredo Testoni, che si può vedere nel Chiostro X nell’opera di Alfonso Borghesani, rappresentato in veste da camera, con un libro in mano e con lo sfondo delle torri. Oppure quello dedicato a Camillo Ronzani, fondatore dell’omonima birreria al Lido di Casalecchio, che sfruttava le acque del Reno per far funzionare le macchine. Nella Sala San Paolo lo scultore Pasquale Rizzoli lo raffigura accanto a un uomo nudo e muscoloso appoggiato a una ruota meccanica e a un angelo con una pergamena in cui si esalta il valore del lavoro. Tra i gruppi scultorei più emozionanti c’è quello dedicato a Enio Gnudi, grande sindacalista e primo sindaco comunista della città, che ebbe l’insediamento funestato dalla strage di Palazzo d’Accursio: l’opera dell’artista Farpi Vignoli rappresenta un corteo funebre formato da quattro diversi operai e da una mondina che trasportano il corpo del paladino di tante lotte sindacali. Una delle icone della Certosa è infine il maestoso leone ferito, opera in gesso dello scultore Carlo Monari che si scorge nell’abside della Sala delle Tombe, mentre simbolo del luogo di passaggio all’aldilà sono le due maestose figure in terracotta realizzate da Giovanni Putti e collocate sulla sommità di pilastri al cancello dell’ingresso da cui si accede alla camera mortuaria. Le due statue affrante e piangenti vengono popolarmente chiamate “i Piangoloni”, segno di una velata ironia che ai bolognesi non manca nemmeno all’ingresso della città dei morti.