GORGOGNANO: il paese che non esiste più

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Prima della Guerra contava migliaia di abitanti e una chiesa con un spendila guglia ma già prima della fine del conflitto era stato raso al suo. Nel tempo è stato definitivamente abbandonato ma un’associazione si sta ribellando al suo oblio

Giulio Reggiani

«La guglia svettava snella e ardita nel cielo, sul cornicione agli angoli quattro artistiche statuette, di notevoli dimensioni, rappresentavano le stagioni e reggevano con grazia i doni della terra. Il campanile era dotato anche di quattro bellissime campane che insieme ad un grande orologio scandivano il tempo nella vallata». Questa è la descrizione, concisa ma molto chiara, di un paese caratteristico del nostro primo Appennino, appollaiato su un’altura e che sembra dominare la vallata sottostante. È (o meglio era) il paese di Gorgognano. Nella sua storia spiccava la vecchia chiesa, probabilmente seicentesca, che fu migliorata e rimodernata nel ‘700, ma fu quasi interamente rifatta nel 1836; anche il vecchio campanile, colpito da un fulmine, venne ristrutturato nel 1897, ma lo stile del “nuovo” fu avvicinato il più possibile al “vecchio”. Così l’ultimo campanile di fine ottocento, eseguito dal capomastro Camillo Magnani di Livergnano con l’aiuto degli abitanti, divenne motivo di fortissimo orgoglio da parte di tutto il paese. Col tempo Gorgognano ha acquistato purtroppo un’altra caratteristica molto particolare: oggi non esiste più. Stiamo parlando di un “villaggio fantasma”? Parrebbe proprio di sì, visto che attualmente non ci sono case o edifici abitati, solo ruderi e rovine.

Ma cosa successe di così grave a questo paese, tanto da scomparire? Facciamo due passi indietro nella storia e andiamo ad un importante avvenimento della Seconda Guerra Mondiale, cioè l’inizio dell’operazione “Double Fight” (“Doppio Pugno”) verso la prima decade d’aprile del 1945. Questo attacco alleato prevedeva inizialmente l’assalto della VIII Armata inglese, che sarebbe avanzata da est verso ovest, cioè dalla parte orientale del fronte, quello romagnolo per intenderci. A questo primo “pugno” sarebbe poi seguito quello americano, da sud verso nord, in territorio bolognese. Ma la tattica alleata, prima di avanzare, prevedeva sempre, oltre all’utilizzo dell’artiglieria pesante, anche l’impiego dell’aviazione, che bombardava in modo sistematico e progressivo le località d’imminente occupazione da parte dell’esercito. Nei primi mesi del 1945 ed in tutta la parte finale della guerra, essendo l’aviazione alleata padrona dei cieli italiani, sul fronte emiliano-romagnolo molti bombardamenti “strategici” vennero usati in modo “tattico” per preparare l’avanzata dei mezzi corazzati e della fanteria. Vien da pensare allora che il paese fosse stato raso al suolo da un bombardamento aereo strategico, come successe ad altri centri abitati del bolognese (vedi Malalbergo) e del ferrarese (vedi Argenta e Portomaggiore). Ma non è stato questo il caso di Gorgognano: il paese, che all’inizio della guerra contava un migliaio di abitanti, subì, oltre a bombardamenti aerei (di carattere tattico, però) anche molti e frequenti cannoneggiamenti, essendo proprio un avamposto della difesa tedesca sulla “Linea gotica” appenninica. Così, fin dall’autunno del ’44, l’abitato fu costantemente bersagliato dall’artiglieria alleata, tanto che la maggior parte della popolazione doveva passare innumerevoli ore nei rifugi, ricavati sottoterra o nei profondi scantinati delle case. Anche il parroco “resistette” a quei continui cannoneggiamenti, quasi a voler preservare chiesa e campanile da una distruzione che pareva inevitabile. Don Ibedo Vogli, quell’arciprete così coraggioso, era nativo della pianura bolognese e veniva precisamente da Malalbergo, dove aveva i suoi parenti e dov’è tuttora seppellito nella tomba di famiglia (ancor oggi molti abitanti di questo paese, in verità assai attempati, lo ricordano come concittadino).

Proprio l’avanzata statunitense pose fine a quel calvario, ma gran parte della popolazione, all’arrivo delle truppe di liberazione, se n’era già andata; i pochissimi che erano rimasti, però, si ritrovarono con la casa da ricostruire e quindi fu loro offerto di stabilirsi nei paesi vicini. E fu così che Gorgognano si svuotò. Gli ex-residenti, che oramai abitavano altrove, non vollero affrontare spese e fatiche per ripristinare (o addirittura per costruire ex-novo) le loro abitazioni: tutte erano distrutte o grandemente lesionate, non se n’era salvata una. Pure don Ibedo aveva dovuto lasciare il paese dopo che la chiesa era stata anch’essa bombardata. “Mi fermai per guardare l’ultima volta la mia valle; quello che era stato un paesaggio stupendo, era diventato come un unico grande cratere. L’abitato di Gorgognano appariva come un rigonfiamento del terreno e nulla più”.

Nell’immediato dopoguerra, la Parrocchia di Gorgognano venne “provvisoriamente trasferita” a Pianoro, ma qualche tempo dopo, esattamente nel 1986, fu soppressa e la maggior parte del suo territorio venne aggregata a Santa Maria di Zena. E guarda che fatalità: con quest’ultima, la Parrocchia di Gorgognano aveva avuto litigi secolari ed aveva rivendicato sempre la propria autonomia nei suoi confronti.
Ancor oggi non abbiamo che alcuni ruderi del paese, ma dai bombardamenti si salvò la cosiddetta “chiesina del cimitero”, un oratorio che si trovava al limitare del camposanto, un po’ lontano dagli edifici paesani; rimase intatto anche il cimitero che, nel 2008, pure lui venne soppresso; assieme ad esso, venne abbandonata la strada di accesso ed alcuni sentieri di collegamento fra l’abitato e il cimitero. Ma da alcuni anni è sorta un’associazione culturale, l’Associazione Parco Museale della Val di Zena, che si è adoperata per il ripristino del luogo; ecco le parole che uno di loro ha riportato nel sito: «Facendoci largo tra la vegetazione abbiamo trovato sull’altare della cappella del cimitero, nel 2013, un quaderno di testimonianze e scritti degli ex abitanti di Gorgognano che in maniera unanime desiderano che il luogo si conservi accessibile e sia tenuto in maniera dignitosa in rispetto della loro memoria e dei loro cari». La prima idea del gruppo di volontari dell’Associazione, in collaborazione con il CAI, è stata quella di riattivare la strada che porta sia al paese che al cimitero, in pratica dove ora passa il sentiero CAI 815. Inoltre è stato ripulito il cimitero, che era fortemente malridotto in quanto oramai inghiottito dalla vegetazione spontanea assieme alla Pieve. I volontari hanno continuano a completare il programma di rivalutazione di tutta l’area attraverso una serie di interventi tra i quali l’installazione di un tabellone informativo, la sistemazione del tetto della cappellina del cimitero, l’installazione permanente di tre totem composti da un centinaio di mattonelle in terracotta, frutto di un laboratorio con i bambini, che narrano storia, vita e personaggi di Gorgognano, trasmessi dagli anziani del luogo sotto il titolo “Rimodellare Gorgognano” e infine l’installazione di pannelli di intonaco sulle pareti dell’ex cimiterino raffiguranti vecchie immagini e personaggi del paese, reinterpretati da Sandra Gamberini, più due pannelli che riportano, ingrandendole ed evidenziandole, due pagine del quaderno posto all’interno della cappella.
Ma cosa succederà in un prossimo futuro? L’intento dell’Associazione è questo: «Continuare a mantenere vivo e custodito il luogo, implementando il turismo lento e sostenibile che passa e conosce quest’area conservandone la memoria».

Già quest’anno, esattamente l’8 Giugno 2019, all’interno del Festival di Itacà in Val di Zena, è stato organizzato anche un evento a Gorgognano dove, durante la festa che oramai è diventata un appuntamento annuale, c’è stato nel vecchio cimitero un concerto del coro multietnico “Mikrokosmos” diretto da Michele Napolitano.

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