Ferlini, l’esploratore

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Medico, mercante ed archeologo: l’avventurosa vita del bolognese che vendette i tesori delle piramidi di Meroe a Re Ludwig I° di Baviera

di Giuseppe Rivalta

La storia dell’archeologia è piena di personaggi diversi per preparazione e metodologia. Grazie a Napoleone, l’Egitto, con la spedizione del 1798, le ricerche ricevettero una spinta notevole per lo studio della sua storia e quindi dei suoi monumenti richiamando l’interesse di molti archeologi e non solo. Nel 1821 un naturalista francese Fredèric Cailliaud, appena trentaquattrenne, durante un viaggio in Nubia (Sudan) dove cercava oro, arrivò davanti alle piramidi di Meroe fino ad allora sconosciute. Qui s’inserisce la storia avventurosa del bolognese Giuseppe Ferlini.

Ritratto Ferlini – Foto C. Busi.png

Questo personaggio era nato a Bologna nel 1797. A diciassette anni era uscito da casa per contrasti con la famiglia e si era recato a Venezia e poi nell’isola di Corfù. Là aveva conosciuto il Pascià di Giannina il quale lo aveva arruolato come medico (anche se aveva ancora un’esperienza ridotta) in Albania dove erano presenti le sue truppe. Nel 1822 in Grecia partecipò, sempre come medico, nei combattimenti tra i Greci e i Turchi. Rientrato a Bologna nel 1827, ben presto ripartì, questa volta per l’Egitto dove Mohammed Alì (che diventerà il padre fondatore dell’Egitto moderno) stava reclutando per l‘esercito anche medici stranieri. Tre anni dopo, stanco del lavoro in ospedale si aggregò ad una missione militare che scendeva verso il Sudan come sempre in qualità di medico. L’Alta Nubia lo attirava per le notizie che aveva raccolto sui tesori ancora celati tra le sabbie. La scoperta di Meroe, effettuata nel 1821 da Cailliaud, gli era giunta all’orecchio e volle partire alla volta di quella mitica città sepolta, incuriosito ed affascinato dai tesori che poteva ancora celare ed eventualmente trovare.

Nel 1834, in pieno agosto, dopo aver organizzato la spedizione, partì verso l’antica città nubiana. Visto il sito subito si concentrò negli scavi per cercare i tesori nascosti nelle piramidi di Meroe, più piccole di quelle ben note di Giza, ma più numerose. Per entrare all’interno di quelle costruzioni funebri, insieme al socio albanese Stèfani, non ebbe alcuna remora a demolire e sbriciolare le parti sommitali (e non solo!) pur di penetrare nelle tombe. In quei tempi questa era un’usanza abbastanza comune perché l’archeologia era ancora condotta da avventurieri disposti solo ad arricchirsi (che oggi definiremmo tombaroli) oppure finalizzata principalmente allo studio della Storia dell’arte greco-romana. L’italiano Giovanni Battista Belzoni, in Egitto, aveva già fatto importanti scavi a Giza e nella Valle dei Re tra il 1816 ed il 1819

Le piramidi di meroe -Foto G.Rivalta

Finalmente, dopo diverse prospezioni nelle due necropoli, nella piramide più grande, appartenuta alla regina Amanishakheto, recuperò un vero tesoro di oggetti preziosi. Senza parlarne e senza mostrarlo agli indigeni, che lo coadiuvavano nello scavo archeologico, nottetempo scappò, in modo rocambolesco, su dei dromedari. Dopo varie peripezie riuscì ad imbarcarsi su un battello del Nilo per il Cairo. Verso la fine del 1836 rientrò in Italia arrivando a Bologna. 

Giuseppe Ferlini, si poteva muovere con destrezza in tutti quei lontani paesi, grazie all’esperienza raggiunta con i suoi viaggi, poiché era in grado di parlare il greco, l’albanese, l’inglese e l’arabo e questo lo favorì molto, oltre al suo aspetto, nelle sue contrattazioni mercantili.

Dopo incontri con alcuni commercianti che non avevano dato un buon risultato, Ferlini riuscì a vendere, una parte degli oggetti recuperati, al Re Ludwig I° di Baviera, amante delle arti. Tentò anche di rivendere a Londra altro materiale archeologico coadiuvato dall’esule Giuseppe Mazzini. Oltre a lui, sempre in quella città, aveva conosciuto anche il bolognese Conte Carlo Pepoli un altro che era fuggito dall’Italia per i suoi profondi sentimenti patriottici. Purtroppo il British Museum non accettò gli oggetti proposti perché ritenuti falsi. Fortunatamente l’affare andò in porto, invece, con il Nuovo Museo di Berlino. Il Conte Pepoli rientrato a Bologna e Livio Zambeccari, patriota ed iscritto alla massoneria, permisero a Ferlini di donare al Museo Egizio di Torino (che era stato creato nel 1824) numerosi facsimili di ori e bronzi meroitici. Nel 1843 Ferlini donò alla città di Bologna una serie di oggetti anche preziosi che aveva scavato in Sudan. 

Tomba di ferlini -Certosa Bologna – Foto C. Busi

Ferlini rimase sempre legato al suo passato di viaggiatore e avventuriero. Spesso, quando passeggiava per Bologna si faceva notare per la sua rossa barba e le sue onorificenze sul petto oltre ad appoggiarsi ad un lungo corno di antilope. Era sempre accompagnato da un servo nubiano che, praticamente, aveva adottato. Sposato varie volte ebbe anche dei figli. Nel 1843 acquistò la fabbrica bolognese delle ceramiche Aldrovandi e diciannove anni più tardi ottenne un brevetto per la conservazione della carne secondo un sistema che aveva imparato in Africa. Morì nel 1870 e riposa in una tomba alla Certosa di Bologna.

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