DON MINZONI

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Prete del popolo, eroe di guerra senza sparare un colpo e infine martire per libertà. Nato a Ravenna nel giugno del 1885, sarà ucciso nella sua Argenta nel luglio del 1923 per essersi opposto al Regime

di Claudio Evangelisti

Don Giovanni Minzoni fu il primo sacerdote del 900 a dire no al regime fascista. Alla sua memoria sono intitolate vie, piazze e scuole inmolte città italiane. Nel 1947 a Bologna viene intitolata a Don Minzoni la strada che da Viale Pietramellara arriva a Piazza dei Martiri. È una via importante che fa parte dell’asse stradale approvato dal piano regolatore del 1889. Prendendo a modello i boulevard parigini, prevedeva il sacrificio della cinta muraria e disegnava il nuovo collegamento che attualmente dalle mura, nei paraggi dell’antico porto fluviale, termina a Porta Zamboni.

La figura di questo coraggioso parroco nato a Ravenna il 29 giugno 1885 e ucciso nel 1923 ad Argenta nel ferrarese, rimane però sconosciuta alla maggioranza delle persone. La storia del suo passato che ancora oggi ci parla e appartiene, racconta del suo eroismo dimostrato sul campo durante la prima guerra mondiale con le tante decorazioni al valore e della sua tenace opposizione al nascente regime fascista dove rispose alla violenza con il cuore, unica e sola arma in suo possesso.

SACERDOTE DAL 1909

Giovanni Minzoni nasce da una famiglia della media borghesia di Ravenna e dopo gli studi nel seminario, nel 1909 fu ordinato sacerdote. Nel 1910 è vice parroco di Argenta, una terra che sembrava di nessuno per l’abbandono sociale ed anche religioso in cui era lasciata: teatro di agitazioni, conflitti   operai oltre a epicentro di lunghi e  cruenti  scioperi agricoli. Don Minzoni durante i suoi studi e i primi anni di sacerdozio comprende che il messaggio Evangelico non è compatibile con i “Mercanti del Tempio”, quindi ogni testimonianza di fede deve essere necessariamente rivolta alla difesa delle classi sociali oppresse dai regimi. Dal 1912 don Minzoni promuoverà il messaggio Evangelico tramite lotte sociali molto aspre e radicali che inducono a supporre che sia stato in un qualche modo l’anticipatore italiano della Teologia della Liberazione nata decenni dopo nei paesi del Sud America.

EROE SUL FRONTE DEL PIAVE

Durante la prima guerra mondiale don Minzoni si fa promotore delle condizioni dei contadini, peggiorate a causa del conflitto fino a quando all’età di 31 anni, l’esercito regio gli impone l’arruolamento. Destinato alle retrovie preferisce il fronte in trincea con i fanti nelle vesti di Cappellano militare. Nel febbraio del 1917 la sua istanza viene accolta e assegnato col grado di Tenente al 255° Reggimento di Fanteria, Brigata Veneto. Il suo posto sarà tra i giovani soldati contadini e operai italiani mandati al macello sul fronte nord-orientale contro gli austriaci. Il 4 settembre, nella battaglia di Brestovizza, rischiando la  vita sotto il tiro nemico, soccorre e porta in salvo diversi soldati feriti ricevendo i complimenti del generale, comandante della Brigata, Leopoldo Durando.

L’8 ottobre a Flondar/Pieris soccorre, sfidando il pericolo, il capitano medico Enrico Vanelli gravemente ferito. Dal 26 al 31 ottobre 1917 durante la ritirata di Caporetto, pur malarico, rifiuta il trasporto e partecipa a piedi alla ritirata fino al Piave.

Nel corso della battaglia sul fiume Piave, compie vari atti di eroismo (senza mai favorire la soppressione delle vite umane, che è l’essenza stessa della guerra) che gli meriteranno la medaglia d’argento al valore militare oltre a due croci al merito di guerra. La medaglia d’argento gli verrà appuntata il 28 giugno 1918 direttamente dal Duca d’Aosta e l’intera Brigata Veneto sfila in suo onore.

Alla fine della guerra, don Minzoni, fu profondamente scosso dagli orrori del conflitto che ha vissuto e dalla comprensione di chi fosse il vero nemico dei soldati italiani. Non i contadini e gli operai austriaci mandati anch’essi al macello, ma la Famiglia Reale Savoia e gli imprenditori italiani. Nella Prima Guerra Mondiale moriranno 2.197.000 italiani tra soldati e civili mentre l’azienda torinese FIAT si imporrà come azienda automobilistica nazionale entrando nel Club dei Padroni che influenzeranno la vita del paese dal 1914 ai giorni nostri, proprio grazie ai veicoli militari venduti al regio esercito.      

IL RITORNO AD ARGENTA
E L’AVVENTO DEL FASCISMO

Al rientro ad Argenta, come parroco, don Minzoni promuoverà i diritti sociali del dopo guerra avvicinandosi al Partito Popolare Italiano, fondato da Luigi Sturzo progenitore della futura Democrazia Cristiana. Pur essendo maggioritaria la corrente centrista, all’interno del P.P.I. agivano molti membri con tendenze della sinistra cristiana. Nell’aprile del 1917 si affianca a Padre Emilio Faggioli, fondatore del Gruppo Scout Bologna, diventando assistente regionale per gli scout cattolici dell’Emilia Romagna. Gli Scout sono per Minzoni e Faggioli una risposta adeguata per contrastare i controvalori fascisti e impedire che le nuove generazioni italiane cadessero nella trappola ideologica del fascismo basata sulla violenza, repressione e distruzione di vite umane.
Nel ferrarese in quegli anni si respirava un clima da guerra civile: il 20 dicembre 1920 si erano registrati sei morti nel corso dell’eccidio del Castello Estense. Il 7 maggio 1921 fu vittima dello squadrismo fascista il sindacalista socialista Natale Gaiba, consigliere comunale ad Argenta e amico di don Minzoni. Questo e molti altri episodi convinsero il sacerdote ad opporsi esplicitamente al fascismo già prima della marcia su Roma, e a manifestare vicinanza alle vittime dello squadrismo, anche a quelle di matrice socialista. Gli orrori della guerra, le lotte sociali e la cooperazione con leader socialisti e comunisti, formeranno l’attivismo politico di don Minzoni dichiaratamente anti fascista. Così il prete di Argenta si opporrà ferocemente alla nascita del movimento Balilla (gioventù fascista) nella sua cittadina. Nel 1923 Minzoni fonda gli Scout ad Argenta. I gerarchi fascisti locali si opposero alla formazione di questo gruppo giovanile cattolico in quanto non era sotto il controllo di Mussolini. Arrivarono ad accusare Minzoni di voler diffondere pericolose idee comuniste all’interno della Santa Chiesa. Nonostante le intimidazioni verbali e reali affidate alle squadracce fasciste il gruppo appena costituito di Scout ad Argenta contava già settanta iscritti nella prima settimana dalla sua creazione.

L’OMICIDIO

L’8 luglio 1923 don Emilio Faggioli fu invitato nel teatro parrocchiale di Argenta a tenere una conferenza sulla validità educativa dello scautismo. “Attraverso questo tirocinio e disciplina della volontà e del corpo”, affermò don Faggioli, “noi intendiamo formare degli uomini di carattere”. Dalla galleria lo interruppe allora il segretario del fascio di Argenta “C’è già Mussolini…!”. Monsignor Faggioli riprese il suo intervento spiegando all’uditorio che lo scautismo agisce sopra e al di fuori delle fazioni politiche. “Vedrete da oggi lungo le vostre strade i giovani esploratori col largo cappello e il giglio sopra il cuore. Guardate con simpatia questi ragazzi che percorreranno cantando la larga piazza d’Argenta.”In piazza non verranno!” esclamò ancora il segretario del fascio. Gli rispose allora don Minzoni stesso: “Finché c’è don Giovanni, verranno anche in piazza!”. L’applauso dei giovani troncò il dialogo. Gli oltre settanta iscritti al gruppo degli esploratori cattolici di Argenta erano una realtà, e le minacce non erano servite al loro scopo.
La sera del 23 agosto 1923, intorno alle 22:30, mentre stava rientrando in canonica in compagnia del giovane parrocchiano Enrico Bondanelli. Minzoni fu aggredito da due squadristi di Casumaro, Giorgio Molinari e Vittore Casoni, facenti capo al futuro Console della milizia Italo Balbo: fu da costoro colpito alle spalle con sassi e bastoni con una violenza tale da provocargli la frattura delle ossa del cranio Il giovane Bondanelli, percosso a sua volta e ferito, dovette abbandonare ogni difesa, mentre gli aggressori si allontanavano velocemente. Minzoni riuscì in un primo momento a rialzarsi e, nonostante il forte dolore, fece qualche passo ma cadde sulle ginocchia. Bondanelli, con grande difficoltà, lo aiutò ad arrivare a casa, dove alcuni paesani lo trasportarono di peso nel suo letto, data ormai la sua impossibilità di camminare. Fu visitato da un dottore, ma le condizioni del sacerdote erano gravissime. Morì intorno a mezzanotte, circondato dai parrocchiani che erano accorsi per prestargli aiuto.

Poco prima della morte don Minzoni aveva scritto: “a cuore aperto, con la preghiera che mai si spegnerà sul mio labbro per i miei persecutori, attendo la bufera, la persecuzione, forse la morte per il trionfo della causa di Cristo”. Il cordoglio popolare fu profondo e diffuso. Il 25 agosto venne celebrato il funerale in parrocchia, poi la bara con la salma di don Giovanni fu trasportata in corteo da Argenta a Ravenna, dove fu accolta dalle fanfare dei carabinieri reali e del 28° reggimento fanteria. L’ arcivescovo Antonio Lega, non concede il Duomo e non partecipa al funerale ma si fa rappresentare alla funzione da mons. Peppi.  La morte di Minzoni rischiava di creare le basi per una rivolta popolare nel ferrarese e di compromettere gli accordi in corso con il Vaticano per stabilire i rapporti tra Chiesa e Stato al fine di evitare che la Chiesa Cattolica diventasse un avversario politico. Per impedire una rivolta popolare e un’insanabile frattura politica con la chiesa, Mussolini diede ordine a Balbo di dimettersi e sottopose il suo fedelissimo avanguardista ad un processo per calmare l’opinione pubblica, la Chiesa Cattolica e il Vaticano. Il processo terminò nel 1925 con l’assoluzione piena di Balbo, Molinari e Casoni. Fu definito dai media e opinione pubblica dell’epoca un processo farsa.

La dittatura fu imposta il 6 novembre 1926 dal Regio Decreto n. 1848 che prevedeva lo scioglimento di tutti i partiti e la nomina del Fascismo alla guida perenne e incontrastata dell’Italia assieme all’ultimo sovrano italiano della Casa Savoia. I patti lateranensi furono firmati nel 1929. Processati di nuovo a Ferrara nel 1947, gli imputati superstiti (Malan come mandante, Molinari e Casoni esecutori) furono condannati per omicidio preterintenzionale e scarcerati per sopravvenuta amnistia.

Al Cinema e in TV
La storia di Don Minzoni ha raggiunto anche il grande e il piccolo schermo. Su RaiPlay è possibile vedere “ ̀”, film TV di Ermanno Olmi, mentre nel 2019, con la regia di Marco Cassini, è stato prodotto il film “Oltre la Bufera”. Si ringrazia il Museo Don Minzoni di Argenta per le immagini e il giornalista Fulvio Beltrami per la collaborazione.

 

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