Dentro i Bagni di Mario

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Nel XIX secolo questo grosso complesso di captazione delle acque venne erroneamente identificato come un possibile centro termale di età repubblicana. Ora è aperto al pubblico

di Francesco Nigro

(articolo pubblicato nel numero uscito nell’inverno 2018)

Situato poco fuori Porta San Mamolo, sulla sinistra idrografica dell’Aposa, sul fianco della collina già attraversata dall’Acquedotto Romano, nel corso del XIX secolo questo grosso complesso di captazione delle acque venne erroneamente identificato come un possibile centro termale di età repubblicana, riconducibile al console Caio Mario.

l’inconfondibile sala principale con le vasche di raccolta

Complici dell’errata attribuzione furono gli ornamenti e la simbologia: sale ottagonali frequentemente associate all’acqua, conchiglie scolpite, resti di organismi bentonici incastonati ad arte nella malta, pietre laviche utilizzate come fini decorazioni e greche incise nell’arenaria. In realtà, si tratta di una serie di elementi sopravvissuti ai segni del tempo e alle azioni vandaliche, che ci rimandano al gusto rinascimentale per la classicità e l’acquaticità, richiamando i ninfei e gli angoli ricavati nei giardini e presso le fontane, dove si celebrava una natura idealizzata e artefatta.

una vasca di decantazione a croce nella sala ottagonale minore

Un gioco decorativo un tempo accompagnato dai riflessi sull’acqua, mediati da punti luce centrali nelle volte ottagonali. Di tutto questo rimane solo l’ombra. La nicchia principale, ormai purtroppo spoglia, è coronata da due leoni rampanti che cingono uno stemma centrale corroso dal tempo, probabile celebrazione del vicelegato Cesi, committente di quell’opera di cui le Conserve (come storicamente erano definite per i tre punti dotati di vasche di raccolta) erano la conseguenza secondaria che portava la firma del poliedrico architetto Tommaso Laureti, detto “il Siciliano”. Quest’ultimo era impegnato nel macroscopico progetto di condurre più acqua nel centro cittadino, verso la costruenda definitiva fontana di piazza, il Nettuno.

scale di accesso al condotto inferiore

La metà del Cinquecento è un momento di frenetica rivoluzione della stessa piazza, fra demolizioni e costruzioni che incontrano le aspettative pontificie. Fra queste la realizzazione della scenografica facciata del Palazzo dei Banchi opera del Vignola (altra grande figura legata alle acque nel bolognese) e l’inaugurazione dell’Archiginnasio nel 1563. Nello stesso anno iniziano i lavori del grande complesso di captazione. Come leggiamo nelle cronache, la vena d’acqua di Valverde viene trovata e scorre copiosa. Lo stesso toponimo ne suggeriva l’abbondanza, esaltando il verde intenso le rigogliose alberature. Oggi una scala conduce il visitatore nella grande sala dove si aprono quattro vasche principali di decantazione e quattro condotti di captazione ciechi, più o meno articolati, che affondano nel substrato sabbioso-arenaceo.

Le acque della Fonte Remonda

Entrando in questo primo livello non sfuggono, ad un occhio attento, i rimandi all’uso del luogo come rifugio antiaereo. Immediatamente al di sotto si trova l’angusto condotto sotterraneo che veniva a congiungersi, presso la chiesa della Santissima Annunziata, con le acque della Fonte Remonda, provenienti dal versante opposto della Val d’Aposa, in una struttura nota come il Castello delle Acque. Quello che oggi è un cunicolo complessivamente inagibile, vedeva, all’epoca della sua realizzazione, le acque collinari scorrere lungo l’attuale via d’Azeglio, in orcioli di terracotta (un sistema modulare di facile manutenzione), in un condotto ispezionabile fino alla fonte del Nettuno, quindi trovare diversi altri utilizzi, confluire nell’Orto dei Semplici, oggi Piazza Coperta di Sala Borsa, alla Fontana Vecchia ed alla Vasca dei Cavalleggeri. Tutto questo è solo un piccolo preambolo, tanti i segreti e le curiosità che attendono il visitatore.

nei cuniculi dei Bagni di Mario

 

 

 

 

 

 

 

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