In viaggio sui canali della navigazione superiore. A Pegola e Malalbergo si rivivono le cupe atmosfere del capolavoro di Pupi Avati, “La casa della finestre che ridono
di Francesco Nigro
(articolo pubblicato nel numero uscito nell’inverno 2017)
Lasciamo alle spalle la città con i suoi dedali di condotte che drenano le acque verso il naviglio, a valle di una “Porta delle Navi” che non c’è più, oltre il lungo sottopasso dell’asse ferroviario, per arrivare ad uno stretto lembo di terra che dal Sostegno del Battiferro, antico caposaldo della navigazione bolognese, si sospinge come un sottile isolotto fino al Ponte della Bionda.
Una “restara”, un corridoio per il passaggio e per il traino delle imbarcazioni a doppia prua, su quello che oggi appare come il ramo più improbabile per la navigazione, ma inequivocabilmente segnato dagli ormeggi e dalle conche.
Il Navile scorre verso Corticella, uno dei principali scali portuali della città, continua, passa per Castello, fiancheggiando Villa Salina, si perde nelle campagne in direzione Bentivoglio, ombreggiato da una fitta vegetazione di robinie, salici, ailanti, pioppi e sambuchi che pendono sull’acqua. A Bentivoglio, superato il Diversivo che devia parte delle acque nel Savena Abbandonato, si è accolti da Palazzo Rosso, maniero in stile liberty che appare come un bastimento in controcorrente sul canale un tempo deviato in sinistra per il tratto navigabile, non più esistente, ma ancora riconoscibile per le bitte lungo la strada. Sulla destra si gestivano le paratoie, l’afflusso delle acque al mulino e al fossato del castello adiacente.
Da qui il Navile cambia aspetto, le canne delimitano le sponde evidenziando le rive crivellate dai gamberi della Louisiana, natrici tassellate saettano nell’acqua: si entra nell’Oasi la Rizza, notevole area restituita alla biodiversità fra i coltivi e le vicine valli ancora destinate alla caccia. Il viaggio sull’acqua continua in direzione di Pegola e Malalbergo. Sapendo dove guardare, fra le campagne, le ex risaie, i pali affioranti degli allevamenti ittici presidiati dagli aironi, si potranno riassaporare le atmosfere di quel Delta idealizzato che resero così intenso il lavoro di Pupi Avati: “La casa con le finestre che ridono”, un film costruito sui numerosi scorci sapientemente rubati alle terre d’acqua bolognesi. La stessa “casa” sorgeva lungo l’argine sinistro del Canale Navile ormai a Malabergo, il cattivo albergo, non distante dalla “Valle del Diavolo”, a nord della “Valle della Morte” e non lontana da quella “delle Tombe” (in realtà terre emerse). Un territorio esteso che a prima vista e senza soffermarsi sull’origine delle parole, appariva maledetto ben prima che il cinema lo consacrasse come tale. Ed in mezzo a tutto questo, si trovava realmente una “casa ridente”, un mulino, il Molino della Cà Gioiosa, fra Navile e Scolo Calcarata, di grandissima importanza strategica per il suo tempo.
Ma il viaggio fra le acque non è fatto solo di suggestioni, memorie e segni di un passato esotico di navigazione interna. Chi si trovasse in queste zone, nei punti giusti, potrebbe fermarsi ad ascoltare il canto dell’usignolo di fiume, osservare gruppi di pavoncelle in mezzo ai campi, scoprirsi vicino a piante monumentali e godere di scene degne di un documentario, il tutto in pianura, a pochi km da Bologna. A Malabergo, dopo la frazione di Pegola ed una lunga ciclopedonale, troviamo ancora l’area portuale, nessun segno d’acqua. Il Navile è tombato, c’è però la casa di manovra, il sostegno di Malabergo, isolata in un prato incolto, lungo la strada sono state preservate le lapidi del Palazzo del Dazio.
Qui finiva la cosiddetta “navigazione superiore”. Da qui in avanti un uomo del seicento continuava il suo viaggio lasciando l’ultimo lembo di terra bolognese, una penisola stretta fra le paludi, per una navigazione di valle, armato di palo fra le acque di un “Reno divertito”, deviato lontano dal Po nella “Padusa”, la grande palude, lungo il Canal Morto, verso Marrara per imboccare il poco conosciuto Po di Primaro. Oggi è un canale di bonifica fuori dalle righe, tappezzato nel suo primo tratto, ai piedi dell’argine del Reno, da Salvinia natans e castagna d’acqua, interessato da notevoli presenze ittiche, ricco di canneti ed alberato a creare un corridoio ecologico frequentato fra le varie specie anche da tarabuso e tarabusino. Dopo secoli questo glorioso ramo del Po scorre in sordina, al contrario, verso il centro di Ferrara, per immettersi sul Po di Volano, altro ramo tagliato fuori dal naturale corso del Grande Fiume, giungendo infine in prossimità della cattedrale di San Giorgio sotto alle mura della città estense.
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