Carissima Clara, tornerò…

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Dopo ottant’anni rispunta una lettera spedita da Francesco Cerioli, prigioniero in Africa alla moglie e al figlio piccolo. Ritrovata da un collezionista, è stata consegnata alla famiglia

di Filippo Benni

Dalle pieghe del tempo, dopo un giro lungo 80 anni e migliaia e migliaia di chilometri, rispunta una lettera carica di storia e sentimenti. Il timbro dice Washington ma in realtà è stata spedita dal Nord Africa, da un prigioniero di guerra italiano alla sua famiglia, il 28 agosto del 1943. A recuperarla un collezionista bolognese che l’ha ritrovata, grazie al web, in Repubblica Ceca. Poi il destino ci ha messo lo zampino e quella lettera, a differenza di tante altre che sono andate distrutte o rimaste sospese nel limbo della storia, è arrivata a destinazione. A far da postino un collega del collezionista, appassionato di storia pure lui, che lo ha aiutato a trovare la famiglia a cui era destinata quella lettera scritta dal campo di prigiona. 

Il sottotenente 

Con il grado di Sottotenente, Francesco Cerioli, classe 1910 e originario di Castelmaggiore, nel novembre del 1942 è in Sicilia al seguito del 443° Battaglione Costiero. Da quanto risulta dalle notifiche del Ministero della Difesa, il 23 luglio del 1943, poche ore prima che il Gran Consiglio del Fascismo mettesse la parola fine al Ventennio (ma non alla guerra), Francesco viene catturato dalle Forze Americane, a Trapani, e portato in un campo di prigionia in Algeria, più precisamente a Orano, sulla costa di fronte a Cartaghena, liberata dagli inglesi nel 1942 durante la famosa operazione Torch. 

A differenza di altri militari italiani catturati dagli Alleati in Nord Africa, Cerioli, a differenza di quanto potesse far pensare quel timbro con la scritta Washington apposto dal comando statunitense, non è stato deportato in America ma ha ha passato la prigionia prima in Africa e poi in Inghilterra dove arriva nell’agosto del ’44 e viene impiegato “in lavori direttamente collegati alla guerra”. 

Durante la prigionia, Cerioli scrive spesso a casa (ma non dall’Inghilterra, visto il periodo, per evitare che le Forza Americane lo credano un collaborazionista), anche se lettere e cartoline, almeno quelle che passano la censura dei suoi carcerieri, spesso si perdono. Finita la guerra, il suo viaggio di ritorno passa dalla Francia. Il 18 luglio del ’45 è sulla Marna, due mesi dopo, il 27 settembre 1945, il definitivo ritorno a casa.

Come tanti, finita la guerra Francesco non parlerà molto con amici e famigliari di quel periodo. Né della guerra né tantomeno della prigiona. Forse per dimenticare o forse per voltare pagina, le esperienze di quegli anni resteranno confinate dentro di lui, e nelle lettere che scriveva durante quel periodo alcune delle quali la famiglia ha ritrovato, chiuse in armadio dopo la sua scomparsa. 

In quel plico di missive però ne mancava una, che ottant’anni dopo ha permesso ai suoi famigliari di conoscere un altro piccolo tassello del suo calvario, riportando alla luce una delle tante piccole storie che hanno fatto la Storia di questo Paese e dell’Europa intera. 

La lettera ritrovata

Il 28 agosto del 1943, a pochi giorni dall’Armistizio che cambierà il corso della Storia, Il sottotenente Francesco Cerioli dal campo di prigionia prende carta e penna per informare la sua amatissima Clara e suo figlio Pierluigi che sta bene e che come lui sono in buona salute anche i suoi commilitoni Spalletti e Sinibaldi, chiede lumi su Dodo e Gianni, si dice preoccupato della situazione in Italia ma è sicuro che a Cà di Rondelli, località nel Comune di Monzuno, nell’Appennino a sud di Bologna, sia tutto tranquillo. Quello che ignora è che da lì a poche settimane la serenità di Cà di Rondelli sarà cancellata dall’occupazione tedesca e, qualche mese dopo, dalla distruzione e dai drammi che si consumeranno in quell’inverno in cui Monzuno, Vado, Brento e altri comuni della prima montagna bolognese rimasero divisi dalla linea del fronte: la Linea Gotica.  

Dai resoconti di Giampietro Lippi ne “La Stella Rossa a Monte Sole”, si apprende che Cà di Rondelli viene bruciata l’8 agosto del 1944, assieme a Cà di Monzuno, durante un rastrellamento in cui tedeschi e Repubblichini di Salò arrestano la famiglia Musolesi e altri antifascisti del paese tra i quali Alberto Teglia, Giuseppe Consolini, il giovanissimo Rino Benni. Venerdì 11 agosto, a Monghidoro sette prigionieri vennero fucilati, fra essi tre erano Musolesi: Gino, 28 anni, Pietro, 23 anni, Giovanni, 20 anni. 

Altri racconti accusano solo i tedeschi dell’incendio di Cà di Rondelli, sta di fatto che quella lettera non arrivò mai, a differenza di quelle spedite prima del ’43 che la famiglia ha ritrovato dopo la scomparsa del sottotenente, tra le poche fonti utili a ricostruire quello che Francesco ha passato in quei terribili anni. Una storia comune a tanti altri italiani costretti a donare alla guerra quelli che avrebbero dovuto esse i migliori anni della loro vita. 

Coincidenze 

La consegna della lettera ai due figli di Cerioli

Dopo decenni di silenzio, la Storia ha fatto il suo giro e quella missiva è rispuntata, ad inizio 2023, su un sito Ceco. A notarla Michele Frabetti, dipendente Emil Banca e passionale collezionista di cartoline e documenti storici legati al nostro territorio. “Appena l’ho vista l’ho subito acquistata – racconta – per il testo, dolcissimo, e per quell’indirizzo così famigliare: Monzuno”. Frabetti parla della lettera ad un suo collega, Fabrizio Savorosi, anche lui appassionato di cartoline d’epoca e autore di alcuni volumi sulla storia locale. I due consultano altri dipendenti della Banca che abitano a Monzuno e alla fine la scoperta: Clara non c’è più ma il piccolo Pierluigi a cui la lettera era indirizzata sì. Un breve giro di telefonate ed il gioco è fatto. Per la consegna della lettera è stata organizzata, il 2 marzo scorso, una piccola cerimonia: tutti i protagonisti della vicenda si sono ritrovati e la lettera è finalmente arrivata (regalata da Frabetti) nelle mani di Pierluigi Cerioli, presente assieme a moglie, figli e nipoti, tutti testimoni di un piccolo grande miracolo.  

“È la prima lettera che troviamo in cui si parla del periodo di prigionia di mio padre – racconta un emozionato Pierluigi – Io non ricordo quando tornò a casa, ero troppo piccolo, e poi della guerra e della prigionia non ha più parlato. Siamo riusciti a ricostruire parte di quel periodo della sua vita solo nei ultimi anni, e questa lettera è un vero regalo del destino”. 

Un destino beffardo che avanza per sorprese e coincidenze: “Mio padre, il sottotenente Cerioli, è scomparso il 3 marzo del 2003, mia madre, Clara, il 3 marzo del 2004. È incredibile che questa lettera ritorni da noi, ottant’anni dopo, proprio nei primi giorni di marzo”.  

 

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