Bologna e la caccia alle streghe

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Nel XV secolo la città era ritenuta ”il principale vivaio di aspiranti inquisitori dell’Italia rinascimentale“. La storia di Gentile Budrioli

di Claudio Evangelisti

Piazza Maggiore, 14 luglio 1498, è qui che viene condotta all’ultimo supplizio quella che fu una donna bella, istruita, ricca e potente. Si chiamava Gentile Budrioli conosciuta ancora oggi come “la strega enormissima di Bologna”, processata e condannata al rogo per aver guastato et amaliato infinite persone e fattone morire assai.

A Bologna presso il convento di San Domenico dal 1233 risiedeva il tribunale dell’inquisizione tra i più attivi e feroci d’Italia. Nel XV secolo la sede di Bologna, di competenza domenicana e appartenente alla Congregazione Osservante di Lombardia era considerata più importante del rispettivo distretto di Milano. La città felsinea godeva di un notevole prestigio sia per la presenza nella grande chiesa conventuale della tomba del fondatore dell’ordine domenicano, sia perché sede di un importante Studium, integrato nella facoltà teologica dell’Università di Bologna. Questo studio universitario era ritenuto “il principale vivaio di aspiranti inquisitori dell’Italia rinascimentalee rappresentò una delle sedi più prestigiose ed ambite.

Il principale artefice delle ondate persecutorie che scatenarono la caccia alle streghe fu il frate domenicano di origine alsaziana Heinrich Kramer che pubblicò il Malleus Maleficarum, il famigerato trattato che contribuì alla repressione delle presunte stregonerie. Secondo questo trattato, vi erano prove certe di stregoneria a cui sottoporre gli indagati prima della tortura. Una di queste consisteva nella Prova dell’acqua: secondo Plinio il vecchio le streghe galleggiavano, quindi le indagate venivano immerse nell’acqua (di un fiume o di un lago) per 10 – 15 minuti con la mano destra legata al piede sinistro. Trascorso questo tempo se erano ancora vive era provata la loro colpevolezza e condannate al rogo, se erano morte erano innocenti. Il domenicano Kramer conobbe personalmente a Bologna il confratello Giovanni Cagnazzo, l’Inquisitore che condannò Gentile Budrioli. Entrambi erano ossessionati dalla paura profonda verso le donne dotate di carisma e perciò ritenute streghe. Donne il cui sapere le portava a essere considerate pericolose. Infatti nel corso del cinquecento Padre Cagnazzo contribuì a diffondere la credenza di una setta organizzata di streghe e stregoni eretici tramite la sua enciclopedia Summa Summarum dove cita esplicitamente il Malleus. Va anche aggiunto che Bologna fu la sede della prima Compagnia della Croce fondata dall’inquisitore domenicano Corrado di Germania e fu incaricata di finanziare la costruzione di una prigione, nonché di fornire sostegno finanziario e morale all’inquisitore di Bologna.

Gentile Budrioli in Cimieri

Le bolognesi condannate per stregoneria erano per lo più astrologhe, erboriste, prostitute, donne che sapevano curare i malati, ma che una scienza ferma ai precetti medici dell’antica Grecia non poteva accettare. Secondo le confessioni ottenute dall’inquisizione le streghe si radunavano per il sabba nei boschi vicino a Paderno volandovi su scope o bastoni, però bisogna considerare che allora nel bolognese era molto diffusa la coltivazione della canapa e presso i contadini si era soliti mangiare quello che si produceva e pertanto erano molto usate ricette a base di canapa che procuravano allucinazioni da cui tali confessioni. Gentile Budrioli, figlia di Nicolò Budrioli, nacque in una famiglia benestante di Bologna. Sposò con una cerimonia sontuosa il ricco notaio Alessandro Cimieri, la dote che Gentile portò al marito fu di ben 500 ducati d’oro e andò a vivere con lui nel Torresotto di Porta Nova, compreso nella mura del Mille, di fronte alla Basilica di San Francesco. Negli atti processuali Gentile viene descritta come una graziosa brunetta che passeggiava per Bologna con vesti di seta e di velluto, con orecchini preziosi, braccialetti d’oro e perle al collo e tra i capelli. In più aveva un servo che la precedeva e due damigelle che la seguivano. Colta e sempre assetata di conoscenza, aveva frequentato le lezioni di astrologia tenute dal professore universitario Scipione Manfredi e aveva appreso le arti erboristiche da Frate Silvestro del convento francescano nei pressi della sua casa. Si narra che, circondata sempre da persone importanti e servitori ubbidienti, la Signora di Bologna non poteva nascondere le sue attenzioni per un’amante (nella Bologna del Cinquecento era uso comune averceli). Nonostante l’ostilità del marito, iniziò a mettere a disposizione degli altri le sue conoscenze di medicina e ben presto in città si diffuse la fama del suo sapere, unita alla rara capacità di comprendere e qualche volta risolvere i problemi psicologici delle altre persone. Anche Ginevra Bentivoglio, moglie del Signore di Bologna, Giovanni II, volle conoscerla e diventarne amica.

Ginevra

Ma chi era Ginevra Sforza? Figlia illegittima di Alessandro, signore di Pesaro, la bella Ginevra era la tipica donna del tempo, ricca e viziata, invischiata nelle trame di potere. A soli 14 anni sposò Sante Bentivoglio, molto più maturo di lei. Dopo pochi anni rimase vedova e in seconde nozze sposò Giovanni II, cugino del marito e primo cittadino di Bologna, divenendo tra l’altro sua consigliera. Probabilmente tra i due era già nata una relazione prima delle nozze. Con lui ebbe 16 figli, alcuni dei quali morirono in età infantile. A causa di questi fatti dolorosi, Ginevra si avvicinò all’astrologia e all’erboristeria, cercando qualche rimedio naturale alle sue pene. Fu così che la sua strada si incrociò con quella della guaritrice Gentile. Le due donne diventano subito amiche, passando interi pomeriggi a conversare e a leggere. Erano inseparabili. Grazie alle sue capacità empatiche, Gentile si conquistò il ruolo di consigliera della piccola corte dei Bentivoglio, rendendosi però oggetto di invidia, dicerie e maldicenze. Due consiglieri donne che si intromettevano nelle decisioni della politica bolognese non era un fatto accettabile. D’altronde Gentile era tenuta sotto osservazione speciale dall’Inquisizione, che probabilmente non aspettava altro che un suo passo falso, un errore per poter toglierla di mezzo. Inoltre i malvagi cortigiani iniziarono a condizionare Giovanni II, il quale già alle prese con la congiura dei Malvezzi giunse a sospettare la donna di questi accadimenti negativi. In quel periodo la famiglia Bentivoglio aveva subito negli anni diverse congiure da parte di famiglie bolognesi concorrenti, come i Malvezzi ed i Marescotti desiderosi di impadronirsi del potere. Probabilmente Gentile è vicina alla famiglia Malvezzi (il suo maestro Scipione Manfredi era ospite di Tommaso Malvezzi) e partecipa alla loro causa; forse qui vi è la ragione più fondata della sua futura rovina. Ebbene, successe che uno dei figli dei Bentivoglio si ammalò di una misteriosa malattia, che nessun medico sapeva spiegare. Ginevra si rivolse a Gentile, che subito accorse in aiuto all’amica. Purtroppo il bambino morì dopo pochi giorni. Gentile fu quindi accusata di aver «guastato» il bambino, con un maleficio. Lo stesso giorno la donna fu arrestata e condotta in carcere, l’accusa era chiara: stregoneria. Ginevra disperata era in lacrime, ma non ebbe il coraggio di difendere l’amica. Preferì non esporsi, per non subire la stessa sorte. I giudici entrarono nel Torresotto di via Portanova e trovarono le prove della sua stregoneria: un diavolo di piombo, tracce di sangue, un altare, ampolle piene di liquidi, mantelli e abiti ricoperti di diavoli dipinti. Gentile era condannata.

La strega al rogo

I testimoni che avallavano la tesi della stregoneria furono numerosi, il marito stesso la accusò, per vendicarsi di un suo presunto tradimento, di averlo sottoposto ad un incantesimo per fargli perdere l’intelletto. Una serva di Gentile confermò che la sua Signora parlava con il diavolo e le aveva insegnato una malia o per meglio dire una fattura, per far innamorare un uomo. Gli Inquisitori fecero una seconda perquisizione nella casa della donna, trovando altro materiale che, strano ma vero, durante la prima incursione era loro sfuggito: libri di negromanzia e magia nera, un altare con le immagini di Lucifero, dodici sacchetti contenenti ciascuno polvere di organi umani con i quali bastava che toccasse il corrispondente organo di qualcuno per farlo ammalare, le prove inconfutabili di «72 congiungimenti carnali con spiriti demoniaci» oltre ad «ossa rubate al cimitero, simboli sacri profanati e oggetti per l’evocazione dei demoni». Secondo la ricostruzione dello storico Ghirardacci, questa “grandissima incantatrice” avrebbe iniziato a rendere omaggio al demonio, adorandolo “come divino”, recandosi a venerarlo alla basilica di San Francesco e accendendo di nascosto, davanti all’altare di San Michele, candele in onore del Maligno. Di notte si sarebbe inoltre recata più volte, “nuda come nacque”, nel cimitero dei frati minori, scoperchiando tombe per prelevare teschi e membra dei morti. Poco le sarebbe mancato per acquisire l’invisibilità, raggiunta la quale non avrebbe avuto paura “di persona al mondo”. C’era chi affermava con certezza che Gentile era in grado di predire cosa sarebbe accaduto, solo guardando le stelle. La Strega Enormissima, così fu definita, per il suo immenso potere, subì per giorni torture tremende, per il corpo e per la mente. Il tempo non passava mai. La donna stremata confessò qualsiasi cosa le venne attribuito. Il 14 luglio 1498 Gentile Budrioli, fu condotta dal convento di San Domenico in cui era rinchiusa fino in Piazza Maggiore, per essere giustiziata come strega. Sul luogo esatto gli storici si dividono tra Piazza san Domenico e l’attuale Piazza Maggiore (Platea Comunis nel 1500)  ma come suggerito dalla guida turistica Anna Brini, si propende per quest’ultima per il motivo che l’autorità politica, in collaborazione con quella ecclesiastica, provvedeva alla confisca dei beni degli eretici ed essendo la piazza antistante San Petronio di proprietà del comune, quale migliore occasione per spartirsi l’ingente patrimonio della Budrioli e lucrare sulla grande affluenza di spettatori attirati

dal grande spettacolo del rogo? Gentile fu posta sopra un palco e legata a un tronco alto circa sei metri da cui scendeva un cappio che le fu posto al collo. I giorni di tortura e umiliazione, il processo, la condanna, non avevano cancellato la sua bellezza. Dopo aver cosparso di pece la donna, fu ordinato di appiccare il fuoco. Gentile rimase impiccata e soffocata dalle esalazioni della pece evitando almeno cosi di essere arsa da viva. Durante l’esecuzione il boia lanciò polvere da sparo nelle fiamme causando esplosioni e violente fiammate che misero in fuga i cittadini accorsi a godersi lo spettacolo ritenendo che fosse il diavolo venuto a prendere l’anima della sua protetta. Le sue ceneri furono sparse al vento. Il processo e l’esecuzione della donna bolognese furono descritti da due confratelli di Giovanni Cagnazzo del convento di San Domenico, Leandro Alberti (1479-.1552) e Silvestro Mazzolini, che scrissero con approvazione della condanna emessa dall’inquisitore nei confronti della presunta strega. Lo stesso Mazzolini (fu autore nel 1502 di un manuale per esorcisti, il Tractatulus de diabolo), esorcizzò una delle vittime di Gentile, a quanto si diceva da lei stregata. Il ruolo dell’inquisitore Cagnazzo nell’assicurare che la presunta strega andasse incontro alla sua tragica fine, era decisamente in linea con la persecuzione implacabile portata avanti dallo stesso Kramer contro le presunte streghe, come lo erano i resoconti entusiastici di quel processo bolognese forniti dai futuri inquisitori domenicani Mazzolini e Alberti. E la bella Ginevra? Si dice che durante il rogo, Ginevra piangesse affranta nei pressi del Torresotto di Portanova, casa della cara amica. Dopo la morte di questa, si prese cura delle sue tre figlie, assicurando ad una di queste una dote, perché conseguisse un buon matrimonio, e collocando a sue spese le altre due nel convento delle suore di San Mattia.

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