Da Mulino Parisio a Bologna fino al lago di Castel dell’Alpi nel Comune di San Benedetto Val di Sambro risalendo la Fondovalle alla ricerca degli esempi più belli dell’architettura contadina dei secoli scorsi
di Filippo Benni
(Pubblicato sul numero di Nelle Valli Bolognesi dell’estate 2009)
Alcuni sono nascosti dalla vegetazione, piegati dal tempo e dall’abbandono. Altri sono stati ristrutturati ed hanno perso il fascino di un tempo, le macine e la loro funzione naturale. Molti altri invece hanno resistito all’incedere degli anni, grazie alla qualità con la quale furono realizzati e all’affetto dei proprietari che li hanno amorevolmente ripristinati, ed oggi sono splendida testimonianza della civiltà contadina che con coraggio, ingegno e tanti impegno ha costruito le basi della nostra società.
Sono i mulini, o molini se alle parole di origine greca preferite quelle latine, anche se un linguaggio più tecnico imporrebbe l’utilizzo del termine opifici.
Sono il cuore economico e culturale della società di inizio secolo. Lungo la valle del Sàvena ne sono stati censiti addirittura 41. Alcuni sono in mezzo al bosco, alimentati direttamente dalle sorgenti che col tempo sono state incanalate negli acquedotti, altri invece sorgono sulle rive del Sàvena e dei rii che lo alimentano. Molti purtroppo non ci sono più, ma i tanti che restano meritano di essere visti, risalendo il corso del fiume che lambisce la periferia sud di Bologna.
Un possibile punto di partenza può essere fissato a Mulino Parisio, dove via Murri diventa via Toscana, uno dei tanti mulini cittadini alimentati dai canali che la chiusa di San Ruffillo, una paio di chilometri a monte del mulino, immette in città. Canali che si insinuano in tutta Bologna, un tempo navigabili oggi rilegati nel sottosuolo.
Risalendo per una decina di chilometri via Toscana, che poi diventa la Statale della Futa, si arriva a Pianoro Vecchio dove inizia la parte più affascinaste della provinciale Fondovalle Sàvena. Altri dieci chilometri accanto al fiume, in mezzo alle pareti del Contrafforte Pliocenico, si attraversano le imponenti Gole di Scascoli e si arriva al bivio Loiano-Monzuno dove la Fondovalle prende il nome di via dei Mulini. Da qui inizia un anello di una quarantina di chilometri che tocca alcune delle strutture più belle di questa parte di provincia. Pochi chilometri dopo il bivio, in mezzo ad una natura ancora incontaminata grazie alla bassa densità abitativa di questa valle, fa bella mostra di sé il Mulino dell’Allocco. Lo si riconosce subito per la splendida passerella di legno (detta scalone) che collega le due sponde del fiume e la Fondovalle all’ingresso del mulino, sotto allo splendido porticato sorretto da imponenti archi a tutto sesto. Costruito nel 1874, il mulino ha continuato a macinare fino al 1982 per poi cessare l’attività per la scarsità di lavoro. Bellissimo anche l’impianto, ancora oggi funzionante grazie anche al restauro degli attuali proprietari, formato da tre macine sorrette da una struttura in noce.
Proseguendo verso monte, poche centinaia di metri dopo l’Allocco si incontra uno dei mulini più antichi: il Mulino della Grillara, perno di uno piccolo borgo di case in sasso che si affacciano sul fiume, sotto una alta e ripida parete di roccia. Nell’architrave della finestra del mulino è incisa la data 1599.
Il Mulino della Grillara è stato attivo fino al 1966, anno di una eccezionale alluvione. Poco dopo la Grillara, leggermente nascosto sotto il livello della strada, si incontra Mulino Donino. Costruito prima del 1797, consiste di quattro costruzioni degradanti verso il fiume, ciascuna delle quali ospitava una macina.
Finita questa scorpacciata, si prosegue per una ventina di chilometri in mezzo al verde verso il lago di Castel dell’Alpi, poco a valle delle sorgenti del fiume.
Ritornando verso Monghidoro, sulla destra si incontra l’indicazione per i Mulini di Cà Guglielmo. Poco dopo aver imboccato la deviazione la strada diventa un acciottolato e si deve proseguire a piedi lungo il sentiero Cai 909 che costeggia Rio Piattole. Letteralmente nascosti nel bosco, in successione si incontrano tre mulini costruiti tra il 1774 e i primi anni del 1800. Ritornati sulla strada principale, poche centinaia di metri prima della frazione di Piamaggio si gira a sinistra verso il Mulino Mazzone, uno dei mulini meglio conservati di tutta la valle e, grazie alla disponibilità dei proprietari, visitabile in tutte le sue parti. Anche questo alimentato da Rio Piattello, uno dei tanti corsi d’acqua che dai boschi della valle confluiscono nel Sàvena, è stato costruito sicuramente prima del 1785 anche se la data precisa non è stata accertata. Il mulino, bellissimo e ancora oggi perfettamente funzionante, è dotato di ben 5 macine.
Nelle domeniche dei mesi estivi i proprietari accolgono e accompagnano chi vuole visitare il mulino.
La gita, o meglio il giro fuori porta, si conclude proseguendo verso Monghidoro e poi Loiano. Per tornare sulla Fondovalle Savena, e da qui a Bologna, si consiglia di tagliare a sinistra per la strada che prima di Loiano porta verso Roncastaldo. Una picchiata verso il fiume con un bellissimo scorcio sulla valle del Sàvena e sui campi dorati che in questa stagione colorano i monti.
- IL PERCORSO
- Da Bologna al Lago di Castel dell’Alpe e ritorno, passando
per i sei mulini descritti nella mappa, sono circa 100 Km. Le pendenze non sono proibitive e qualche appassionato potrebbe decidere di percorrerli in bicicletta (il ritorno
è tutta discesa…) Per un’esperienza altrettanto suggestiva,
ma più veloce, si può scegliere la moto o la macchina.