La vita da ribelle di Horst Fantazzini e di suo padre Libero
di Claudio Evangelisti
Il prologo degli avvenimenti che portarono Horst Fantazzini a essere definito una “leggenda vivente” della galassia anarchica, ebbero luogo durante il ventennio fascista alla Bolognina, quartiere proletario e combattivo della periferia di Bologna. Qui abitava la famiglia del suo papà Alfonso, sopranominato “Libero”, e di suo nonno Raffaele, uno di quei vecchi socialisti dei quali da tempi si è perduto lo stampo. Ora questo quartiere multietnico che viene percepito come luogo di degrado, ha invece un preciso carattere innovativo e multiculturale, sede del nuovo comune di Bologna e con una popolazione prevalentemente “working class”. Sempre qui il 3 febbraio 1991, nella sala comunale di Via Pellegrino Tibaldi 17 è morto il Partito Comunista Italiano, a pochi passi dal luogo dove si svolse la battaglia della Bolognina, base dei covi Partigiani durante la Resistenza.
L’uomo dal mantello nero
Horst Fantazzini fu ribattezzato dalla stampa “il bandito gentile” perchè non sparava mai e mostrava pistole giocattolo alle sue vittime. Era quello dei fiori spediti alla cassiera svenuta durante un colpo, era quello che sorrideva al bancario mentre lo pregava di consegnare il malloppo, era quello capace di scappare perché aveva capito che qualcuno poteva farsi male. Poi è diventato il simbolo di una vita al confine tra piccoli reati e lotta armata, come il suo vecchio amico Sante Notarnicola, che con lui ha diviso a lungo le prigioni di mezza Italia. Fu anche un apprezzato scrittore e in uno dei suoi libri racconta la leggenda dell’uomo con il mantello nero che per alcuni potrebbe trattarsi delle gesta del padre Libero. All’inizio del dopo guerra, in un clima di regolamento di conti tra partigiani ed ex fascisti, Il PCI frenava la rabbia dei suoi militanti, tuttavia il momento era incandescente e l’insurrezione popolare era nell’aria. Di quel periodo si racconta di un uomo in bicicletta, con una mantella di quelle che si usavano allora, che percorreva la Bolognina; ogni tanto spuntava dal buio e tirando fuori un mitra da sotto la mantella sparava una raffica al fascista di turno. Horst racconta: “mio padre Libero nel ’48, periodo florido di fermenti rivoluzionari, fu arrestato con l’accusa di tutta una serie di attentati, omicidi e tentati omicidi contro ex-fascisti. Fu tenuto in Questura per molti giorni e torturato (allora il “garantismo” era sconosciuto) ma non ammise nessuno dei reati che gli vennero contestati. Poi, circa un anno dopo, fu assolto e rilasciato. Mio padre riprese la sua vita di militante anarchico e di muratore. Già in età avanzata, agli inizi degli anni ’70, con altri compagni anarchici occupò la Torre Asinelli per alcuni giorni riempendola di striscioni contro le bombe di stato e per la liberazione di Valpreda”.
La famiglia, l’infanzia e la guerra
Nel 1922 Alfonso (Libero) Fantazzini, ricercato dalla polizia in seguito a un conflitto a fuoco con i fascisti bolognesi, fuggì nel territorio indipendente della Sarre dove conobbe Bertha Heinz che sposò. Nel 1930 nacque Pauline Fantazzini mentre Horst (vocabolo che significa rifugio in tedesco) venne alla luce il 4 marzo 1939 nella Germania di Hitler, in seguito all’ occupazione nazista di quella regione rinominata Sarrland. “Da allora mio padre non poteva più fare affidamento sulla sua condizione di rifugiato politico e mi riesce difficile ricostruire il periodo della mia prima infanzia, durante la quale mio padre c’era e non c’era, veniva, partiva, ritornava. Tutto il periodo della guerra, sino al 1945, io lo trascorsi con mia madre nella Sarre. Ogni tanto appariva anche mio padre ricercato dalla Gestapo. Mia sorella era stata mandata a Bologna dai nonni paterni.”
Dopo aver subito bombardamenti, visto i corpi di civili dilaniati lungo le strade e vissuto una sparatoria della Gestapo piombata in casa con papà Alfonso fuggito dalla finestra, la guerra finì e il padre di Horst decise di tornare a Bologna con la famiglia e poter così riabbracciare l’altra figlia Pauline. Era il maggio del 45.
“Arrivammo a casa senza preavviso e man mano che ci avvicinavamo alla casa dei genitori di mio padre, avevamo il terrore che la casa fosse stata bombardata. La casa, non distante dalla stazione, era intatta. Gli anni del dopoguerra furono duri. La nascita di quel mondo nuovo che nei desideri dei combattenti per la libertà sarebbe dovuto succedere al fascismo, s’allontanava sempre più”
La ribellione di Horst
Tentò un riscatto nel pugilato, e nel ciclismo che praticò con ottimi risultati, vincendo gare regionali. Era anche un brillante studente, amante della lettura, con ottimi voti nelle materie umanistiche e in disegno. A causa delle condizioni economiche non agiate della famiglia, sovrapponendo studi e lavoro, venne assunto già a 14 anni come fattorino, operaio, impiegato. A 18 anni si sposò con Anna che ne aveva soltanto 17. Ma la misera paga, le condizioni umilianti di lavoro e la nascita del figlio Loris, non gli permetteva di mantenere una vita dignitosa per la famiglia e ciò lo indusse ad abbandonare la vita del salariato per altre ambizioni. E fu fatalmente attratto dalla vicenda della banda Bonnot, un gruppo anarchico francese. Prima del “grande salto” compì una serie di furtarelli di biciclette e moto, poi automobili.
Nel 1960 compì una rapina con una pistola giocattolo all’ufficio postale di Corticella. Venne arrestato sull’automobile rubata, gli vennero inflitti 5 anni di carcere.
Nel 1965 durante una licenza concepì il secondo figlio, ma a causa delle avverse condizioni, Anna che soffriva di problemi di salute lo lasciò per tornare nella sua città, Napoli, dove venne ricoverata per cure. Horst di nuovo in libertà definitiva lavorò per qualche tempo come pizzaiolo e barista, ma tornò a rapinare le banche: fu la volta di una banca di Genova. Non riuscì, perché venne arrestato prima di compiere il colpo. Trascorse qualche mese in galera, durante i quali apprese che la madre era morta per infarto, ma non gli consentirono di andare al suo funerale. Horst decise di evadere per la prima volta usando il più classico dei modi: lenzuola annodate. E decise che non avrebbe avuto mai più avuto ripensamenti. Era il 1967, da mesi latitante, compì numerosi colpi nel nord Italia, durante uno dei quali, dispiaciutosi per una cassiera svenuta (il giorno seguente gli inviò un mazzo di rose tramite un’agenzia di spedizioni) diventò “il bandito gentile”; poi decise di espatriare rifugiandosi dai parenti in Germania. Tra il 1967 e il 1968 scrisse lettere di scherno alla polizia italiana, gli venne affibbiato il nomignolo di “primula rossa”. Nel 1968 fu di nuovo arrestato, mentre cercava di rapinare una banca di Saint Tropez. Trascorse alcuni anni torturato e vessato nelle galere francesi dove vigevano regole particolarmente inumane, fu rinchiuso nelle Baumettes a Marsiglia, tentò ancora di evadere ad Aix en Provence con le catene ai polsi. Da allora le porte del carcere si chiusero definitivamente: da quel momento non avrà mai più la libertà definitiva. Horst continuava a sfottere i giudici “gli ermellini da guardia” durante le udienze, e per questo con accanimento persecutorio aggiunsero altri anni alla sua carcerazione.
Ormai è fatta!
Non c’è, nella realtà carceraria italiana, storia più emblematica della sua. Nel 1972 per interessamento dell’avvocato Mario Giulio Leone venne estradato in Italia ritrovando sua moglie e i suoi figli, nel 1973 tentò di evadere dal carcere di Fossano (Cuneo) ferendo tre guardie e tenendone sotto tiro altre due, ma era un bluff: in realtà aveva soltanto una Mauser di piccolo calibro, con pochissimi colpi in canna dei quali solo due rimasti dopo il ferimento dei secondini. Invece per lui si scatenò l’inferno: uscendo dal carcere con gli ostaggi, prima di riuscire a salire sull’agognata Giulietta che lo porterà fuori dalle mura, venne aggredito dai cani lupo e ferito quasi mortalmente con il fuoco dei tiratori scelti; un proiettile nella mandibola e altri 6 nel resto del corpo, si salvò per miracolo proprio grazie ad un cane che gli si parò davanti.
Rimase sordo dall’orecchio destro, e probabilmente con micro-lesioni tali da causare l’aneurisma che gli risulterà fatale. Venne operato, ma non gli estrassero tutti i proiettili, che si porterà in corpo per molti anni.
Iniziò un calvario fra i penitenziari di tutta Italia, Horst venne tenuto in infermeria poi dimesso e spedito in un altro penitenziario, poi in un altro ancora, senza cure adeguate e senza avvertire la famiglia e talvolta nemmeno l’avvocato. Un anno dopo a Sulmona, nel 1974, tentò di evadere di nuovo. Saltò il muro di cinta di cinque metri, coi piedi fratturati si trascinò nella chiesa più vicina sequestrando il prete, per chiedere in cambio di essere operato. Proprio in quell’anno, 1974, nel carcere di Alessandria una rivolta venne stroncata nel sangue, con sette detenuti uccisi e 14 feriti: collaudo di una stagione di pugno di ferro. Nel 1975 Giorgio Bertani editore di Verona, grazie all’interessamento di Franca Rame (Soccorso Rosso) pubblicò “Ormai è fatta! Cronaca di un evasione” resoconto minuzioso e lucidissimo di quel 23 luglio 1973 a Fossano, scritto da Horst con una macchina per scrivere in sole 48 ore. Al racconto di Horst venne aggiunta una bellissima appendice di poesie che egli da sempre scriveva in cella.
La vita di Fantazzini fu anche al centro di un film, dallo stesso titolo del libro, regista Enzo Monteleone con Stefano Accorsi protagonista e Guccini nel ruolo di papà Libero. Il caso di Horst è rilevante soprattutto per il feroce accanimento nei suoi confronti da parte dello Stato. Una persecuzione operata soprattutto per cercare di spegnere quell’anarchismo che, in lui, si esprimeva in una personalità originale e ne faceva un individuo “pericoloso”, in quanto pretendeva di vivere libero a modo suo. Per questo, un perverso calcolo giudiziario lo condannò a una pena complessiva superiore all’ergastolo che, dopo avere già scontato oltre 30 anni, gli avrebbe permesso di uscire a 85. Solo nel maggio del 2000, dopo aver penato per farsi trasferire nella “sua” Bologna, il rapinatore anarchico era stato ammesso al lavoro esterno da magazziniere. “Da un anno e mezzo viviamo praticamente insieme”, raccontava finalmente felice con la sua nuova compagna, Patrizia “Pralina” Diamante. Il 20 dicembre 2001 l’ultimo arresto a Bologna: a 62 anni, in semilibertà, voleva rapinare una banca. L’hanno visto scappare in bicicletta subito dopo l’allarme lanciato dagli impiegati della Banca agricola mantovana, dall’agenzia a due passi da Porta Mascarella a Bologna. I due poliziotti che l’hanno arrestato erano giovani, Fantazzini Horst non l’avevano mai sentito nominare. Due giorni dopo, la sera della vigilia di Natale nel carcere della Dozza, un arresto cardiocircolatorio se l’è portato via a 62 anni.
Così lo ricorda Pino Cacucci: “Nessuno muore mai del tutto finché c’è qualcuno che lo ricorda, finché resta viva la memoria di quei battiti affidati magari a un libro, a un film, ma soprattutto a quel sorriso dolce e un po’ venato d’amarezza, il sorriso di chi non si rassegna e sogna ancora, malgrado tutto, malgrado il mondo che ci ritroviamo attorno…”
Fonti: horst fantazzini.net ; Rivista anarchica ; Anarcopedia; Quotidiani dell’epoca